Caro Leone ti scrivo
-Gli autografi di Francesco: memoria di una grande amicizia
(Memoria e profezia)EAN 9788825049596
PIETRO MARANESI
CARO LEONE
TI SCRIVO
Gli autografi di Francesco:
memoria di una grande amicizia
Prefazione di Attilio Bartoli Langeli
ISBN'978-88-250-4959-6
ISBN'978-88-250-4960-2'(PDF)
ISBN'978-88-250-4961-9'(EPUB)
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D S
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PREFAZIONE
È difficile non aver caro frate Leone: buono e pacifi-
co come una pecorella, un po' grosso di testa e di corpo
come un bue, fedele di una fedeltà imperitura come un
cane. L'ebbero caro Angelo e Rufino, i frati che con lui
formarono quell'autore collettivo che va sotto il nome
di Tres socii; l'ebbe caro sorella Chiara, che si nutrì della
sua memoria e della sua sapienza per fissare su carta le
proprie intenzioni; l'ebbero caro tutti i frati che intese-
ro seguire e riprodurre l'esempio del grande fondatore.
L'hanno poi avuto e lo hanno caro, frate Leone, molti
studiosi dell'età nostra, a cominciare da Paul Sabatier,
che gli conferì (a lui, o meglio agli scritti che gli attribui
va) l'aura di testimone per eccellenza di frate Francesco,
portatore di verità contro le malefatte degli agiografi uf-
ficiali.
Prima e più di tutti l'ebbe caro frate Francesco. Te-
stimonianza diretta del rapporto specialissimo tra i due
' una testimonianza di immediata evidenza, tutta mate-
riale e insieme spirituale ' sono i due biglietti, o fogliet-
ti, o chartulae, che Francesco scrisse di proprio pugno
a lui e per lui. Sono, come tutti sanno, la breve lettera
conservata a Spoleto e il foglio contenente da un lato le
Laudes Dei altissimi e dall'altro la Benedictio a frate Leo-
ne stesso, foglio conservato ad Assisi.
5
Ne scrisse, di biglietti come questi, solo a Leone' Cer-
tamente no. Francesco ne scrisse molti a molti; i quali
però non li conservarono. E allora, l'altra domanda: a
Leone, Francesco scrisse solo quei due' Probabilmente
sì, perché lui, unico tra tanti, i due foglietti li conser-
vò come reliquie del suo santo; ne avesse avuto altri, li
avrebbe circondati d'attenzione. Dico 'probabilmente'
pensando alle vicende piuttosto fortunose della letteri-
na di Spoleto, rimasta nascosta per quasi mezzo secolo e
riemersa faticosamente non una ma tre volte: ce n'erano
' e magari ce ne sono ' altri, di biglietti di Francesco a
Leone, sepolti da qualche parte' Sta di fatto che, stando
alle cose conosciute, c'è un nesso necessario tra l'auto-
grafia di Francesco e la sua amicizia con Leone. Ed ecco
il sottotitolo di questo libro. Il primo e principale titolo
non ha bisogno di commenti. Se non forse per chi non
conosca Lucio Dalla.
Ecco dunque Pietro Maranesi cimentarsi sui due
autografi conservati di Francesco d'Assisi. È l'ultimo
di una bella schiera di studiosi, lontani e recenti, che
si sono applicati a leggerli. A leggerli secondo due pro-
spettive: quella filologica e paleografica, e quella ese-
getica. Questa seconda ha visto succedersi alla ribalta
Felice Accrocca, Jacques Dalarun, Cesare Vaiani, Jesús
Torrecilla, Leonhard Lehmann e altri, in una bella pro-
gressione di punti di vista individuali. Più irrequieta è la
situazione delle analisi paleografiche e delle ricostruzio-
ni filologiche, che invece dovrebbero esser fatte apposta
per approdare, prima o poi, a risultati definitivi e paci-
ficanti: l'edizione degli Opuscula di Kajetan Esser (1976
e 1989)' Superata ben presto, esattamente nel 1994;
l'edizione critica degli Scritti di Carlo Paolazzi (2009)'
6
Non ci siamo ancora, nonostante la grande bravura e le
rette intenzioni dell'editore.
Faccio tre esempi di possibili revisioni: due riguarda-
no la lettera di Spoleto, uno le Laudes Dei altissimi.
' Il 'protocollo', se non è dir troppo, della lettera
di Spoleto. Dovrebbe essere «F(rater) Leo, f(rater) Fran-
cissco tuo», trascrizione con scioglimenti della stringa
originale f leo f fra(n)cis sco tuo, con le due f isolate, senza
punto né prima né dopo (così come non è sicuro che
ci sia punto sul rigo tra f e leo a sinistra del Tau nella
Benedizione). A mio tempo lo giudicai un incipit latino
sgrammaticato: Leo nominativo quando ci vorrebbe il
dativo, e viceversa per Francissco. Unica traduzione pos-
sibile: A Leone il tuo Francesco, come infatti Maranesi
intitolava un suo articolo del 2017, anticipazione di
questo libro. Nessuna sgrammaticatura, dice invece un
italianista di vaglia come Giancarlo Breschi discorrendo
dell'edizione Paolazzi:
Mi domando se nel protocollo, corrispondente alla pri-
ma linea e a parte della seconda, sia corretto sciogliere
in «frater» i due f [...]; il contesto è chiaramente volgare
nell'inscriptio, dove il destinatario, «Leo», sintatticamen-
te irrelato, sarà vocativo; e nell'intitulatio nominativale
del mittente, «Francissco tuo» [...]. Soprattutto sarà da
evidenziare che la cadenza volgare viene sottolineata in
«Francissco» dalla rappresentazione della consonante for-
te preconsonatica con la doppia, fatto che non si verifica
mai nei testi autografi latini [...]. La grafia della s gemina-
ta, come si sa, è affatto corrente nelle scritture volgari [...].
Ne consegue che le due f dovrebbero restituirsi in «fra-
tre», forma mediana, e non soltanto mediana, assicurata
da «matre» del Cantico e attestata a Siena fin dal 1235,
o addirittura in «frate», prescelto da tutti gli editori nel
7
medesimo Cantico. Non ci si meravigli se in una lette-
ra privatissima, destinata ad uno dei suoi soci più fedeli,
Francesco lo alloquisce e si presenta nel volgare delle quo-
tidiane conversazioni (Padre Carlo Paolazzi editore di san
Francesco, in «Studi francescani» 107 [2010], 524-525).
