Il sacramento cristiano. Sul simbolo rituale
(Leitourgía. Sez. teologica) [Libro in brossura]EAN 9788830809284
«Il sacramento non si ‘aggiunge' alla fede bensì esso configura nel tempo la ‘forma' indispensabile alla fede, se esso la configura è perché la rende in misura efficace avverabile... In effetti il sacramento, quando se ne consideri l'assetto concreto, fornisce la conveniente figura non solo per come Dio appelli l'uomo ma anche per come l'uomo risponda all'appello divino... Senza dubbio la domanda sulla fede non è riducibile alla domanda sul sacramento, ma la domanda sul sacramento non è né problema accessorio né problema esteriore alla decisiva domanda sulla fede» (pp. 8-9). In questi tre frammenti dell'Introduzione il lettore può già percepire tesi e linguaggio da affrontare coraggiosamente nelle 240 pagine offerte da Sergio Ubbiali. La dedica del volume «A mia madre» potrebbe far pensare a una proposta lineare quasi catechistica: in realtà il lavoro dell'amico teologo milanese si presenta, tematicamente e ancor più linguisticamente, impegnativo tanto che certe pagine chiedono doppia lettura per il periodare aristocratico e talora disturbato da una aggettivazione ricercata e sovrabbondante, con l'aggiunta di qualche volo pindarico (di cui il lettore veneto non sempre riesce a rendere conto) e di qualche iniziale maiuscola che vorrebbe forse rendere orante il momento della riflessione proposta.
Potendo far leva su una invidiabile conoscenza della letteratura teologica del 1600-1700 (da non dimenticare l'antico pregevole scavo per il dottorato del nostro A.), nel primo capitolo Ubbiali affronta Il problema ripercorrendo la storia postridentina sulla definizione e concezione del sacramento onde precisarne la dinamica nell'accedere al dono salvifico divino. Ai nostri giorni il principio guida lo fornisce la prassi sacramentale studiata da un reale interessamento al dinamismo liturgico, con un ritorno allo studio dei Padri illuminanti sul valore del sacramento come momento primario in ordine alla fede. Ma il manuale moderno postridentino si soffermava sul discorso razionale del segno sacro di agostiniana memoria, come preambolo indispensabile alla riflessione sul sacramento: preoccupato tutt'al più dell'istituzione da parte di Cristo ma dissociato dai contenuti reperibili nella rivelazione divina sull'uomo. Billot eleverà la res et sacramentum a coefficiente centrale per cosa il sacramento è, onde spiegare come il sacramento accade sempre come sacramento valido anche se non sempre come sacramento fruttuoso, e comunque mai come opera magica. Sarà il modernismo a rinvenire nel discorso biblico in maniera nuova il rimando alla fede, dato che il cristianesimo è in sé realtà vivente. Per Loisy i sacramenti si porgono come realtà appunto viventi, non come istituzioni espressamente definite: è lo spirito del Cristo risuscitato che ha dato senso e vita ai riti, e l'istituzione divina non si riduce a un mero episodio storico fisso. Tyrrel aggiunge indispensabile l'esperienza e il sentimento della vita concreta, per cui coloro che vivono meglio la vita di fede conoscono meglio anche la dottrina.
Con Oddo Casel la «dottrina dei misteri» suggerisce come doveroso avvio l'azione cultuale, la celebrazione ecclesiale: il sacramento lo si configura juxta sua propria principia se ci si appella al mistero di Cristo, della cui vita i sacramenti sono in primo luogo i portatori e mediatori. Il segno sacro non è mai solo una semplice immagine, bensì sempre colmo di realtà sacra, per cui i segni sono Dei corpus, in analogia a Cristo. Secondo Casel «immediatezza, oggettività, visibilità appartengono all'essenza dei sacramenti cristiani» (p. 40). Su questa linea il concilio Vaticano II matura la domanda sul senso del cammino umano, recuperando il duplice principio di tradizione e di adattamento e premurandosi perché il culto cristiano divenga accessibile all'uomo così come egli si esperisce nel XX secolo. Le azioni liturgiche sono definibili come eventi della storia della salvezza, in analogia ai mirabilia Dei: in causa vi è l'azione divina, e la fede si apre alla continuità di un disegno in un solido rimando verso la parousia. Il dopo concilio offre un programma riflessivo scandito da vari principi. Ubbiali inizia dal principio comunicativo di Peter Hünermann: con i sacramenti si hanno i momenti medianti affinché la comunicazione divina si adempia; la Chiesa opera insieme a Cristo nello Spirito, essa è strumento per l'opera divina, in essa gli uomini pervengono al nesso con Dio e giungono al nesso fra loro. Walter Kasper richiama la chiesa all'evangelo come il suo novum fondandosi sul principio evangelico e Otmar Meuffels, applicando il principio pragmatico, rimanda all'alleanza con la quale Dio si lega alla vicenda umana ribadendo la dimensione sacramentale come irrinunciabile per il senso umano. Non può mancare un rinvio alla fenomenologia del dono di Jean-Luc Marion nel segnalare i nuovi paradigmi additati alla riflessione teologica contemporanea, procedendo secondo la logica appello-risposta.
