La forza della grazia
-La teoria della causalità sacramentale
(Studi e ricerche)EAN 9788830809420
Atto d’omaggio all’acutezza con cui p. Ludovico Billot (1846-1931) ha trattato, in perfetta fedeltà alla tradizione tomista, la questione della teoria della causalità nel sacramento, espressa in particolare nella Disputatio previa – De sacramentis in communi. Nel rigoroso difensore della scolastica vi è una capacità non abituale di confrontarsi con la storia. A partire da questa riscoperta lo studio si propone d’avviare l’indagine critica e lo scavo sistematico della nozione di sacramento, il cui uso generalizzato minaccia lo svuotamento del suo contenuto più proprio. Testo di studio.
Tratto dalla Rivista Il Regno 2009 n. 16
(http://www.ilregno.it)
Nell’accingermi a recensire questo corposo testo di G. Vergano, non posso non richiamare la fonte primaria a cui l’A. fa riferimento nell’indagare sulla teoria della causalità sacramentale del teologo gesuita L’ Billot. Si tratta della teologia scolastica che vede come maggior esponente Tommaso D’Aquino il quale, nella Summa Theologiae, ritiene che tutti i sacramenti siano finalizzati alla santificazione dell’uomo, e ciò sia che questa venga intesa nella sua causalità efficiente (il Mistero Pasquale di Cristo), sia nella sua causalità formale (la grazia santificante) o, per ultimo, nella sua causalità finale (la vita eterna) (III, q. 60, a. 3). Tommaso, da parte sua, spiega che la natura della causalità dei sacramenti, comunque venga compresa (efficiente, formale, o finale) rientra nella categoria della causalità strumentale.
In sostanza ciò significa che ai sacramenti non compete il ruolo di cause principali della santificazione dell’uomo (perché questo ruolo spetta solo a Gesù Cristo nella potenza dello Spirito Santo), ma neppure semplicemente il ruolo di cause secondarie oppure quello di puri segni. Molto più significativamente, nell’ambito della comunicazione della grazia, i sacramenti sono cause strumentali indissociabili dalla Causa Principale, e dunque segni e strumenti, che trasmettono nei membri del corpo di Cristo la grazia scaturente dal Mistero Pasquale del loro Capo (III, q. 62, a. 1). Tale teologia sacramentale di Tommaso, con cui Billot si confronta apertamente e coraggiosamente, se da un lato tenta di evidenziare le diverse componenti del sacramento come segno e strumento della grazia (la quale agisce, occorre ricordare, ex opere operato), dall’altro sembrerebbe trascurare, o perlomeno non porre sufficientemente attenzione, alla dimensione propriamente antropologica che caratterizza la celebrazione del sacramento stesso. Lo svolgersi della celebrazione sacramentale chiama in causa non solo quanto accade da parte di Dio per la santificazione dell’uomo, ma anche quanto accade con l’uomo e a partire dall’uomo, nel momento stesso in cui l’efficacia specifica previa di ogni sacramento richiede irrevocabilmente un radicale consenso umano all’azione di Dio in Cristo Gesù e nello Spirito Santo, affinché tale efficacia sia attuata o, come forse sarebbe più corretto dire, sia accolta.