Cosicché avremmo una almeno parziale risposta al
quesito di Maranesi: «Perché Francesco ha scelto il lati-
no e non il volgare nel comporre la lettera'».
' Ancora sull'epistola di Spoleto: le righe 16-19,
quelle del ripensamento di Francesco. Porterò nella
tomba, inascoltato (anche perché non so proporre un'al-
ternativa che tagli la testa al toro), il rifiuto di leggerle
come le leggono Paolazzi e molti altri, prima e dopo di
lui. Lo stesso Breschi, ahimé, avvalorava quella lettura
con fior di argomenti. Ma quell'animam tuam non c'è
e non va. Prova ne sia la traduzione di Maranesi: «E se a
te è necessario che la tua anima, per un'altra tua conso-
lazione, ' e tu vuoi ' ritorni a me, vieni!». Ammettilo,
Pietro, è tutto un arrampicarti sugli specchi, tanto che
dopo un po' te la cavi con una traduzione a senso, liscia
liscia: «Se è necessario per la tua anima: vieni da me!».
E poi, ce lo vedi Francesco che parla/scrive così astratto
e così complicato' Inimmaginabile da parte sua «che la
tua anima ritorni a me», oltre tutto in modalità infini-
tiva.
' Terzo punto. Un luogo critico delle Laudes scritte
nel recto della chartula di Assisi è alla riga 10: «Tu es om-
nia, divitia nostra a(d) suficientiam» stabilisce Paolazzi,
che traduce «Tu sei tutto, ricchezza nostra a sufficienza».
Lezione, questa paolazziana, che risulta da emendazio-
ne: il testo autografo, benché rovinato, porta come ul-
tima parola asuficientia. Non solo, sia omnia che nostra
8
sono aggiunte da Francesco in interlinea: in prima bat-
tuta il suo testo era tu es divitia asuficientia. Pare eviden-
te che quello di Francesco sia un 'falso' neutro plurale,
forse indotto dall'essere divitiae, nel latino classico, un
'plurale tantum'. Un errore di Francesco, o piuttosto
una sua invenzione, a mio avviso davvero efficace. La
pericope vale: «Tu sei tutte le ricchezze a noi sufficien-
ti». Alquanto autoritario è correggere asuficientia in ad
suficientiam; autorizzati dalla ricorrenza in Francesco di
atte e ame (due volte) per ad te e ad me. Emendare si può
solo se costretti; altrimenti, è meglio conservare. Tant'è
vero che frate Leone, così attento a migliorare il latino
del suo beatus pater, lì non tocca nulla.
Dicevo delle due modalità di lettura critica degli au-
tografi: quella esegetica e quella filologica e paleografica;
se si vuole, quella spirituale e quella materiale. Il bello di
questa prova di Maranesi sta nell'unione delle due mo-
dalità. Maranesi è autore avvezzo al commento, alla ri-
flessione, all'intelligenza intesa come intus legere. La sua
perfetta conoscenza degli scritti di Francesco, e perciò la
sua perfetta conoscenza di Francesco, gli consente, co-
me tante volte gli ha consentito in passato, di realizzare
con questo libro una notevole performance interpreta-
tiva. Non si può che restare ammirati dell'alternanza
tra analisi insistite e sintesi fulminanti, di ottima grana
letteraria. Apprezzabile è anche la capacità di Marane-
si di valorizzare scritti non specialistici: ad esempio, il
libretto Scrivi, frate Francesco di Duccio Demetrio, ri-
chiamato a proposito della «chiacchierata itinerante» di
Francesco e Leone; non casualmente, se Demetrio ha
scritto anche una Filosofia del camminare.
Un autore, Maranesi, che ha voglia di capire, di co-
9
municare, di emozionare, e sa farlo bene. Che un autore
siffatto si metta con pazienza a riconsiderare tutti i dati
materiali, scrittorii, testuali dei due autografi ' ecco il
suo approccio filologico e paleografico ' non è cosa di
tutti i giorni. Comunque sia è cosa proficua, se è vero
che i risultati positivi non sono pochi. Ne propongo al-
cuni: tre, di nuovo.
' La lettera di Spoleto non è datata. Maranesi pro-
pone, in accordo con altri e in particolare con Accrocca,
una datazione intorno al 1221, o addirittura al 1219,
sulla base del brano «omnia verba que disimus in via»
(disimus, non diximus: fa bene Dalarun a mantenere
la parola 'francescana' nel titolo del suo ultimo libro).
Oltre a corroborarla, per l'ottima ragione che «siamo di
fronte ad un Francesco che ancora nei suoi spostamen-
ti andava a piedi», Maranesi ne ricava un felice spunto
circa la successione e il rapporto tra i due autografi: due
o tre anni dopo il consilium epistolare Leone tornerà a
chiedere a Francesco un altro tipo di scritto, «non più
quello del consiglio ma quello della benedizione».
' La chartula di Assisi ha il bordo inferiore lesionato.
Non lo vide il sottoscritto; lo vide bene Paolazzi, il qua-
le, in base alla piegatura del foglio, dimostrava la pre-
senza originaria delle due righe finali delle Laudes, poi
scomparse per il deterioramento del margine. Maranesi
' ed è una novità ', riscontra che l'andamento dell'ulti-
ma rubrica memoriale di Leone segue fedelmente la li-
nea irregolare del margine inferiore così com'è adesso. Er-
go, conclude, le Laudes erano già mutile delle due righe
finali al momento in cui Leone scrisse le sue rubriche
nel lato-pelo del foglio. Quanto al recupero di quel testo
10
nei testimoni successivi, Maranesi correttamente lascia
aperto il dubbio, senza lanciarsi in acrobatiche ipotesi.
' Quando, altro punto rinnovato da Maranesi, fra-
te Leone scrisse quelle famose attestazioni rubricate' Fu
Chiara Frugoni, nell'Invenzione delle stimmate (1993),
a smentire la leggenda che frate Leone abbia tenuto su
di sé la chartula fino alla morte. Quelle rubriche, argo-
mentava la studiosa, hanno senso solo nel momento in
cui Leone decise di lasciare quello scritto-reliquia ad al-
tri. A chi' Alle sorelle del monastero di Assisi, esatta-
mente come fece per il breviario di Francesco nel 1257
o 1258. Fin qui Frugoni, seguita dal sottoscritto. Ma-
ranesi propende per una data più inoltrata, più vicina
alla morte di Leone; e osserva con occhi nuovi l'assisa-
no Manoscritto 344, risalente al 1338 circa, che porta
la più antica trascrizione de visu della chartula, in calce
all'elenco delle reliquie «que populo ostenduntur in ec-
clesia Sancti Francisci de Assisio». Rinviando senz'altro
alla sua pagina, ne condivido la sostanza, anche se, mi
pare, non espressa a tutte lettere. Sostanza che è que-
sta: nulla vieta di pensare che frate Leone, in prossimità
della morte, abbia lasciato la chartula non alle monache
di santa Chiara ma ai frati del convento assisano (tanto
più, aggiungo sommessamente, che probabilmente la-
sciò loro qualcos'altro: e intendo i fascicoli con i verba
di Francesco del manoscritto assisano 338). E con ciò,
almeno, non dovremo lambiccarci il cervello per spiega-
re quel subitaneo trasloco dell'augusta reliquia.