Nel secondo capitolo, intitolato Il rito, Ubbiali prosegue il discorso quasi introduttorio al sacramento cristiano, dialogando con teologi europei che riconoscono l'attuale dibattito culturale disponibile al sacro ma che insieme cercano per la fede cristiana la tipica dimensione originaria. L'area francese con Geffré, Chenu e Daniélou ritiene indispensabile misurarsi con il sacro originario: esso coincide con la verità dell'uomo letto come mistero comunionale con Dio e con gli altri; dunque il sacro è una relazione, non una cosa o un luogo (cf. p. 80). Semmai per Karl Barth (che sa dialogare bene con Zwingli) è più precisamente Gesú che circoscrive il luogo nel quale Dio si rivela dischiudendovi cosa egli genera rivolgendosi alla creatura umana. Unico sacramento in senso proprio è Gesú Cristo; la Chiesa non possiede profilo sacramentale, come del resto le azioni ecclesiali, pur essendo irrinunciabili per l'esistenza cristiana. La Scrittura resta principio non surrogabile, il cui richiamo sospende la fase nella quale un eventuale rinvio al dogma prevale. Per Bultmann il sacramento ha ancor meno rilievo nell'esistenza umana autentica: vi provvede solo la fede. I sacramenti non risalgono a Cristo, ma sono opera successiva della chiesa in parallelo con i misteri ellenistici: verificando come la parousìa ritardi, la chiesa smarrisce il dinamismo divino iniziale e ne spinge la realizzazione in un tempo lontano. In realtà Cristo ha dato ai Dodici l'incarico dell'annuncio del Regno la cui grazia (e dunque anche la fede) raggiunge l'uomo hic et nunc secondo l'indicazione giovannea: solo il kerigma rinnova l'uomo, lo salva aprendogli l'esistenza autentica, lo interpella verso nuove radicali comprensioni.
In dialogo con i due grandi teologi accennati Eberhard Jüngel, da buon terzo evangelico, si prefigge la comprensione del sacramento nella quale emerga l'esclusivo appoggio sull'evento divi-no. Il sacramento chiede come si armonizzino tra loro due aspetti: da un lato l'esclusione di ogni at-tività umana intesa come prestazione e dall'altro l'azione sacramentale conforme all'Evangelo. Richiamando Schleiermacher e ponendo uno stimolo critico alla teologia evangelica e alla teologia cattolica sulla categoria pacificamente accettata di segno, Jüngel ripropone come significativa l'azione rappresentativa quale «azione sabbatica» per mezzo della quale noi veniamo sgravati da noi stessi, e non cerchiamo come scopo nessun «prodotto». Decisiva vi permane invece la parola come verbum fidei: mentre dal punto di vista esegetico non è giustificato un concetto generale di sacramento, in connessione all'evento cristico i sacramenti ecclesiali si confermano comprensibili come segni escatologici nei quali l'uomo celebra l'evento Gesú (cf. p. 103).
Con tali sollecitazioni la teologia si pone la domanda se l'accesso alla fede includa o meno l'episodio rituale: i protagonisti benedettini del movimento liturgico, in palese dissenso con l'individualismo di ispirazione protestante, colgono nell'azione liturgica la specifica preghiera della Chiesa e nel rilancio della comunità liturgica l'efficace rimedio per la formazione dello spirito cristiano. Un incoraggiamento dal versante sociologico lo aggiunge Durkheim, che vede nel rito l'elemento indispensabile perché il gruppo sociale si formi, in specifico legame con la fede. L'approccio strutturalista apre altri varchi e suggerisce altre analogie e raccordi del cerimoniale con il gioco, il desiderio, la decisione e l'etica.