Il problema in esame, di come si possa e si debba considerare le disposizioni del soggetto ricevente di fronte al sacramento, è in sostanza il contributo più saliente che inerisce la teoria di Billot circa la causalità sacramentale intesa nei termini di una grazia non solo santificante, ma anche disponente il soggetto ricevente ad accogliere la santificazione. Quanto Vergano pone in evidenza nel suo studio delle posizioni di Billot è piuttosto complesso, e costantemente accompagnato da minuziose indagini linguistiche sui testi originali, come pure sul più ampio contesto della teologia sacramentale della seconda metà dell’Ottocento. Ciò che ne emerge è pertanto un’analisi puntigliosa che tenta di coniugare l’esigenza della tematizzazione dell’esperienza soggettiva del .ricevente il sacramento., con la trascendenza del soprannaturale dono di grazia veicolato dal sacramento stesso. Se il primo capitolo dello studio in esame offre rilievi contestuali assai importanti, il secondo capitolo costituisce il caposaldo di tutta la trattazione, in quanto espone in dettaglio la teoria sacramentale billottiana, ponendola sul piano di una ricognizione creativa della teologia tomista delle origini (XIII secolo). Tenendo conto dei dati emergenti dal secondo capitolo, appare ben chiaro che il sacramento è certamente causa strumentale della grazia (in linea con il pensiero di Tommaso D.Aquino), ma anche dispone a riceverla (e ciò è proprio il nucleo portante, o forse esclusivo, dell’originalità della tesi dispostitivo-intenzionale di Billot); pertanto la grazia del sacramento aggiunge all’opera della santificazione l’opera concomitante della giusta disposizione del ricevente il sacramento. Come rileva l’A., ciò che suddetta grazia aggiunge è, secondo Billot, il divino aiuto indispensabile per perseguire il fine specifico di ogni sacramento (cf 94), aiuto senza il quale il sacramento non sarebbe pienamente attuato nella sua efficacia. L’associazione che si evidenzia tra il conferimento della grazia e le disposizioni del soggetto, secondo lo studio in esame, si radicherebbe autorevolmente nella dottrina conciliare tridentina che riguarda specificatamente la giustificazione (cf 95), ma indubbiamente, a mio modesto avviso, si può trovare un notevole accostamento (pur con diverse differenze rispetto alla tesi di L. Billot) a quanto afferma anche il Concilio Vaticano II, secondo cui, dai sacramenti, e particolarmente dall’Eucaristia, «deriva in noi, come da sorgente, la grazia, e si ottiene con la massima efficacia quella santificazione degli uomini nel Cristo e quella glorificazione di Dio, alla quale tendono, come a loro fine, tutte le altre attività della Chiesa. Ad ottenere però questa piena efficacia, è necessario che i fedeli si accostino alla liturgia con retta disposizione d’animo, armonizzando la loro mente con le parole che pronunziano e cooperino con la grazia divina per non riceverla invano» (SC 10- 11).
In tal senso, «i sacramenti sono ordinati alla santificazione degli uomini, alla edificazione del corpo di Cristo, e infine a rendere culto a Dio; in quanto segni, hanno poi anche un fine pedagogico. Non solo suppongono la fede, ma con le parole e gli elementi rituali la nutrono, la irrobustiscono e la esprimono; perciò vengono chiamati .sacramenti della fede.. Conferiscono certamente la grazia, ma la loro celebrazione dispone molto bene i fedeli a riceverla con frutto, ad onorare Dio in modo debito e ad esercitare la carità» (SC 59). Premessa l’evidente analogia, va però aggiunto che la netta differenza tra le tesi di Billot e i dettati conciliari del Tridentino e del Vaticano II, comporta che se per il teologo gesuita la causalità sacramentale riguarda non tanto la grazia in quanto tale (che si suppone contenuta nel sacramento), ma la grazia in quanto causativa di una buona disposizione del soggetto ricevente, per i Concili suddetti la causalità sacramentale riguarda, da un lato, la loro immediata operatività circa l’effetto della grazia che fluisce da essi come da sorgente e, dall’altro, un’effettiva azione disponente il ricevente, senza però che tale azione comprometta l’adesione libera dello stesso (aspetto questo su cui Billot trascura di indagare adeguatamente). Secondo il Vaticano II, il sacramento è certamente un segno efficace della grazia, sebbene tale segno supponga la fede e necessiti, al fine dell’ottenimento della grazia in essi espressa, una retta disposizione da parte del ricevente, disposizione tra l’altro corroborata dalla stessa celebrazione sacramentale. Il fatto che, come evidenzia ancora il Vaticano II, il ricevente sia chiamato a cooperare alla grazia divina per non riceverla invano, ben attesta che il dono della grazia non dipende né dal ricevente, né dalle sue disposizioni più o meno adeguate; semmai il dono della grazia può permanere nel ricevente in uno stato latente qualora esso non sia ben disposto a riceverlo, ma questo non significa che esso sia inefficace, visto che i sacramenti conferiscono certamente la grazia. Billot non era probabilmente di questo avviso quando spostando la sua riflessione poderosamente nell’ambito antropologico della ricezione "ben disposta" del soggetto ricevente, finiva . forse suo malgrado . per affidare alla causalità dispositiva tutta la sovrana efficacia dell’azione divina. In tal caso però essa risulterebbe assai limitata dalla libertà dispositiva- intenzionale dell’uomo che tuttavia è difficilmente ascrivibile a una consapevole libertà in esercizio, visto che tale disposizione intenzionale è prodotta da Dio e non dall’uomo che consapevolmente si rende auto-responsabile della sua determinazione verso l’accoglienza della grazia di Dio.
