EAN 9788825049619
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Il volume di Maranesi si pone sulla scia – come puntualizza nella sua prefazione Attilio Bartoli Langeli – di «una bella schiera di studiosi, lontani e recenti» (p. 6) che si sono cimentati nella lettura filologica, paleografica ed esegetica dei due autografi di Francesco d’Assisi – il biglietto conservato a Spoleto e la Chartula della Verna – attestanti il suo rapporto speciale di amicizia con frate Leone.
Con perizia e passione, Maranesi offre un ulteriore saggio della sua abilità interpretativa, senza mai venir meno al preciso riferimento alle fonti. Il primo capitolo, I due autografi di Francesco (pp. 17-54), prende le mosse dall’esplicitazione del titolo (allusivo a una celebre canzone di Lucio Dalla) scelto dall’autore "Caro Leone ti scrivo". L’intento è quello di far risaltare il legame speciale tra il santo e il fedele compagno: fu questo affetto in primo luogo «che spinse Leone a mantenere per se ? non solo la chartula ma anche il biglietto, e poi, prima della propria morte, a consegnarli a qualcuno che ne avesse cura» (pp. 19-20). D’altra parte, osserva Maranesi, è degno di nota anche il fatto che l’Assisiate abbia inteso «comunicare la propria vicinanza e attenzione all’amico fissandole su pergamena, quasi volesse dare ai suoi sentimenti una consistenza fisica e una permanenza stabile» (p. 20). Lo studioso offre quindi alcuni elementi essenziali sul supporto pergamenaceo e il contenuto scrittorio utili al commento dei due testi (cf. pp. 25-46) e sull’approccio storico-esistenziale agli stessi. Maranesi si propone anzitutto di ricollocare i due scritti «dentro il contesto di vita del quale essi sono stati insieme effetto e causa» (p. 51), per poi «ricostruire il legame esistenziale dei due personaggi» (p. 52) dentro il quadro unitario della storia di un’amicizia fraterna.
Nel secondo capitolo, Il biglietto di consiglio (pp. 55-118), l’autore si sofferma sulla breve e intensa lettera scritta da frate Francesco a Leone, in primo luogo tentando una ricostruzione del retroscena storico: il primo dato è il contesto in cui collocare lo scritto, una situazione di itineranza, di cammino (cf. p. 56-58) lungo il quale l’Assisiate sente e gestisce una peculiare posizione nei confronti di Leone; secondariamente è interessante il livello culturale di Francesco che traspare dal testo, scritto in un latino approssimativo (cf. pp. 58-60), ma al tempo stesso emblematico di una preparazione scolastica media e di un presumibile tentativo di porsi sullo stesso piano del "più dotto" compagno e segretario; in terzo luogo Maranesi riporta la versione originale in latino del biglietto (quella dell’edizione critica di Paolazzi) di cui fornisce una sua traduzione italiana evidenziando la struttura tripartita del testo (intestazione, messaggio, chiusura, cf. p. 61).
L'intestazione, dunque, disegna per così dire lo «spazio umano nel quale si muove la lettera» (p. 62): il fratello si rivolge al fratello, un legame nato «da una stessa paternità, fonte unica e assoluta della loro storia condivisa» (p. 65). Francesco si dichiara inoltre "tuo" nei confronti di Leone, in una consegna di se ? che vuole esprimere tutta la sua vicinanza, il desiderio di essere «motivo della salvezza e, dunque, della pace dell’amico» (p. 66) che presumibilmente gli aveva richiesto soluzione a una sua fatica di scegliere che cosa fare. Ma il santo va oltre, passando dalla simmetria della fraternità, all’asimmetria di un legame tra madre e figlio (cf. p. 67). Maranesi si sofferma a dare conto dell’utilizzo della metafora materna in altri testi di Francesco (Regola per gli eremi, Regola non bollata e Regola bollata cf. pp. 67-68), per specificare la particolare autorità che egli mette in atto "diventando madre" per Leone: «la sua è un’autorità diversa da quella del dominio, come quella che eserciterebbe un padre; quella di Francesco è un’autorità che mira a un unico scopo: far acquistare a Leone una necessaria autonomia e indipendenza» (p. 69).
