Il matrimonio cristiano
-Un sacramento diverso
(Leitourgía: sezione antropologica)EAN 9788830809475
L’alba del nuovo millennio ci offrì l’opportunità di un impegnativo ripasso della riflessione sui sacramenti nei due volumi del Corso di teologia sacramentaria curato da A. Grillo - M. Peroni - P.R. Tragan: quel Corso meritò da parte nostra una adeguata segnalazione su «Studia Patavina» 2/2001. Nel secondo volume, dedicato ai singoli sacramenti, ci colpì per l’originalità la sorprendente trattazione del matrimonio firmata da un parroco piacentino, docente anche all’Istituto di Liturgia Pastorale di S. Giustina in Padova, sotto il titolo Donare la vita: il matrimonio e la famiglia (pp. 226-282). Totalmente fuori dai luoghi comuni, per aiutare a cogliere i reali mutamenti storici e l’estrema delicatezza della materia, Roberto Tagliaferri accettava senza paura l’apporto delle scienze umane, l’antropologia culturale e la biopsicologia evoluzionistica in particolare, onde capire il fenomeno molto ampio della sessualità e conoscere meccanismi antropologici altrimenti sfuggenti. Già allora il docente di S. Giustina ribadì il rilievo fondamentale del rito celebrativo capace di immettere nella grazia dello Spirito e nella fede dell’alleanza in Cristo con un balzo innovativo simbolico-reale analogo alla transustanziazione eucaristica, determinato dall’epiclesi invocativa dello Spirito. Ma il corretto ed esigente passaggio dal timbro antropologico-etico del consenso al timbro simbolico-teologico dell’alleanza Cristo-Chiesa implica il profondo rispetto e un’adeguata conoscenza della realtà antropologica sempre piuttosto misteriosa: la base della creazione va riconosciuta e rispettata. Quella proposta del teologo piacentino, sintetica nonostante l’ampiezza della trattazione, ci rimase illuminante punto di riferimento: per anni ne abbiamo rivisto volentieri i principali passaggi segnati con vari colori.
Ora quello studio può essere risalutato, attorniato e in un serto senso completato da altri saggi firmati dal medesimo autore e assemblati nel bel volume, che presentiamo in queste righe. Ovviamente per chi ha notevoli incarichi anche pastorali come Tagliaferri il tempo è tiranno: le scarse parentesi libere non permettono adeguate rifusioni di testi già scritti per diverse occasioni, per cui nelle trecento pagine si incontrano inevitabili ritorni sui nuclei fondamentali che caratterizzano la sua riflessione. Ma le frequenti ripetizioni in questo caso permettono un approfondimento senza annoiare, data l’originalità degli spunti. Aiutano in tal senso anche le prime e le ultime pagine firmate da amici di Tagliaferri. Le pagine introduttive offrono una originale premessa, decisamente in linea con lo stile dell’autore: quattro lettere, firmate dall’amico docente Andrea Grillo, da una lettrice laica, da una semplice fedele e da un recensore senza nome, confessano le difficoltà e insieme la simpatica risonanza provocate dalla lettura in anteprima del volume. Analoga funzione è esplicata dalla puntuale postfazione di Stefano Parmigiani, professore ordinario di biologia applicata alla Facoltà di medicina e chirurgia della Università di Parma e probabile amico di diuturni scambi e reciproche suggestioni con l’autore.