Mi sono dilungato un po' troppo. L'ho fatto perché
queste sono, prometto, le ultime parole che dedico agli
autografi di frate Francesco. Mi onora il fatto che l'occa-
sione di questo commiato sia discorrere di un bel libro.
11
Scritto da un autore che con esso conferma le sue virtù
già note e apprezzate, e in più esercita bravamente l'arte
dell'erudito. Molti potrebbero non gradire questo ap-
pellativo. Pietro sa bene che, invece, è il miglior compli-
mento che io sappia fare.
Attilio Bartoli Langeli
Professore emerito di paleografia
all'Università di Perugia
12
CAPITOLO I
I DUE AUTOGRAFI DI FRANCESCO
1. Scritti per Leone
«Caro Leone ti scrivo». Con questo titolo, parafra-
sando il titolo di un famoso album di canzoni di Lucio
Dalla1, ho voluto sintetizzare i due aspetti principali che
a mio avviso caratterizzano le due piccole pergamene
autografe consegnate da frate Francesco al suo compa-
gno frate Leone2: la speciale relazione di amicizia che
regnava tra loro e il valore che il Santo assegnava alla
scrittura quale mezzo efficace per esprimere e realizzare i
1
'L. Dalla, Caro amico ti scrivo, pubblicato dalla BMG Ricordi
2002; il titolo dell'album è tratto dal testo della quinta traccia che
titola L'anno che verrà (1979).
2
'Per una lettura introduttiva alla vita di Leone, rinvio ad alcu-
ni lavori generali: E. Pásztor, Frate Leone testimone di Francesco,
«Collectanea Franciscana» 50 (1980), 35-84; E. Menestò, Leone
e i compagni di Assisi, in I compagni di Francesco e la prima genera-
zione minoritica. Atti del XIX convegno internazionale (Assisi, 17-19
ottobre 1991), Fondazione CISAM, Spoleto 1992, 41-51; Autografi,
93-103; T. Caliò, Leone d'Assisi (Leone da Viterbo), in Dizionario
bibliografico degli Italiani, vol. 64, Ed. Treccani, Roma 2005, 499-
502; W. Block, Frate Leone «pecorella del Signore». Alcune note sul
profilo spirituale dei compagni di Francesco d'Assisi, «Frate Francesco»
77 (2011), 7-32.
17
suoi sentimenti nei confronti del suo interlocutore. Svi-
luppiamo brevemente i due aspetti.
1. Gli autografi attestano una verità fondamentale:
Leone era caro a Francesco. In ambedue i testi infatti
il Santo si prende cura delle difficoltà dell'amico, e lo
fa mettendo in atto elementi testuali e grafici capaci di
toccare la sensibilità di Leone. Anticipiamo qui solo due
aspetti sui quali ritorneremo con ampiezza nella lettura
dei due biglietti.
Il primo riguarda l'autodefinizione che Francesco dà
di sé nei confronti di Leone aprendo il biglietto di Spo-
leto: come una madre nei confronti del figlio. Da que-
sta premessa prende il via il rapporto dialettico che lega
i due nuclei centrali del contenuto della breve lettera,
costituiti sia dalla volontà da parte di Francesco di dare
autonomia a Leone, ponendo una necessaria distanza
tra loro, sia dalla sua disponibilità a restare comunque
accanto all'amico assicurandogli una vicinanza che non
verrà meno.
Nell'altro testo, quello della Benedizione, l'affetto è
espresso in particolare mediante due aspetti: il regalo
fatto da Francesco all'amico della propria composizione
delle Lodi al Dio altissimo, e la cura con cui poi orna la
Benedizione mediante anche un disegno; con i due ele-
menti il santo voleva fare della chartula un 'dono' per-
sonale al suo amico, che fosse capace di consolare le sue
tristezze e difficoltà.
Tu mi sei caro, Leone! Questa era la notizia fonda-
mentale che Francesco comunicava al suo compagno
con i due biglietti e di cui Leone era ben cosciente. È di
questa relazione che vorremo occuparci nella lettura del
18
carteggio conservato gelosamente dal destinatario fino
alla fine della sua vita come eredità e memoria preziosa
dell'amico.
Tutto ciò mette in evidenza un dato sorprendente,
già notato da Carlo Paolazzi. Non è facile infatti spie-
gare una specie di contraddizione interna sul modo con
cui i contemporanei si rapportarono alla 'santità' di
Francesco. Da una parte sappiamo che negli ultimi anni
della vita la sua persona era considerata già quasi una
'reliquia vivente' da conservare gelosamente dal rischio
che venisse 'rubata' da qualche altra città al momento
della sua morte3. Tale attenzione invece non fu riservata
ai numerosi biglietti che sappiamo l'Assisiate ha compo-
sto e inviato a più persone. Gli unici conservati sono i
due scritti per frate Leone. La conclusione a cui giunge
Paolazzi è molto interessante e rinvia alla specialità del
rapporto che regnava tra di essi:
Sembra di capire, che ai confratelli e ai contemporanei
di Francesco uno scritto autografo non doveva apparire
una «reliquia» particolarmente appetibile, mentre nel ca-
so di frate Leone entrarono in gioco motivazioni umane e
religiose strettamente personali, come risulta anche dalla
vicenda che portò alla nascita della Chartula della Verna4.
Si potrebbe dunque ritenere che per spiegare la con-
servazione delle 'due reliquie', non c'è bisogno di ap-
pellarsi alla richiesta che, come diremo meglio in segui-
to, Francesco fece al frate. La causa che spinse Leone a
mantenere per sé non solo la chartula ma anche il bi-
3
' Cf. CAss 96: FF 1632; anche 2Cel 77: FF 665 e LegM 7,10:
FF 1130.