Ecco allora il cuore del messaggio del biglietto: con fermezza materna Francesco "comanda" a Leone di «assumersi la responsabilità di capire che cosa è meglio e di compierlo» (p. 70): a riguardo l’autore analizza con precisione i verbi utilizzati dal santo, anche in relazione ad altri suoi scritti, per illustrare la profondità e ricchezza della sua pedagogia, del suo obbligare il fratello a reggere la solitudine adulta che il discernimento comporta. È questo, nota Maranesi, un atteggiamento tipico dell’Assisiate e in linea con un’antropologia fondata sulla fatica della sequela di Cristo (cf. pp. 78-79): nei suoi scritti «egli offre indicazioni tanto ideali quanto generali, dalle quali però ogni frate avrebbe ottenuto dei riferimenti di partenza per essere poi capace di individuare da solo vie concrete di azione» (p. 76; cf., ad esempio, il capitolo X della Regola bollata o la Lettera a un ministro, pp. 76-77). È, infine, un’«antropologia della responsabilità» (p. 80) quella che il santo ci offre, un’obbedienza perfetta (cf. Ammonizione terza), in cui il frate è chiamato a vivere «un atto di consapevolezza» (p. 81), cui nessuno può sostituirsi.
Francesco formula, per il suo affezionato interlocutore, un "consiglio" che si articola in due momenti: il primo è la ricerca del meglio secondo Dio (pp. 83-86). È un criterio di discernimento fondamentale che Maranesi approfondisce sempre tenendo presente il quadro generale della testualita` sanfrancescana. Ulteriore criterio legato a questo è la possibilità di vivere secondo la povertà di Cristo: «dal grande orizzonte di ciò che piace a Dio, alla sua specificazione particolare, trovata nella forma della povertà quale sequela di Gesù. Utilizzando i due criteri egli avrebbe capito che cosa fosse il "meglio" da fare per affrontare e risolvere la difficile e forse dolorosa situazione che stava vivendo con i suoi frati» (p. 90).
Maranesi indaga con acribia il senso del "piacere a Dio", che si realizza anche in relazione ai fratelli, con lo sguardo «puntato sul "Bene-Buono" mostrato da Dio sulla croce di Cristo» (p. 98): la scelta di Leone (al quale Francesco non dice "fai" ma significativamente "faciatis-fatelo!") deve diventare promotrice di comunione, di un agire condiviso. Questa «azione coraggiosa e comunitaria, con la quale i frati avrebbero messo in atto il "meglio" scoperto da Leone» (p. 102) è accompagnata dalla benedizione di Dio e dall’obbedienza di Francesco. Commenta felicemente lo studioso: «Nel momento in cui si assume la responsabilità di scegliere e di operare, Leone obbedisce pienamente a Francesco, il quale da parte sua trasforma in "obbedienza" tutto quello che il suo amico deciderà di fare» (p. 104). E si tratta di una vera obbedienza nella misura in cui è un vero ascolto (ob-auditum) da parte di Leone di ciò che sta avvenendo all’interno della sua fraternità.
La chiusura del biglietto, di cui Maranesi richiama opportunamente anche la storia redazionale, lascia trasparire un ripensamento o precisazione finale da parte del santo, tenendo conto dell’esigenza dell’anima di Leone – oltre la responsabilità e autonomia richiestagli con fermezza – di avere accanto l'amico, a incoraggiarlo e sostenerlo, a offrirgli «"un altro tipo" di consolazione» (p. 114), quella della compassione.
Il terzo capitolo del volume, La cartula di benedizione (pp. 119-184), si concentra sul piccolo biglietto conservato nella Basilica di Assisi: anche in questo caso Maranesi delinea le coordinate essenziali della storia della composizione, puntualizzando le fonti a cui fare ricorso per ricostruire il processo redazionale (pp. 119-126). Lo studioso da' dunque lettura delle due parti della cartula, le Laudes e la Benedizione.
Le Lodi di Dio altissimo rinviano all’esperienza della stimmatizzazione a La Verna nel 1224: Maranesi ricostruisce la situazione esistenziale e spirituale di Francesco in quel determinante passaggio della sua vita, tenendo conto delle testimonianze ricavabili dalle biografie (cf. Compilazione di Assisi), ma anche da altri scritti del santo (specie la parabola autobiografica della Perfetta letizia): in quel frangente Francesco era un uomo che, dopo aver dato vita a un Ordine ormai stimato e famoso, «si ritrovava spogliato di tutto a causa di una rottura sempre più netta tra lui e un ampio settore dei suoi frati» (p. 132). In questo stato d’animo a La Verna – sottolinea Maranesi – Francesco sperimenta qualcosa di analogo a quanto vissuto all’inizio del suo cammino a San Damiano: «sul monte non solo rivide la gloria del Crocifisso, ma riascoltò alcune parole venire dal serafino crocifisso» (p. 137), in particolare la notizia dell’amore di Dio per il mondo, un amore crocifisso. Francesco, osserva ancora Maranesi, aveva bisogno «di ricollocare la propria persona dentro l’appartenenza all’amore che Dio gli aveva donato una volta per sempre nel Figlio morto per tutti. E avvenne il miracolo: egli credette ancora una volta a questa verità, collocando di nuovo la propria storia nella storia dell’amore crocifisso» (p. 140). A questo primo beneficio a La Verna ne seguì un secondo, l’impressione delle stimmate, a motivo del quale compose le Lodi. Maranesi ne da' lettura individuando, nel testo, due parti che esprimono, rispettivamente, l’alterità del "tu" di Dio e la prossimità del "tu" di Dio (cf. p. 145).