Veniamo a qualche riga sull’itinerario del volume. Roberto Tagliaferri raduna i saggi della sua raccolta sotto tre titoli che introducono le tre parti: i fondamenti teologici del matrimonio cristiano, la celebrazione liturgica e le problematiche pastorali. Le prime 120 pagine offrono due studi particolarmente densi e preziosi per un insegnante di teologia: del secondo Il matrimonio e la famiglia abbiamo già fatto cenno sopra e altrove. Nel primo Sposarsi nel Signore l’a. invita a ripercorrere la storia del sacramento, iniziando dal «mito» delle origini a cui rimandano Gesú e Paolo, e in cui il vincolo matrimoniale non appare sacralizzato ma secolarizzato per volontà esplicita di Dio. Legato alla solitudine dell’uomo, non alla procreazione, quel vincolo rappresenta il luogo inviolabile della responsabilità dell’uomo, concesso dalla stessa volontà divina. Le principali variazioni diacroniche del mito biblico permettono di ripassare le difficoltà della tradizione patristica e medioevale, con il rovesciamento dovuto al decreto Tametsi di Trento, per il quale è il sacramento che rende valido il consenso/contratto onde sanare la piaga dei matrimoni clandestini. Ma la cosa apre questioni enormi sul matrimonio civile e sulla coincidenza di matrimonio e sacramento tra i battezzati, quasi a prescindere dalla fede personale. Il Vaticano II, l’Humanae vitae e la Familiaris consortio rappresentano una tappa intermedia per successivi sviluppi. Le variazioni sincroniche offrono invece uno sguardo sulla prassi delle altre confessioni cristiane. Le annotazioni più stimolanti ovviamente vengono offerte nelle successive pagine che prospettano la «rimitizzazione» secondo il paradigma di identità e differenza nel contesto del rito sponsale postconciliare, rito al cui adattamento l’a. ha presumibilmente collaborato in prima persona. Il nocciolo del problema sta nella composizione tra matrimonio delle origini di Gen 2 e il matrimonio della Nuova Alleanza. Il nuovo rituale del 1990 insiste in una lettura pneumatologica e trinitaria del sacramento. Se si rimane su un piano creaturale forse la Chiesa deve fare un passo indietro, non riservandosi l’esclusiva giuridica del patto coniugale: il legame pubblicamente manifestato è già un bene voluto da Dio. Qui si recupera, per il sacramento, la necessità della celebrazione liturgica in cui è inserito il consenso: la Chiesa d’Oriente da sempre sottolinea il carattere generativo della liturgia nuziale. Anche per l’Occidente cristiano più decisamente dovrebbe essere il contesto liturgico a consentire di attivare lo scarto verso una differenza di tipo religioso. Questo «trasalimento verso una regione altra» non è opera del consenso umano, ma è opera dello Spirito Santo sul consenso umano. Tale visione lascia aperti vari problemi. Va chiarito il rapporto tra il livello antropologico-etico e il livello religioso del matrimonio: il secondo lavora sul primo per superarlo, non per distruggerlo o fagocitarlo. Va rivisitato il rapporto tra sessualità e matrimonio: il momento religioso non deve trovare nella sessualità un impedimento, ma la possibilità di venire alla luce. L’essere uomo e donna costituiscono «l’originario co-implicarsi di identità e differenza e quindi sono la cifra intrasgredibile della trascendenza e della vicinanza di Dio» (p. 56). Inoltre il rapporto fede e sacramento chiede di distinguere i due livelli di significato del consenso: anche pastoralmente l’amore legittimo e autonomo va aiutato a essere segno esplicito dell’amore di Dio; «qui interviene la mediazione liturgica che crea quel contesto di fede in cui x vale y» (p. 60).