4
' C. Paolazzi, Studi sugli «Scritti» di frate Francesco, Collegio
San Bonaventura, Grottaferrata 2006, 116.
19
glietto, e poi, prima della propria morte, a consegnarli a
qualcuno che ne avesse cura, non fu un ordine del mit-
tente, ma il grande affetto e venerazione che lo legava al
suo amico e madre. Quei testi erano speciali per Leone
perché con essi Francesco gli aveva ripetuto una stessa
preziosa notizia: Leone, tu mi sei caro.
2. Il secondo elemento che ho voluto sottolineare nel
titolo è la scelta di Francesco di comunicare la propria
vicinanza e attenzione all'amico fissandole su pergame-
na, quasi volesse dare ai suoi sentimenti una consisten-
za fisica e una permanenza stabile: le parole volano, lo
scritto non solo resta ma rende visibile l'invisibile.
Giustamente Attilio Bartoli Langeli ha fatto osserva-
re una specie di frequente ritornello nei testi di France-
sco, costituito dal lessema sanctissima nomina et verba
eius [di Cristo] scripta: 'parole scritte' che in quanto tali
acquistano non solo una valenza speciale di venerazione
e di rispetto, ma anche di potenza nel realizzare quan-
to significano. L'elemento particolare dell'espressione di
Francesco è sicuramente la natura scripta delle parole:
in quel momento esse, oltre a essere udite, sono anche
viste, acquistando una forza definitiva. In tal senso, se-
condo lo studioso medievale si può parlare nel santo di
Assisi di «un senso religioso della parola scritta»5.
5
' Su questa questione cf. Autografi, 71-75, nel paragrafo Il senso
dell'autografia francescana, dove l'autore conclude con questa osser-
vazione: «Anche nella storia della scrittura Francesco ha un posto di
primo rilievo, è un uomo nuovo che fa cose nuove. Lo 'scrivere da
sé' di Francesco è una piccola riprova della ricchezza e forza straor-
dinarie della sua esperienza religiosa» (ivi, 75). Le stesse osservazioni
erano state già avanzate nell'altro studio A. Bartoli Langeli, Gli
scritti da Francesco. L'autografia di un «illetteratus», in Frate Francesco
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Ciò spiegherebbe allora non solo l'ampio uso della
scrittura da parte di colui che si definiva «idiota e sem-
plice», ma anche le diverse particolarità del suo impiego.
In questo contesto, gli autografi inviati a Leone rappre-
sentano due diversi generi della scrittura di Francesco,
relativi a due particolari interlocutori ai quali egli si ri-
volse costantemente nella sua vita: gli uomini e Dio.
Il biglietto di Spoleto appartiene al genere lettera-
rio epistolare nel quale Francesco si prende cura degli
uomini «per amministrare ad essi la fragranza delle pa-
role del Signore»6. Le lettere giunte fino a noi, oltre a
testimoniare la frequenza del loro impiego da parte del
Santo, evidenziano al loro interno un doppio genere let-
terario: le lettere circolari e le lettere personali. Al primo
gruppo appartengono indubbiamente i testi più cono-
sciuti e più ampi. Nascono generalmente come scritti
d'Assisi. Atti del XXI Convegno Internazionale (Assisi, 14-16 ottobre
1993), Fondazione CISAM, Spoleto 1994, 101-159 dove cita una
bellissima affermazione di Ignazio Baldelli: in Francesco vi era «un
sentimento che la parola parlata congiunta col gesto e quindi anche
la parola scritta, incarnano la realtà in assoluta compenetrazione»
(ivi, 158). E ancora: «lo 'scrivere da sé' di Francesco aveva la sua
ragione in questo senso religioso della parola, e più precisamente nel
senso della parola scritta come dato di realtà potente, pesante, inde-
lebile e così a sua volta capace di agire sulla realtà», prova sicura di
tutto ciò è proprio la richiesta fatta dal santo a Leone di conservare
con scrupolo la cartula (ibid.).
6
' Interessante a questo proposito è l'inizio della seconda reda-
zione della lettera inviata a tutti i fedeli: «Poiché sono servo di tutti,
sono tenuto a servire a tutti e ad amministrare le fragranti parole del
mio Signore. E perciò, considerando che non posso visitare perso-
nalmente i singoli, a causa della malattia e debolezza del mio cor-
po, mi sono proposto di riferire a voi, mediante la presente lettera e
messaggio, le parole del Signore nostro Gesù Cristo, che è il Verbo
del Padre, e le parole dello Spirito Santo, che sono spirito e vita» (2Lf
2-3: FF 180). Si può dire che per Francesco le parole scritte in quella
lettera si identificano di fatto con «le parole del mio Signore».
21
con i quali Francesco voleva comunicare a tutti la pre-
ziosità delle proprie parole, un'urgenza divenuta ancora
più pressante negli ultimi anni della sua vita quando a
causa delle sue malattie non poteva più muoversi7. In
lui vi era dunque un'alta considerazione del ruolo dei
suoi testi, valutazione confermata dalla richiesta con cui
quasi sempre chiude le sue lettere circolari, dove invita i
destinatari non solo a leggerle con attenzione, ma anche
a moltiplicarle e farle conoscere agli altri8. Il secondo ge-
nere epistolare riguarda invece le lettere personali, alle
quali appartiene appunto il biglietto di Spoleto9. Con
esse il santo si rivolgeva a dei singoli per prendersi cura
dei loro bisogni e rispondere alle loro richieste. La lette-
ra inviata a Leone rappresenta indubbiamente una testi-
monianza tra le più significative ed efficaci (insieme alla
Lettera a un ministro) nel mostrare quale fosse l'intensità
umana di Francesco nell'assumere su di sé i problemi e
7
' Cf. C. Vaiani, Storia e teologia dell'esperienza spirituale di Fran-
cesco d'Assisi, EBF, Milano 2013, 245-251, dove inquadra la grande
produzione dei testi epistolari circolari del Santo durante gli anni
1220-1224, periodo qualificato come «di prova e di apostolato».
8
' Basti qui ricordare la chiusura della stessa Lettera a tutti i fe-
deli: «E coloro che non sanno leggere, se le facciano leggere spesso,
e le imparino a memoria, mettendole in pratica santamente sino al-
la fine, perché sono spirito e vita. E coloro che non faranno ciò, ne
renderanno ragione nel giorno del giudizio davanti al tribunale di
Cristo. E tutti quelli e quelle che con benevolenza le accoglieranno e
le comprenderanno e ne invieranno copie ad altri, se in esse perseve-
reranno fino alla fine, li benedica il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo»
(2Lf 87-88: FF 206).