L’analisi letteraria offerta suggerisce la suggestiva possibilità – per la quale lo studioso rimanda in nota alle osservazioni di Cesare Vaiani – che «le Lodi del Dio altissimo siano state idealmente le parole udite da Francesco uscire dalla bocca di Cristo crocifisso che si rivolgeva al Padre» (p. 147) e, al tempo stesso, siano prova di una partecipazione personale all’esultanza stupita del Figlio. Le Lodi, afferma Maranesi, non sarebbero altro che «la realizzazione personale di quanto suggerito da Francesco ai suoi frati: dalla contemplazione stupefatta di Dio alla sua lode mediante la benedizione e il canto» (p. 150). Guardando al Padre attraverso lo sguardo del Crocifisso e «lodandolo per il suo essere "totalmente altro", Francesco compie un atto di assoluta importanza per la sua vita: proclama un "amen" nei confronti della frammentarietà e dell’insicurezza della propria vicenda, ponendola senza pretese e riserve davanti al Dio altissimo e onnipotente, come aveva fatto Gesù morente sulla croce» (p. 153). A la Verna, nota ancora Maranesi, l’Assisiate non solo incontra un mistero di alterità, ma anche di prossimità del Dio-bonum trinitario: lo studioso articola questa proposta con la lettura attenta delle qualifiche che significano l’atteggiamento di Dio nei confronti dell'uomo (cf. pp. 156-166) e culminano in un’esperienza "dolce" di lui, in una «nuova coscienza di appartenenza all’amore di Dio, nel quale vi e` ogni bellezza e ogni ricchezza e dal quale Francesco otteneva un sapore nuovo sul senso delle proprie ferite» (p. 167).
Si tratta di un’esperienza "nostra" che, nonostante il tempo di difficoltà e di contrapposizione, riproclama una rinnovata fraternità di Francesco con i suoi compagni e con tutti gli uomini (cf. p. 168).
La seconda parte della cartula, la Benedizione a frate Leone, è considerata da Maranesi a partire questa volta dalla situazione esistenziale di Leone stesso, «arrivato sul monte segnato dalle stesse ferite del suo Francesco, nate dalle relazioni divenute difficili all’interno della fraternità» (p. 168) e che aveva assistito al miracolo della trasformazione del santo. Due le possibili ipotesi avanzate in merito alla composizione del testo: è proprio Francesco (come racconta il Celanense) ad accorgersi del turbamento di Leone e del suo bisogno di una consolazione o è il medesimo Leone che avrebbe chiesto di essere da lui consolato. Le due possibilità interpretative si intrecciano: «gli occhi dei due amici hanno riconosciuto nell’altro una presenza speciale di cui prendersi cura e a cui affidarsi» (p. 171). Il santo assume integralmente un testo biblico (Nm 6,24-26) aggiungendovi una personale conclusione. Maranesi analizza le due parti, illuminando nello specifico l’apporto dell’Assisiate alla citazione della Scrittura, con l’aggiunta anche di un disegno «dell’immagine di un teschio dalla cui bocca si erge un grande Tau che con l’asta verticale passava in mezzo alle due sillabe del nome "Leo"» (p. 179). Quasi a dire: queste parole sono proprio per te! È il mio modo di prendermi cura di te!
Maranesi in questo suo lavoro ricco e di godibile lettura per profondità di analisi – mettendo "in rete" diversi testi delle Fonti francescane – e per intensità di penetrazione esistenziale ci richiama la bellezza commovente di due piccole pergamene, espressione di una «materna, fraterna, amichevole prossimità» (p. 190), che continua a consolare anche noi lettori di oggi, anche noi bisognosi della benedizione di un Dio vicino e di crescere nella responsabilità di lodarlo e servirlo nella relazione con i fratelli.
Tratto dalla Rivista "Il Santo. Rivista francescana di storia dottrina arte" LX, 2020, fasc. 1-2
(http://www.centrostudiantoniani.it/)
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