Il saggio che più stupisce il normale lettore e che più chiede conversione alla Chiesa va sotto il titolo I fondamenti antropologici del sacramento del matrimonio. Quello che un tempo sembrava natura immodificabile si prospetta oggi, alla luce delle scienze umane, come un plesso caotico di forze e interessi conflittuali che lascia sgomenti e che invita a produrre un assestamento tra le dimensioni antropologiche e le esigenze evangeliche, ponendo la dimensione della Grazia a più stretto contatto con l’istintività umana. Ci troviamo di fronte a una natura umana sorprendente, sconosciuta, non addomesticata, con profonde zone d’ombra non dovute necessariamente al peccato: affiorano meccanismi istintivi atavici in tutta la loro virulenza, per cui paradossalmente «non possiamo non sposarci, non riusciamo a rimanere sposati» (p. 124: slogan ripreso più avanti, ad es. alle pp. 211 e 276). Per i biologi evoluzionisti la dipendenza degli umani da meccanismi genetici dissimulati è tanto clamorosa quanto poco considerata. Non è vero che i due si completano ricomponendosi in unità armoniosa secondo il mito platonico dell’androgino: piuttosto ognuno dei due ha una propria strategia adattativa per avere i benefici dell’altro sesso. Il gene egoista e il principio della Regina Rossa illuminano il rapporto di collaborazione e di competizione tra i sessi. Per potersi sfruttare a vicenda, progettano quasi un inganno perpetrato sotto la pressione dei propri benefici evolutivi, ottimizzando i favori dell’altro anche a prezzo di qualche svantaggio. Sull’enigma del sesso la visione della scienza risulta molto prosaica a fronte dell’investimento affettivo messo in opera per l’incontro di coppia. La ragione della coppia non è l’amore ma il sesso che tende alla fusionalità. Con il passare del tempo l’innamoramento e la fedeltà stessa vanno in corto circuito e si trasformano in infedeltà, nel desiderio di riattivare la sensazione di totalità tipica dello innamoramento e della seduzione. L’uomo risulta così contemporaneamente monogamico e poligamico. Anche a questo punto le domande emergono in quantità, non solo sul versante psico-sociale, ma anche religioso, e la Chiesa deve accettare questi rompicapo tentando una via d’uscita senza tradire la natura o il Vangelo, indagando sulla potentia oboedientialis dell’uomo, possibile grembo per la parola di Dio. La Chiesa dovrà distinguere l’essenziale appartenente a tutta l’umanità, dallo specifico che attiene ai credenti in Cristo, per far emergere il proprium dell’amore trinitario offerto all’uomo. La logica del nuovo rituale ratifica la volontà espressa dagli sposi, che «mentre portano il loro amore reciproco benedetto da Dio, ricevono in dono un amore divino, che porta in sé i caratteri della gratuità, dell’unilateralità e della follia della Croce» (p. 138). Viene così sottolineata la dimensione performativa del rito, mentre diventa fondamentale educare a una nuova consapevolezza, dove il teologico non è rimedio all’antropologico, ma la sua più pura possibilità di evolvere verso la statura di Cristo.
Un bel ricamo sull’enciclica Deus caritas est di Benedetto XVI porta a conclusione la prima parte del volume. Tagliaferri vi intuisce una svolta nella teologia del Magistero sull’inscindibilità e inseparabilità tra l’Eros egotico con una sua consistenza ed autonomia e l’Agape di dedizione proveniente da Dio. Lo sposarsi nel Signore si colloca tra fedeltà alla creazione e risposta ad una vocazione: la composizione non è così semplice perché la natura ama nascondersi. L’a. ne approfitta per esigere una minima consapevolezza, ribadendo quasi provocatoriamente alcune dinamiche di coppia impreviste nella cultura tradizionale e già accennate nei contributi precedenti. «Le regole di Eros sono del tutto funzionali alla propagazione della specie e non alle nostre favole amorose» (p. 155). L’Enciclica sostiene che Eros non può esistere senza Agape, ventilando l’ipotesi che Eros stesso è intriso di Agape in certi comportamenti un po’ folli, senza scopo funzionale, dono senza contro-dono: è il terreno in cui la Grazia si iscrive nella carne dell’uomo. Origini creaturali e versante vocazionale possono ritrovarsi nelle nozze davanti al Signore: ma anche qui restano problemi, accettando serenamente che nessuno è venuto al mondo in forza dell’Agape ma sotto la spinta vitale di Eros.