E rispunta il simbolo come luogo nel quale la verità si svela all'uomo, possedendo dimensione dialogica e insieme iperbolica, capace perciò di legare gli uomini fra loro e di aprirli verso l'opera divina marcando una eccedenza e una conversione. Accogliendo gli impulsi di altri studiosi L.-M. Chauvet individua nei sacramenti l'originale ordine simbolico cristiano, le più istituite delle mediazioni ecclesiali del rapporto con Dio: l'ordine simbolico cristiano ribadisce il modo con il quale il reale si propone all'uomo schiudendosi in forma mediata, in una accettazione dello scambio sociale e culturale che biblicamente si chiama alleanza. L'uomo accede al divino solo aderendo a cosa la pratica rituale gli significa. La liturgia è la grande pedagogia in cui impariamo ad acconsentire a questa «mancanza» della presenza di Dio che ci chiede di dargli corpo in questo mondo, compiendo così il sacramento in liturgia del prossimo, e la memoria rituale di Gesú Cristo in memoria esistenziale (cf. p. 123). Conclusivamente l'azione rituale sacramentale si rivela preziosa, anzi indispensabile, perché vi si attinge l'origine in cui l'uomo sorge come uomo e Dio gli si rende inseparabile se l'uomo lo accoglie: il rito cristiano consegna all'uomo la forma in base alla quale egli può credere. L'uomo vi si coinvolge credendo nell'evento Gesú che lo chiama in causa e lo avvia a Dio Trinità, l'Originario sul quale il mondo si regge.
Sotto il titolo Canone il terzo capitolo, pur riconoscendo che i documenti neotestamentari non si soffermano in particolare sui gesti sacramentali, evidenzia che il ricco sfondo cultuale è il milieu in cui si rilancia la fede in Cristo Gesú e in cui sorge il linguaggio comune alle comunità cristiane anche per il kerigma e l'omologia. Il processo cultuale-sacramentale dispone quella originale dinamica per la quale chi crede accede al Dio divino vicino all'uomo: i gesti sacramentali emergono come i primari domini in cui l'originario annuncio cristiano si pronuncia e l'uomo si impegna nella fede. Già la seconda lettera ai Tessalonicesi è, per Ubbiali, sintomatica per il gesto ecclesiale pub-blico in grado di isolare gli «oziosi» ma in modo che nessun fratello si perda. Vi si segnala il profondo legame della colpa con il perdersi radicale, il che mette in moto l'impegno della Chiesa. Luogo specifico per il risveglio personale è il gesto nel quale la Chiesa avvicina il colpevole, convinta di agire «nel nome del Signore nostro Gesú Cristo» (1Cor 5,4). In particolare è Jürgen Moltmann ad aggiungere la logica della promessa, l'apertura al futuro appoggiando il sacramento sulla forza dello Spirito, in cui Dio si piega verso gli uomini. Oltre all'episodio lucano di Emmaus, è il quarto evangelista a porre la domanda sul legame della «frazione del pane» con la fede: mentre gli altri testi dell'istituzione eucaristica sottolineano il rito, Gv 6 mira all'approdo della fede senza la quale il rito non servirebbe a nulla: il pane per la vita eterna lo si acquisisce credendo. In connessione alla fede il segno comanda l'annuncio per il «di più» ancora invisibile. Ma la fede è per l'uomo impresa rischiosa: la ricerca esegetica certo indaga il senso letterale, ma è l'assenso libero che vi raccoglie il senso ultimo ponendo in connessione il sangue, il pane, il vino, la parola. Il luogo dell'eucaristia è anticipazione della prova, contrassegna l'alleanza del Servo che offre se stesso ponendo fine alle vittime sacrificali. Chi vive l'adesso del memoriale è il popolo insieme al Servo che con la morte raccoglie su di sé la complessiva vicenda umana.