9
' Ad esse si aggiungono la Lettera a un ministro, la Lettera ad
Antonio, la Lettera a donna Jacopa, i due biglietti inviati a Chiara
conosciuti come Forma vitae e Ultima voluntas. Le biografie poi ci
informano di altri biglietti che egli ha scritto sia a Chiara che a Ugo-
lino, ma che non sono giunti fino a noi.
22
le difficoltà che gli erano stati presentati dal destinatario
dei brevi testi di risposta.
La cartula di Assisi, invece, mette in campo l'altro
importante interlocutore cui si rivolgeva Francesco me-
diante i suoi scritti: Dio. Potremmo dire che tutte le
preghiere di Francesco giunte fino a noi siano il frutto
di una fondamentale esigenza del santo: fissare su car-
ta la sua esperienza del mistero divino incontrato nella
solitudine e nel silenzio della preghiera. Il risultato fi-
nale è la nascita di testi di lode e di benedizione, quale
sintesi linguistica del proprio vissuto umano diventato
preghiera. Tale fu l'origine della scrittura delle Laudi al
Dio altissimo, quando, dopo essersi rifugiato a La Ver-
na, volle avere carta e penna per «scrivere le parole e le
lodi del Signore», come le aveva meditate nel suo cuore
(2Cel 49: FF 635); altrettanto era avvenuto con il Can-
tico delle creature, quando compose «una nuova lauda
del Signore» (CAss 83: FF 1615)10 a conclusione di un
periodo di malattia e di dolore trascorso presso San Da-
miano. Si potrebbe affermare, dunque, che per France-
sco anche la relazione con Dio giungeva a compimento
solo quando essa diventava parola scritta, quando cioè il
mistero invisibile 'prendeva carne' attraverso la ruvidità
e la limitatezza della pergamena.
Potremmo insomma ritenere che i due autografi mo-
strino in pieno quale fosse il valore 'sacrale' assegnato
da Francesco alla parola scritta: mediante essa l'invisi-
bile dei propri sentimenti diventava 'parola visibile',
acquistando una forza relazionale impossibile alla sola
10
' Sulla questione del rapporto cronologico tra i due testi tor-
neremo più avanti, dove spiegherò la mia ipotesi di inversione dei
tempi di composizione delle due preghiere (cf. pp. 171 ss.).
23
'parola pronunciata e ascoltata'. Nelle due pergamene
si realizzava un atto graficamente tanto 'impegnativo'11
quanto esistenzialmente 'necessario' per dare compi-
mento a ciò che egli sentiva nella relazione con Leone
e che aveva vissuto nei rapporti con il mistero di Dio.
Non si può, dunque, non essere d'accordo nel ritenere
che «l'uso della scrittura da parte di Francesco non ha
nulla di occasionale, è parte caratterizzante e coerente
della sua 'proposta cristiana'»12.
2. Le due pergamene
Le due piccole pergamene, con i brevi testi del San-
to, sono state oggetto di ripetuti e accuratissimi studi
paleografici e codicologici13. I risultati raggiunti nella
11
' Alla grafia di Francesco dedica un'analisi efficace A. Bartoli
Langeli, definendola «una mano elementare, una scrittura comune»
(Autografi, 23-29 e Id., Gli scritti da Francesco, 116-122); l'autore
propone anche delle immagini di scritture precedenti e coeve a Fran-
cesco originarie dell'ambiente centro-italico, nelle quali si ritrova
lo stesso carattere elementare. L'analisi si chiude con queste parole:
«Francesco era un illitteratus, un idiota, ma alfabetizzato; e il suo al-
fabetismo lo ottenne in modo 'regolare', attraverso una formazione
pienamente coerente col suo stato» (Gli scritti da Francesco, 121).
12
' Bartoli Langeli, Gli scritti da Francesco, 158.
13
' Ricordiamo solo alcuni studi degli ultimi decenni, relativi alle
questioni testuali e interpretative, segnalandoli in ordine cronolo-
gico: D. Lapsanki, The Autographs on the «chartula» of St. Francis
of Assisi, «Archivum Franciscanum Historicum» 67 (1974), 18-37;
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Scritti in onere di Diego Maltese, Regione Toscana Giunta Regionale,
Firenze 1994, 73-87; Bartoli Langeli, Gli scritti da Francesco, 101-
159; Autografi, 42-56; C. Paolazzi, Per gli autografi di frate France-
sco. Dubbi, verifiche e riconferme, «Archivum Franciscanum Histori-
cum» 93 (2000), 3-28 poi rist. in Id., Studi sugli «Scritti», 101-126.
24
determinazione critica ed editoriale degli scritti autogra-
fi sono oramai (quasi) sicuri. Non è necessario dunque
affrontare di nuovo l'analisi dettagliata dei due oggetti;
ci limitiamo solo a ricordare alcuni elementi relativi al
supporto pergamenaceo e al contenuto scrittorio, aspet-
ti che saranno poi utili nel favorire il commento dei due
biglietti.
a) Il biglietto di Spoleto
1. La vicenda della trasmissione del testo di Spo-
leto è stata alquanto travagliata14. La prima notizia su
di esso è del 5 agosto del 1604 quando il frate sacrista
della basilica di Assisi parlò di un biglietto autografo di
Francesco, motivando l'ipotesi a motivo delle sue chia-
re somiglianze con la grafia di Francesco presente nella
cartula. Il riconoscimento dell'autenticità fu conferma-
to da Luca Wadding che nel 1625 propose del testo la
prima edizione, inserendola tra gli scritti del santo. A
partire da questo momento, la piccola pergamena venne
quasi dimenticata e quasi smarrita, fino a quando riap-
parve negli ultimi anni del XIX secolo. Gli eventi del
ritrovamento furono narrati il 6 dicembre del 1902 dal
periodico politico «Il popolo» di Spoleto15. L'articolista
dava queste notizie. La pergamena, forse presente fino
alla soppressione del 1860 nel convento di San Simone
dei conventuali, fu dispersa in quell'occasione, per riap-
parire nel 1893 quando un parroco di Spoleto, in pos-
14
' Mi attengo a quanto ricorda Bartoli Langeli in Autografi, 19-
21; anche in Id., Gli scritti da Francesco, 110-113.
15
' Il testo è riportato da M. Faloci Pulignani, Un autografo di
S. Francesco d'Assisi a Spoleto, «Miscellanea francescana» 9 (1902),
106-107.