Nella seconda parte del volume, decisamente più breve, dedicata alla celebrazione liturgica del matrimonio, Tagliaferri può segnalare il suo contributo nell’adattamento del rituale del matrimonio per la chiesa italiana, ripercorrendo le difficoltà provenienti dalla tradizione e dall’attuale situazione pastorale, passando in rassegna le difficoltà d’ordine socio-culturale e psico-sociale come anche teologico-spirituale e canonistico, senza dimenticare quelle scoperte dall’etnologia e dalla biogenetica, e le difficoltà segnalate dalle altre confessioni cristiane. La conclusione dell’a. invoca una acculturazione più radicale di un semplice adattamento, per riconsegnare adeguatamente il sa-cramento alla sua originaria vocazione ecclesiologica. I successivi spunti di riflessione sull’adattamento accettano di richiamare positivamente l’iter del lavoro in Commissione pur di concretizzare l’inserimento dei nuclei teologici più luminosi nel nuovo rito del Matrimonio, dopo la «reazione un po’ scomposta» della Congregazione per il culto divino, che non lasciava molti margi-ni di libertà (cf. p. 198). Concludono la seconda parte alcune pagine interessanti sul linguaggio non verbale nella celebrazione del matrimonio: i vari codici temporale, spaziale, ottico, uditivo, visivo, tattile (il più presente nella liturgia matrimoniale), olfattivo e gustativo permettono una certa conta-minazione tra gesti ufficiali e pratiche popolari talora in grado di integrare la povertà rituale del sa-cramento. La veste bianca della sposa, lo spreco di fiori, confetti, musiche, ori e cibi, la firma dell’atto consensuale, la scelta dei luoghi e dei tempi talora esprimono profonde esigenze antropologico-spirirituali come il ritorno al luogo delle proprie origini, da rispettare come codici dimenticati dalla riforma ma fondamentali in una corretta celebrazione anche delle nozze cristiane.
Le ultime sessanta pagine affrontano le problematiche pastorali del sacramento del matrimonio, ribadendo l’utilità dei dati delle scienze psico-biologiche ed etologico-evolutive per aiutare la coppia nella comprensione dei meccanismi, nel tentativo di disinnescarli per mantenere l’equilibrio necessario nell’attraversamento delle varie mutazioni del legame affettivo e nell’accettare la diversità irriducibile dell’altro: il passaggio epocale del legame di coppia invoca una nuova intelligenza della fede. Il saggio più originale per l’aspetto pastorale riguarda il problema spinoso dell’inculturazione del rito del matrimonio presso gli Abouré della Costa d’Avorio (pp. 227-242), dove il matrimonio non si basa sul consenso libero tra i contraenti, ma sul rapporto tra i clan: è possibile trovare una via d’uscita? Il rito può proporsi come singolare ponte di attraversamento, come presentimento dell’originaria esperienza religiosa con mille connotazioni possibili capaci di intercettare una Pentecoste? Due le opzioni possibili: «O non si transige sui valori cristiani ritenuti universali e quindi intrinsecamente connessi col Vangelo, oppure si cerca di valorizzare la diversità nei vari modelli culturali per cogliere in essi un nocciolo antipredicativo uguale per tutti che potrebbe essere intercettato dal rito e dare una sorta di presentimento comunicativo del Sacro» (p. 234). La prima posizione è proposta e spiegata dal card. Ratzinger alla Sorbona nel novembre 1999. Tagliaferri però non sembra accontentarsi, vedendo in crisi anche il matrimonio impostato sul personalismo europeo. Su indicazione dell’antropologia culturale abbozza la plausibilità almeno della ricerca di una seconda posizione, ponendo il rito tra antipredicativo della Grazia e linguaggio culturale: il rito è già portatore di intenzionalità religiosa attinta al livello più originario dell’esperienza del Sacro e tenderebbe ad espropriare il soggetto delle sue qualità per metterlo a contatto con il Sacro: timor di Dio, rendimento di grazie, fede e dipendenza creaturale, comunione sono sentimenti che prendono comunque nel rito. «Il rito macina tutto, connette gli elementi eterogenei ad un’esperienza religiosa originaria e ripropone continuamente nuova significazione» (p. 239). Si ripropone la domanda: il consenso libero elaborato dalla civiltà e dal diritto romano è intrinseco alla teologicità del sacramento? In ogni caso il riequilibrio antropologico del matrimonio creaturale su dinamiche più sociali potrebbe essere una base promettente per portare il matrimonio cristiano non solo all’Africa ma anche all’occidente. In tal caso la Chiesa dovrebbe appoggiarsi su linee di kenosis come la riserva escatologica, il valore salvifico delle altre religioni, il subsistit in di LG 8: ma tale speranza non trova riscontro nella teologia attuale delle Congregazioni romane.