Per iniziare la riflessione del quarto ed ultimo capitolo su Il simbolo non può che proporsi un dialogo con Karl Rahner, la cui notissima analisi sul simbolo reale porta, in luce cristologica, a concludere: il tutto, nella sua simbolicità, ha una profondità imperscrutabile che soltanto la fede può scandagliare. In Cristo, nella Chiesa e nei sacramenti la grazia di Dio si attualizza efficacemente, creando la sua espressione e tangibilità storica nello spazio e nel tempo: proponendosi nel simbolo, la grazia divina vi affiora esprimendo cosa essa è in sé come volontà salvifica divina. All'analisi di Rahner, Hans Urs von Balthasar aggiunge e oppone il richiamo al dramma fra il Dio libero e l'uomo libero, indicando nel Crocifisso il segno reale nel quale il dramma Dio-uomo si offre. Se il mondo è salvo è perché Dio abbraccia l'uomo in Gesú come l'unico insieme: l'admirabile commercium Balthasar lo scopre fra i padri greci in Origene. Il corpo coincide con il luogo nel quale Dio dona il Verbo; fonte di ogni salvezza è l'umanità del Salvatore, il corpo dunque non è esteriore alla verità divina. E nel sacramento il segno non vive più per sé: anche per Balthasar il simbolo è reale.
Per Gerhard Ludwig Müller, che prosegue soprattutto il discorso rahneriano, l'odierna crisi dell'idea sacramentale è l'espressione della profonda incapacità dell'uomo moderno di concepire simbolicamente tutta la realtà della vita, nonostante l'apporto di varie scienze che indirizzano in tale lettura. Guardando le cose solo dal punto di vista funzionale, se il reale diventa il verificabile e la fede è l'irreale, si prospetta difficile il riferimento all'orizzonte universale dell'essere e al fondamento di tutto l'essere. Se si riesce a leggere il corpo come simbolo originario per l'uomo, eventi significativi dell'esistenza concreta diventano punti nodali e simboli chiave che abilitano l'uomo a capire il sacramento e ad accedere al divino; è inderogabile la connessione tra simbolo e realtà. A questo punto Ubbiali ripercorre, approfondendola, la spinosa vicenda che ha caratterizzato la riflessione teologica occidentale partendo da Agostino con il progressivo distacco tra signum e res, che passa attraverso Isidoro di Siviglia e Berengario di Tours, lasciando in secondo piano il nesso con la fede. In tale clima sorge nel secolo XII il discorso sul sacramento in generale (Ugo di San Vittore insinuerà che il sacramento diventa causa gratiae) e il commento alle Sententiae sostituirà il commento alla sacra pagina. Con Tommaso e Bonaventura la teologia passa in rassegna i numerosi elementi ai quali la Chiesa fa appello, correlandoli. Il nominalismo di Guglielmo di Ockham slitterà oltre la più comune indagine teologica che salva il segno in ordine al discorso sul sacramento.
Ma Dio propone nei sacramenti i segni più vicini a cosa egli dona con la grazia. Su tale linea la katholische Tübinger Schule si oppone agli influssi kantiani, unificando suggerimenti provenienti dalla letteratura, dalla ricerca positiva, dalla filosofia e dalla teologia. Il romanticismo esplicita il rinvio alla storia e, nel suo disegno, il simbolico risveglia lo specifico senso unitario al quale le generali forme simboliche soddisfano, aprendo nuovi varchi anche alla riflessione sul sacramento. Si potrà allora riprendere la linea che passa per Cristo, attraversa la Chiesa, spiega i singoli sacramenti: l'uomo accede al senso solo implicando se medesimo. Il senso profondo, per il quale l'uomo vive, sfugge a qualunque approccio neutrale: la fede non è per l'uomo né la semplice resa al divino né la fine per la cura riguardo a sé. L'uomo non domina su chi lo rende in senso reale uomo; nel simbolo cristiano l'uomo ha accesso al nuovo senso, predisposto dal simbolo in generale: con il sacramento si dischiude l'impulso per quella doverosa conversione alla quale la Chiesa si consegna nel confronto con la vicinanza di Gesú Cristo.