25
sesso della reliquia e intenzionato a venderla in America
in cambio di una buona somma, ne parlò, per averne un
consiglio, con lo studioso folignate Michele Faloci Puli-
gnani. Compresa l'importanza storica della piccola per-
gamena il paleografo di Foligno, dopo averla studiata e
conservata presso di sé, la consegnò al papa Leone XIII.
Nel 1902 una commissione comunale spoletana si ri-
volse al vescovo perché chiedesse al papa di poter riavere
la lettera del Santo. Il sommo pontefice acconsentì alla
richiesta con l'obbligo, però, che fosse proprietà della
diocesi e custodita nel capitolo della cattedrale di Spole-
to, dove ancora è esposta dentro una teca nella cappella
delle reliquie.
Il fatto che la piccola pergamena sia apparsa improv-
visamente solo nel 1604 ha suscitato fin da subito delle
perplessità sulla sua autenticità, lasciando pensare alla
possibilità di un falso di alta qualità, dove sia il linguag-
gio di Francesco che la sua scrittura sarebbero stati ri-
proposti con grande maestria. La cosa in sé sarebbe an-
che possibile, però, come qualcuno ha fatto giustamen-
te osservare, mancherebbe il movente16! E dunque: «O
quel biglietto è di Francesco, o è un falso assurdo»17. In-
somma, tutto depone a favore dell'autenticità del testo.
16
' «Ebbene, proprio non si trova l'eventuale utilità agiografica, o
monumentale, o ideologica del biglietto spoletino, tanto è modesto
il suo aspetto e dimesso il suo testo» (Autografi, 21).
17
' Ivi, 113.
26
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197
INDICE
Prefazione (Attilio Bartoli Langeli) . . . . . . . . pag. 5
Sigle e abbreviazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 13
CAPITOLO I
I due autografi di Francesco . . . . . . . . . . . . » 17
1. Scritti per Leone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 17
2. Le due pergamene . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 24
a) Il biglietto di Spoleto . . . . . . . . . . . . . . . » 25
b) La cartula di Assisi . . . . . . . . . . . . . . . . » 32
3. La loro storia e la nostra lettura . . . . . . . . . » 47
CAPITOLO II
Il biglietto di consiglio . . . . . . . . . . . . . . . . » 55
1. Il retroscena storico della lettera . . . . . . . . » 55
2. 'intestazione: i legami esistenziali
L
tra mittente e destinatario (rr. 1-3) . . . . . . » 62
a) Il fratello al fratello (r. 1) . . . . . . . . . . . . » 63
b) che diventa madre per il figlio (r. 3) . . . . » 67
I
3. l messaggio: con fermezza ti comando
di essere responsabile (rr. 4-15) . . . . . . . . . » 70
a) on fermezza: ita dispono
C
et consilio tibi' non venire ad me (rr. 4-9) » 71
201
b) Ti comando: quomodo melius
videtur tibi faciatis (rr. 9b.15) . . . . . . . . » 82
4. La chiusura: io resto accanto a te
per consolarti (rr. 16-19) . . . . . . . . . . . . . . . » 104
a) nzi no: vieni ancora frate Leone
A
se ti sarà necessario . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 106
b) io ti darò un'altra consolazione
e
per la tua solitudine . . . . . . . . . . . . . . . . » 112
CAPITOLO III
La cartula di benedizione . . . . . . . . . . . . . . . » 119
1. La probabile storia della composizione
della cartula . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 119
2. Le Lodi del Dio altissimo . . . . . . . . . . . . . . » 126
a) La storia da cui nascono . . . . . . . . . . . . . . » 126
b) La lettura del testo . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 144
3. La benedizione a frate Leone . . . . . . . . . . . . » 168
a) Una possibile richiesta di Leone . . . . . . . . » 168
b) La lettura del testo . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 172
CONCLUSIONE
Una storia che continua a consolare . . . . . . . . » 185
Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 193
202
Memoria e profezia
Francesco di Assisi e l'ecologia, J. Antonio Merino, 2010
Francesco d'Assisi e l'etica globale, M. Carbajo Núñez, 2011
Il canto del corpo ardente, B. Forthomme, 2012
Francesco d'Assisi e la Terra Santa, Artemio V. Gonzáles,
2013
Francesco e l'altissima povertà, C. Di Sante, 2013
La fraternità pasquale, F.-Xavier Bustillo, 2013
Tu sei amore, O. Svanera, 2013
Francesco d'Assisi e Etty Hillesum, F. Scarsato, 2013
Francesco, un nome nuovo, F. Accrocca, 2014
I movimenti dell'anima, S.G. Testut, 2015
Le reti di Francesco. Per una tecnologia dello spirito e una
cyberspiritualità e webpastorale francescane, P. Floret-
ta, 2015
Wanted. Esercizi spirituali francescani per ladri e brigan-
ti, F. Scarsato, 2016
Sentirsi a casa. Paesaggi interiori ed esteriori, G. Spirito,
2016
Scrivi frate Francesco, D. Demetrio, 2017
Con il coraggio di vivere, M. Kreidler-Kos, 2017
Lettere di Francesco d'Assisi dal suo esilio, J.A. Merino,
2017
Dis-ordine francescano. La grazia delle riforme (1517-
2017), J.B. Ferreira De Araújo (a cura), 2017
Assisi, città simbolo. Messaggio spirituale e umano, J. An-
tonio Merino, 2017
Salvare la poesia della vita. In cammino con i poeti e
Francesco, D. Rondoni, 2018
Padre nostro che sei in galera. I carcerati commentano la
preghiera di Gesù, Fr. Beppe Giunti e fratelli brigan-
ti, 2019
Sotto il tetto altrui. Tracce di urbanità francescana, V.
Rosito, 2019
Finito di stampare nel mese di gennaio 2020
Mediagraf S.p.A. ' Noventa Padovana, Padova
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Il volume di Maranesi si pone sulla scia – come puntualizza nella sua prefazione Attilio Bartoli Langeli – di «una bella schiera di studiosi, lontani e recenti» (p. 6) che si sono cimentati nella lettura filologica, paleografica ed esegetica dei due autografi di Francesco d’Assisi – il biglietto conservato a Spoleto e la Chartula della Verna – attestanti il suo rapporto speciale di amicizia con frate Leone.