Altro problema conflittuale contemporaneo tocca il matrimonio e le coppie di fatto, su cui si misurano la posizione laica radicata sui diritti individuali (ma vi è totalmente assente la riflessione sulla pericolosità pubblica della sessualità con i suoi drammi) e la posizione cattolica (non meno superficiale dei laici nel misconoscere i rompicapo del matrimonio). La Chiesa dovrebbe fare un passo indietro e lasciare l’etica matrimoniale alla responsabilità civile della comunità politica di riferimento (cf. p. 256). Ma restano i rompicapo della relazione sessuale, per cui la risposta finora data dai disegni di legge è inadeguata, come è inadeguata finora la risposta della Chiesa (cf. p. 261).
Giustificazione e sacramento del matrimonio si intitola l’intervento al colloquio ecumenico internazionale dell’ottobre 2001 con cui termina la raccolta di saggi: i dati offerti dalle scienze vengono ripresentati per capire il fenomeno e cercare le contromisure a livello pedagogico, sociale e pastorale. L’ipotesi teologica proposta da Tagliaferri è di relativizzare il tratto della fedeltà e di elevare il carattere della gratuità e del dono unilaterale per dire l’amore trinitario nella coppia cristiana, perché sia epifania dell’amore di Dio.
Conclusivamente rimane aperto il problema della coscienza cristiana, cioè della possibilità per la coppia di diventare sacramento efficace della grazia di Dio, tenendo conto dei meccanismi di coppia e imboccando la via lunga che risale dalle necessità istintive «alla libertà dell’amore che si dona unilateralmente senza nulla chiedere in cambio, in un quadro in cui le carte si rimescolano ogni giorno per una nuova partita» (p. 277).
A Roberto Tagliaferri va riconosciuto come atto di coraggiosa carità intellettuale l’aver offerto, pur in una raccolta a zig-zag, la propria proposta teologico-liturgica innestata sui dati delle scienze: l’innesto rimane spesso problematico e comunque esige un tasso di fede cristiana piuttosto alto per vivere il momento sacramentale puntuale e permanente in maniera cristiana, senza perdere il filo verde della paziente speranza. Il coraggio si manifesta anche nel chiedere ripetutamente alla Chiesa ufficiale di accogliere provocazioni e traguardi che la Chiesa reale già vive o intuisce, in un senso comune segnalato ad esempio nella litania di domande di p. 176. Al parroco piacentino l’affrontare i problemi pastorali del quotidiano non fa paura e induce a superare la semplice ripetizione manualistica apprezzando la luce proveniente da altre sorgenti. Pensiamo che nella sua pastorale non dimentichi poi di contemperare la asciuttezza talvolta dura dei dati scientifici additando l’esemplarità di coppie e famiglie riuscite nella salita matrimoniale magari proprio grazie al suo accompagnamento teologico. Il deserto si attraversa insieme e la comunità cristiana con il suo kalos poimen (cf. Gv 10), per quanto grama, è questo insieme. Tornando ancora per un istante al volume e volendo trovare il pelo nell’uovo, riteniamo segno del poco tempo disponibile all’a. anche il susse-guirsi di piccoli sbagli di stampa dovuti presumibilmente a una mancata rilettura finale: se è facile correggere «legionario» con «lezionario» a p. 138, lo è meno nel caso di «insuperabilità» per «inse-parabilità» a p. 143. Il rilevarlo da parte nostra vuol solo dire l’attenzione riconoscente con cui ab-biamo seguito e apprezzato la proposta piacentina.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2009, nr. 1
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)
«Il dato allarmante è che nella nostra società diventa sempre più improbabile la tenuta della relazione di coppia e soprattutto appaiono del tutto incongrui gli strumenti culturali per arginare questo fenomeno. Vi è nel matrimonio un paradosso che suona insolubile: non si può non sposarsi, non si riesce a rimanere sposati». Il coraggioso realismo di partenza dice della novità di un approccio. Non si tratta più di ricercare dinamiche adattive del Vangelo alla sapienza giuridica mondana, né di pretendere di contenere senza riconoscerli i fenomeni aggressivi e distruttivi operanti nella coppia. Bisogna invece riconoscere il profilo specifico del matrimonio cristiano, la sua condizione di salvezza, il suo essere sacramento efficace della grazia di Dio. Non serve una religione civile della coppia, serve un annuncio kerygmatico ed esplicito della grazia elargita a chi si sposa nel Signore. Lo sforzo non è quello di contenere tutto il fenomeno matrimoniale in una norma civile a cui dare una vernice di fede, ma di proporre lo specifico impensato dell’annuncio di Cristo sul matrimonio dei discepoli.