La disposizione rettamente intesa comporta indubbiamente una cooperazione o - si potrebbe meglio dire - una sinergia tra la grazia di Dio e l’accettazione libera dell’uomo, questione che purtroppo Billot non è riuscito a ben evidenziare, lasciando ampio spazio a fraintendimenti di ogni genere. Rimane tuttavia importante il fatto, ben evidenziato dall’A., che la tesi dispositivo intenzionale di Billot costringe la teologia sacramentale a uscire da una certo pericolo di fisicismo sul modo di intendere la grazia sacramentale, optando per una espansione della riflessione sui sacramenti che tenga conto non solo del versante divino della grazia, ma anche della statura interiore del ricevente, tutt’altro che relegata a una condizione passiva nei confronti della grazia. La stessa accoglienza della grazia sacramentale è già di per sé una forma di attività supportata dall’azione di Dio, attività cooperante che merita più ampia riflessione da parte della teologia sacramentale. Se la teologia scolastica considerava la strumentalità sacramentale più in funzione di Dio che non della persona del ricevente, Billot da parte sua finisce per considerare la questione all’opposto, spostando l’ago della bilancia sul contrappeso corrispondente. Perché la giusta fisionomia della strumentalità sacramentale non venga deformata è evidente che si richieda di porre l’ago della bilancia sul punto di mezzo, in modo tale da restituire al sacramento il giusto ruolo di servizio svolto sia al Donante che se ne serve, che al ricevente che ne viene servito.
Da un punto di vista pastorale, la questione sollevata drasticamente da Billot, ma poi riequilibrata in sede di dibattito Conciliare al Vaticano II, è di notevole importanza, dal momento che oggi è necessario ricollocare le celebrazioni sacramentali nel contesto di un’agire cosciente che richiede da parte dell’intero popolo di Dio la consapevolezza di essere chiamati a corrispondere a quelli che molto opportunamente il concilio chiama sacramenti della fede, con tutta la pregnanza che la parola fede comporta sia per quanto riguarda il dono di Dio sia per quanto riguarda la risposta dell’uomo. Lo studio di G. Vergano si presenta, pur con tutta la sua complessità teoretica, come uno strumento di indagine originale che ha il merito di rievocare prospettive troppo sbrigativamente poste in secondo piano, prospettive che forse, se ben intese e ben interpretate (si veda il terzo e quarto capitolo del volume), possono rinvigorire una prassi sacramentale che non deresponsabilizzi l’uomo di fronte al dono di Dio, essendone egli stesso coinvolto in prima persona dal momento che Dio stesso richiede un’accoglienza sorretta da una giusta disposizione d’animo, che non è solo opera della grazia, bensì anche atto umano, come attesta ancora il Concilio: «Così la liturgia dei sacramenti [...] offre ai fedeli ben disposti la possibilità di santificare quasi tutti gli avvenimenti della vita per mezzo della grazia divina che fluisce dal mistero pasquale [...] dal quale derivano la loro efficacia tutti i sacramenti» (SC 61).
Tratto dalla rivista "Rassegna di Teologia" n. 4/2012
(www.rassegnaditeologia.it)
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