Con perizia e passione, Maranesi offre un ulteriore saggio della sua abilità interpretativa, senza mai venir meno al preciso riferimento alle fonti. Il primo capitolo, I due autografi di Francesco (pp. 17-54), prende le mosse dall’esplicitazione del titolo (allusivo a una celebre canzone di Lucio Dalla) scelto dall’autore "Caro Leone ti scrivo". L’intento è quello di far risaltare il legame speciale tra il santo e il fedele compagno: fu questo affetto in primo luogo «che spinse Leone a mantenere per se ? non solo la chartula ma anche il biglietto, e poi, prima della propria morte, a consegnarli a qualcuno che ne avesse cura» (pp. 19-20). D’altra parte, osserva Maranesi, è degno di nota anche il fatto che l’Assisiate abbia inteso «comunicare la propria vicinanza e attenzione all’amico fissandole su pergamena, quasi volesse dare ai suoi sentimenti una consistenza fisica e una permanenza stabile» (p. 20). Lo studioso offre quindi alcuni elementi essenziali sul supporto pergamenaceo e il contenuto scrittorio utili al commento dei due testi (cf. pp. 25-46) e sull’approccio storico-esistenziale agli stessi. Maranesi si propone anzitutto di ricollocare i due scritti «dentro il contesto di vita del quale essi sono stati insieme effetto e causa» (p. 51), per poi «ricostruire il legame esistenziale dei due personaggi» (p. 52) dentro il quadro unitario della storia di un’amicizia fraterna.
Nel secondo capitolo, Il biglietto di consiglio (pp. 55-118), l’autore si sofferma sulla breve e intensa lettera scritta da frate Francesco a Leone, in primo luogo tentando una ricostruzione del retroscena storico: il primo dato è il contesto in cui collocare lo scritto, una situazione di itineranza, di cammino (cf. p. 56-58) lungo il quale l’Assisiate sente e gestisce una peculiare posizione nei confronti di Leone; secondariamente è interessante il livello culturale di Francesco che traspare dal testo, scritto in un latino approssimativo (cf. pp. 58-60), ma al tempo stesso emblematico di una preparazione scolastica media e di un presumibile tentativo di porsi sullo stesso piano del "più dotto" compagno e segretario; in terzo luogo Maranesi riporta la versione originale in latino del biglietto (quella dell’edizione critica di Paolazzi) di cui fornisce una sua traduzione italiana evidenziando la struttura tripartita del testo (intestazione, messaggio, chiusura, cf. p. 61).
L'intestazione, dunque, disegna per così dire lo «spazio umano nel quale si muove la lettera» (p. 62): il fratello si rivolge al fratello, un legame nato «da una stessa paternità, fonte unica e assoluta della loro storia condivisa» (p. 65). Francesco si dichiara inoltre "tuo" nei confronti di Leone, in una consegna di se ? che vuole esprimere tutta la sua vicinanza, il desiderio di essere «motivo della salvezza e, dunque, della pace dell’amico» (p. 66) che presumibilmente gli aveva richiesto soluzione a una sua fatica di scegliere che cosa fare. Ma il santo va oltre, passando dalla simmetria della fraternità, all’asimmetria di un legame tra madre e figlio (cf. p. 67). Maranesi si sofferma a dare conto dell’utilizzo della metafora materna in altri testi di Francesco (Regola per gli eremi, Regola non bollata e Regola bollata cf. pp. 67-68), per specificare la particolare autorità che egli mette in atto "diventando madre" per Leone: «la sua è un’autorità diversa da quella del dominio, come quella che eserciterebbe un padre; quella di Francesco è un’autorità che mira a un unico scopo: far acquistare a Leone una necessaria autonomia e indipendenza» (p. 69).
Ecco allora il cuore del messaggio del biglietto: con fermezza materna Francesco "comanda" a Leone di «assumersi la responsabilità di capire che cosa è meglio e di compierlo» (p. 70): a riguardo l’autore analizza con precisione i verbi utilizzati dal santo, anche in relazione ad altri suoi scritti, per illustrare la profondità e ricchezza della sua pedagogia, del suo obbligare il fratello a reggere la solitudine adulta che il discernimento comporta. È questo, nota Maranesi, un atteggiamento tipico dell’Assisiate e in linea con un’antropologia fondata sulla fatica della sequela di Cristo (cf. pp. 78-79): nei suoi scritti «egli offre indicazioni tanto ideali quanto generali, dalle quali però ogni frate avrebbe ottenuto dei riferimenti di partenza per essere poi capace di individuare da solo vie concrete di azione» (p. 76; cf., ad esempio, il capitolo X della Regola bollata o la Lettera a un ministro, pp. 76-77). È, infine, un’«antropologia della responsabilità» (p. 80) quella che il santo ci offre, un’obbedienza perfetta (cf. Ammonizione terza), in cui il frate è chiamato a vivere «un atto di consapevolezza» (p. 81), cui nessuno può sostituirsi.
Francesco formula, per il suo affezionato interlocutore, un "consiglio" che si articola in due momenti: il primo è la ricerca del meglio secondo Dio (pp. 83-86). È un criterio di discernimento fondamentale che Maranesi approfondisce sempre tenendo presente il quadro generale della testualita` sanfrancescana. Ulteriore criterio legato a questo è la possibilità di vivere secondo la povertà di Cristo: «dal grande orizzonte di ciò che piace a Dio, alla sua specificazione particolare, trovata nella forma della povertà quale sequela di Gesù. Utilizzando i due criteri egli avrebbe capito che cosa fosse il "meglio" da fare per affrontare e risolvere la difficile e forse dolorosa situazione che stava vivendo con i suoi frati» (p. 90).
Maranesi indaga con acribia il senso del "piacere a Dio", che si realizza anche in relazione ai fratelli, con lo sguardo «puntato sul "Bene-Buono" mostrato da Dio sulla croce di Cristo» (p. 98): la scelta di Leone (al quale Francesco non dice "fai" ma significativamente "faciatis-fatelo!") deve diventare promotrice di comunione, di un agire condiviso. Questa «azione coraggiosa e comunitaria, con la quale i frati avrebbero messo in atto il "meglio" scoperto da Leone» (p. 102) è accompagnata dalla benedizione di Dio e dall’obbedienza di Francesco. Commenta felicemente lo studioso: «Nel momento in cui si assume la responsabilità di scegliere e di operare, Leone obbedisce pienamente a Francesco, il quale da parte sua trasforma in "obbedienza" tutto quello che il suo amico deciderà di fare» (p. 104). E si tratta di una vera obbedienza nella misura in cui è un vero ascolto (ob-auditum) da parte di Leone di ciò che sta avvenendo all’interno della sua fraternità.