Tratto dalla Rivista Il Regno 2009 n. 12
(http://www.ilregno.it)
Per un docente di Teologia della liturgia, studiare il matrimonio cristiano è come per un archeologo aprire un cantiere su un tell («collina» in ebraico) o per uno studioso d’arte trovarsi di fronte a un affresco che ne nasconde uno più antico, una tela più volte riutilizzata: le stratificazioni sono numerose, a volte nettamente riconoscibili, a volte intrecciate. Provocato dal dibattito dell’attualità su matrimonio, famiglia, convivenze e step families, lo studio scava soprattutto i testi liturgici alla ricerca di indizi sui significati teologici e il loro avvicendarsi lungo la scala gerarchica di rilevanza. Il sottotitolo è motivato dal fatto che il matrimonio cristiano «presenta molte anomalie e incongruenze», e in particolare sembra preservare dalla curiosità teologica, fin dai tempi della scolastica, la propria «materia». Dove sussiste la «sacramentalità» del matrimonio, il salto qualitativo che lo distingua dalla sua «sacralità» creaturale, mai accantonata nemmeno dallo stesso Gesù? «Il punto di vista adottato è un’ermeneutica teologico-liturgica, che tenta di recuperare il momento celebrativo come contesto fondamentale in cui avviene il passaggio simbolico dal matrimonio creaturale al matrimonio nel Signore, inteso come relazione tra Cristo e la Chiesa. Tale procedimento si presenta innanzitutto come rinarrazione del mito di riferimento per tutta l’economia della salvezza» (17-18), tra gli estremi della demitizzazione bultmanniana e della storicizzazione. Gesù conferma l’imperativo «ontologico» di Genesi («l’uomo non divida ciò che Dio ha congiunto», Mt 19,6) e insieme annuncia «alla risurrezione non si prende né moglie né marito» (Mt 22,30). Paolo proclama il «mistero grande» di Cristo e della Chiesa (Ef 5,32), e insieme la preferenza per il celibato (1Cor 7,8).
Qual è l’«essenza» del sacramento? Quale rapporto fra res e sacramentum? Il matrimonio, in quanto tale, è in se stesso sacramentale? Se si afferma che il consenso è essenziale al sacramento («Consensus facit sacramentum», affermava Nicola I), la sua celebrazione potrebbe risultare «decorativa»; viceversa, se necessaria è la celebrazione in facie Ecclesiae, si misconosce il valore autonomo e proprio del matrimonio creaturale. Il confronto ecumenico con la teologia protestante, del quale la Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione costituisce un approdo rivelatore, porta in evidenza la tensione tra il sacramento come grazia e come salvezza. Il matrimonio cristiano è riscatto della condizione umana della coppia segnata dal peccato o è primariamente – e specificamente – dono di grazia che rivela, incarnata, la «follia» dell’amore divino? Lo studio dei testi liturgici non scioglie le tensioni teologiche di fondo. Inoltre, «la rimitizzazione del matrimonio delle origini, operata dal Vaticano II sulla scorta di Ef 5,31-32, ha prodotto diversi spostamenti di prospettiva rispetto alla teologia e alla prassi prevalente nella tradizione occidentale, ma è rimasta un’opera incompiuta » (50). La tradizione orientale non contribuisce a chiarire, anzi introduce ulteriori elementi di tensione. L’analisi dell’esperienza di coppia e famiglia (I/2), con gli strumenti di psicologia, antropologia culturale, sociologia, filosofia e teologia, nelle culture occidentali conferma la tensione tra la visione etico-antropologica e quella religiosa. «È certo che se si vuole salvare la famiglia dai rovesci patiti attualmente con la semplice riproposizione di un modello morale richiamando i valori tradizionali della fedeltà e del sacrificio tipici della famiglia patriarcale… si rischia semplicemente di parlare a vuoto» (120).