Le ultime venti pagine del volume sono dedicate all'efficacia in dimensione sacramentale, che valorizza in primo piano il vincolo all'altro uomo, in quanto la trascendenza divina dispone l'uomo nella feconda posa dialogica (cf. p. 216). L'interlocutore criticamente apprezzato è individuato in Franz-Joseph Nocke, il cui schema riflessivo sul simbolo sacramentale non giungerebbe a spiegarne in modo conclusivo il processo se non in forma assai generica: il teologo tedesco non si sofferma su quale ruolo organico il simbolo sacramentale incorpori in ordine alla fede. Seguendo piuttosto da vicino Freyer e più a monte Levinas, Ubbiali afferma ( e ne riportiamo le frasi principali) che la fede assume sempre forma reale se il consenso umano al Dio divino si sorregge su quello specifico dinamismo con il quale il simbolo sacramentale si espone. In realtà il simbolo sacramentale provoca l'uomo all'esistenza, rivelandogliela come il luogo nel quale egli coglie cosa per sé desidera. Nel sacramento la forma coincide con la forza, ovvero l'accesso umano a Dio ha luogo laddove l'uomo insegue il concreto svolgimento nel quale il simbolo sacramentale si produce. Ciò che il sacramento fa coincide con ciò che il sacramento è. L'ex opere operato designa come per il soggetto il simbolo sacramentale possieda irriducibile dimensione oggettiva, anche se ciò non significa ‘automatica' o persino «meccanica»: la trasmissione della grazia dipende anche essenzialmente dalle disposizioni del soggetto ricevente, ossia dalla fede. Levinas e Freyer suggeriscono che l'unico luogo disponibile perché il nesso all'Originario si apra, sorge laddove l'io esperisce l'altro come altro. Il legame intersoggettivo è il luogo d'origine per l'uomo in senso umano: l'altro rimanda in effetti all'Altro, essendone la sola valida metafora. Nel simbolo sacramentale, indispensabile per l'accesso umano all'Originario divino, l'uomo decide su di sé.
Dopo il punto fermo dell'ultima frase, il bel volume di Ubbiali non aggiunge conclusivamente altro se non l'Indice asciutto e scheletrico. Dopo quel punto fermo noi avremmo desiderato ancora una pagina conclusiva più personale firmata dal teologo milanese: pagina in grado di richiamare in sintesi il filo del già detto, di puntualizzare una propria proposta e di esplicitare qualche conseguenza per la teologia italiana. A questa nelle 240 pagine viene offerto un dialogo con propo-ste di vari Autori d'Oltralpe, dialogo che sembra concretizzare una probabile preziosa missione del-la «Scuola milanese» nei confronti della riflessione mediterranea: ne fanno fede anche le corpose note di appoggio.
E tuttavia una pagina di riflessione tipicamente personale a conclusione del volume rimane purtroppo nei desideri di chi scrive queste righe: desideri accompagnati e motivati anche da forti dubbi di aver riportato esattamente il percorso e l'ampia rassegna di Ubbiali. Per la stima e l'amicizia verso il bravo teologo milanese non ci dispiace di aver affrontato la lettura decisamente laboriosa del libro. Abbozzarne una sintesi è sempre un tentativo utile almeno per lo stesso lettore-recensore, anche se costituisce un ulteriore impegno e una esposizione che comporta un confronto almeno indiretto con l'autore e con altri recensori. Ma il linguaggio usato da Ubbiali ha costituito una dura barriera alla comunicazione con chi non ha più l'età e la capacità di aggiornamento di un teologo milanese. Pensiamo che anche per gli alunni e per lettori più giovani sarà uno cammino in salita percorrere le 240 pagine e assegnare il senso esatto, ad esempio, agli aggettivi che si troveranno davanti quasi ad ogni pagina (indecifrabile, imperscrutabile, inderogabile, indisponibile, inadeguabile, ineccepibile, indeducibile, riversabile...).Qualche perplessità ce la lasciano anche gli asciutti titoli dei capitoli, sotto i quali non sempre è facile intuire il possibile e probabile contenuto della pagine, anche se scandite da una numerazione che dovrebbe segnare i gradini della lettura. Il filo più lineare noi l'abbiamo individuato nella cronologia delle proposte degli interlocutori: nel variopinto dialogo con loro Ubbiali si inserisce con indubbia capacità e competenza.
Ribadiamo alla fine il desiderio: di conoscere più precisamente la proposta di Ubbiali, aldilà di tutti i dialoghi e personaggi importanti e i passaggi storici e i ricami teologici, indubbiamente utili specie per chi non ha molte possibilità di aggiornamento. Ecco perché la pagina conclusiva del volume rimasta bianca potrebbe diventare una proposta, onde precisare limpidamente ancora una volta il rapporto rito e fede, oggettivo e soggettivo, originario e copia nel sacramento cristiano.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2008, nr. 3
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)
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