La chiusura del biglietto, di cui Maranesi richiama opportunamente anche la storia redazionale, lascia trasparire un ripensamento o precisazione finale da parte del santo, tenendo conto dell’esigenza dell’anima di Leone – oltre la responsabilità e autonomia richiestagli con fermezza – di avere accanto l'amico, a incoraggiarlo e sostenerlo, a offrirgli «"un altro tipo" di consolazione» (p. 114), quella della compassione.
Il terzo capitolo del volume, La cartula di benedizione (pp. 119-184), si concentra sul piccolo biglietto conservato nella Basilica di Assisi: anche in questo caso Maranesi delinea le coordinate essenziali della storia della composizione, puntualizzando le fonti a cui fare ricorso per ricostruire il processo redazionale (pp. 119-126). Lo studioso da' dunque lettura delle due parti della cartula, le Laudes e la Benedizione.
Le Lodi di Dio altissimo rinviano all’esperienza della stimmatizzazione a La Verna nel 1224: Maranesi ricostruisce la situazione esistenziale e spirituale di Francesco in quel determinante passaggio della sua vita, tenendo conto delle testimonianze ricavabili dalle biografie (cf. Compilazione di Assisi), ma anche da altri scritti del santo (specie la parabola autobiografica della Perfetta letizia): in quel frangente Francesco era un uomo che, dopo aver dato vita a un Ordine ormai stimato e famoso, «si ritrovava spogliato di tutto a causa di una rottura sempre più netta tra lui e un ampio settore dei suoi frati» (p. 132). In questo stato d’animo a La Verna – sottolinea Maranesi – Francesco sperimenta qualcosa di analogo a quanto vissuto all’inizio del suo cammino a San Damiano: «sul monte non solo rivide la gloria del Crocifisso, ma riascoltò alcune parole venire dal serafino crocifisso» (p. 137), in particolare la notizia dell’amore di Dio per il mondo, un amore crocifisso. Francesco, osserva ancora Maranesi, aveva bisogno «di ricollocare la propria persona dentro l’appartenenza all’amore che Dio gli aveva donato una volta per sempre nel Figlio morto per tutti. E avvenne il miracolo: egli credette ancora una volta a questa verità, collocando di nuovo la propria storia nella storia dell’amore crocifisso» (p. 140). A questo primo beneficio a La Verna ne seguì un secondo, l’impressione delle stimmate, a motivo del quale compose le Lodi. Maranesi ne da' lettura individuando, nel testo, due parti che esprimono, rispettivamente, l’alterità del "tu" di Dio e la prossimità del "tu" di Dio (cf. p. 145).
L’analisi letteraria offerta suggerisce la suggestiva possibilità – per la quale lo studioso rimanda in nota alle osservazioni di Cesare Vaiani – che «le Lodi del Dio altissimo siano state idealmente le parole udite da Francesco uscire dalla bocca di Cristo crocifisso che si rivolgeva al Padre» (p. 147) e, al tempo stesso, siano prova di una partecipazione personale all’esultanza stupita del Figlio. Le Lodi, afferma Maranesi, non sarebbero altro che «la realizzazione personale di quanto suggerito da Francesco ai suoi frati: dalla contemplazione stupefatta di Dio alla sua lode mediante la benedizione e il canto» (p. 150). Guardando al Padre attraverso lo sguardo del Crocifisso e «lodandolo per il suo essere "totalmente altro", Francesco compie un atto di assoluta importanza per la sua vita: proclama un "amen" nei confronti della frammentarietà e dell’insicurezza della propria vicenda, ponendola senza pretese e riserve davanti al Dio altissimo e onnipotente, come aveva fatto Gesù morente sulla croce» (p. 153). A la Verna, nota ancora Maranesi, l’Assisiate non solo incontra un mistero di alterità, ma anche di prossimità del Dio-bonum trinitario: lo studioso articola questa proposta con la lettura attenta delle qualifiche che significano l’atteggiamento di Dio nei confronti dell'uomo (cf. pp. 156-166) e culminano in un’esperienza "dolce" di lui, in una «nuova coscienza di appartenenza all’amore di Dio, nel quale vi e` ogni bellezza e ogni ricchezza e dal quale Francesco otteneva un sapore nuovo sul senso delle proprie ferite» (p. 167).
Si tratta di un’esperienza "nostra" che, nonostante il tempo di difficoltà e di contrapposizione, riproclama una rinnovata fraternità di Francesco con i suoi compagni e con tutti gli uomini (cf. p. 168).
La seconda parte della cartula, la Benedizione a frate Leone, è considerata da Maranesi a partire questa volta dalla situazione esistenziale di Leone stesso, «arrivato sul monte segnato dalle stesse ferite del suo Francesco, nate dalle relazioni divenute difficili all’interno della fraternità» (p. 168) e che aveva assistito al miracolo della trasformazione del santo. Due le possibili ipotesi avanzate in merito alla composizione del testo: è proprio Francesco (come racconta il Celanense) ad accorgersi del turbamento di Leone e del suo bisogno di una consolazione o è il medesimo Leone che avrebbe chiesto di essere da lui consolato. Le due possibilità interpretative si intrecciano: «gli occhi dei due amici hanno riconosciuto nell’altro una presenza speciale di cui prendersi cura e a cui affidarsi» (p. 171). Il santo assume integralmente un testo biblico (Nm 6,24-26) aggiungendovi una personale conclusione. Maranesi analizza le due parti, illuminando nello specifico l’apporto dell’Assisiate alla citazione della Scrittura, con l’aggiunta anche di un disegno «dell’immagine di un teschio dalla cui bocca si erge un grande Tau che con l’asta verticale passava in mezzo alle due sillabe del nome "Leo"» (p. 179). Quasi a dire: queste parole sono proprio per te! È il mio modo di prendermi cura di te!
Maranesi in questo suo lavoro ricco e di godibile lettura per profondità di analisi – mettendo "in rete" diversi testi delle Fonti francescane – e per intensità di penetrazione esistenziale ci richiama la bellezza commovente di due piccole pergamene, espressione di una «materna, fraterna, amichevole prossimità» (p. 190), che continua a consolare anche noi lettori di oggi, anche noi bisognosi della benedizione di un Dio vicino e di crescere nella responsabilità di lodarlo e servirlo nella relazione con i fratelli.
Tratto dalla Rivista "Il Santo. Rivista francescana di storia dottrina arte" LX, 2020, fasc. 1-2
(http://www.centrostudiantoniani.it/)
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