La seconda parte si concentra sulla celebrazione liturgica del matrimonio e sui criteri che hanno guidato la revisione del Rito del matrimonio. Un’analisi assai acuta dei contenuti e degli impliciti del rito precedente la revisione mette in evidenza la difficoltà dalla tradizione (l’istituzione matrimonio-famiglia contenitore di una serie di assunti sociologici/antropologici oggi respinti), dalle acquisizioni recenti delle scienze, dalla pastorale (insufficiente considerazione per l’intenzione), dal diritto canonico (principio d’inseparabilità tra contratto e sacramento). La Commissione episcopale per la liturgia ha optato a suo tempo per una revisione anziché per una nuova stesura, per la quale aveva pure facoltà. La ricezione del nuovo rituale è stata tiepida e in definitiva delusa. «Le innovazioni sembrano impercettibili, ma specificano in modo sostanziale il significato del sacramento cristiano rispetto al matrimonio creaturale sia a livello di sequenze rituali che di contenuti ecologici» (196). Ma il rito riformato resta debole «dal punto di vista della strutturazione rituale» (206). La terza parte torna sulle ambiguità irrisolte – antropologiche e teologiche –, evidenziate dall’analisi del rito, concentrandosi sulle difficoltà alle quali la pastorale va inevitabilmente incontro. Le scienze che studiano la condizione biologica e umana dell’esperienza di coppia hanno svelato come essa sia il teatro ove si scontrano pulsioni biologiche e contenuti simbolici primari di forte intensità, precedenti e perfino sovrastanti l’intenzionalità consapevole e la «buona volontà». L’insistenza della dottrina cattolica sulla fedeltà e l’indissolubilità del sacramento, a titolo d’esempio, non pare tenerne conto. «La difesa a oltranza del valore antropologico- creaturale del matrimonio gli ha impedito [al cristianesimo] di elaborare con maggiore coerenza lo specifico della grazia elargita a chi si sposa nel Signore.
È come se il cristianesimo avesse peccato per eccesso di zelo nel custodire il valore umano del matrimonio». Proprio quel sostrato – essenziale – umano del quale però non ha approfondito adeguatamente la valenza. L’autore in conclusione insiste sulla necessità che teologia, etica teologica, prassi pastorale e diritto canonico approfondiscano le aporie evidenziate, all’origine di un diffuso disagio pastorale. Il testo è decisamente più articolato e acuto nell’analisi fenomenologica e nella prima parte in particolare, evidentemente per la competenza specifica del suo autore. Ha il grande merito di tenere il quesito sulle tensioni irrisolte, delle quali giustifica la persistenza con una documentazione ampia. L’elaborazione si ferma al punto interrogativo, al quale si approda da approcci diversi, percorsi autorevolmente. Il resto è un cammino ancora tutto da percorrere. Il dibattito successivo agli adattamenti del rituale del matrimonio introduce a «una teologia del dono di grazia non riconducibile alla reciprocità del consenso tra i coniugi, che pure rimane con la sua positività creaturale. Sull’amore umano, benedetto da Dio fin dalla creazione del mondo, viene riversata la grazia dell’agape che regola i rapporti trinitari e con la Chiesa, cosicché anche il matrimonio nel Signore diventa segno efficace della grazia, o segno della nuova alleanza. In tal modo si rispettano i due livelli, creaturale e sacramentale, non si contrappongono, non si elidono, entrano in sinergia come la carne e lo Spirito nel Verbo incarnato» (272).
Tratto dalla Rivista Il Regno 2009 n. 18
(http://www.ilregno.it)
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