Per un'estetica della presenza cristiana
(Fuori collana-emp)EAN 9788825013375
L’arte è un versante importante non solo per l’espressione della propria fede, ma anche per la sua comunicazione e annuncio. La comunità cristiana è sempre stata cosciente di questo e nei suoi presbiteri si è sempre preoccupata perché la fede trovasse espressione in adeguate opere architettoniche, pittoriche, scultoree, plastiche, geometriche, grafiche, ecc. Uno dei luoghi dove sin dal VI sec. si è cominciato ad affiancare all’annuncio della parola di Dio l’espressione artistica sono stati i «libri» liturgici, in particolare gli ordo e gli evangeliari.
La Chiesa italiana nell’ambito del progetto culturale ha prestato un interesse più operoso e dinamico alle più diverse espressioni artistiche incentivando l’utilizzo più ampio e attento nelle consuetudini della vita e dell’azione delle comunità cristiane. È ormai un dato di fatto che non occorre ulteriormente documentare nelle sue diverse specificazioni. Non tutto però è unanime. La questione più dibattuta oggi si riferisce all’approccio e all’utilizzo di opere «moderne», «astratte» anziché riprendere e avvalersi dei capolavori dell’arte figurativa dei secoli passati. La semplificazione può banalizzare la qualità e il peso di una discussione che, invece, è di alto profilo e decisamente importante sia a livello teologico e filosofico che ecclesiale e pastorale.
A esemplificazione del dibattito si può rinviare alle diverse esternazioni suscitate dagli apparati iconografici che hanno accompagnato le edizioni, da una parte, del Compendio del Catechismo della Chiesa cattolica (2005) e, dall’altra, della nuova edizione in lingua italiana del Lezionario Romano (2007). Quest’ultimo soprattutto con le sue trenta immagini più o meno astratte di artisti contemporanei ha raccolto forti critiche. Di recente (2011) è stata pubblicata, sempre dalla Conferenza Episcopale Italiana (CEI), la nuova edizione italiana del Rito delle esequie anch’essa corredata da un «programma iconografico» che accompagna le varie sezioni del rituale e ripreso dalla Porta della preghiera (1968-1971) dello scultore Lello Scorzelli (1921-1997) realizzata per uno dei varchi del lato sinistro della Basilica di San Pietro in Vaticano. Il fascicolo che presentiamo è interamente dedicato all’illustrazione dell’opera nel suo impianto generale (pp. 13-16) nella sua valenza estetica (pp. 16-17) e nella sua «trama letteraria» (pp. 17-24).
Sono premesse necessarie per riuscire a comprendere la scelta iconografica fatta per il rituale (pp. 24-30) nei suoi particolari (pp. 30-33) e nel suo sviluppo (pp. 33-57). L’Autore riesce nel suo intento di introdurre nella comprensione dei motivi che hanno orientato la scelta dell’opera e, soprattutto, nella percezione delle valenze profondamente teologiche che animano i quattro pannelli bassorilievi in bronzo (cf. fig. 2, p. 66) e l’eco della speranza che suscitano. Il contributo principale (Aperite mihi portas iustitiae, ingressus in eas confiteor Domino [Ps 117], pp. 11-62) è ripreso con qualche piccolo ampliamento da uno studio di Barba apparso sul fascicolo di «Rivista Liturgica» dedicato al Rito delle esequie.
Nuova edizione per l’Italia col titolo: Iconografia e iconologia nella seconda edizione dell’Ordo exsequiarum (1 [2012] 182-218). Se ci riferiamo al dibattito a cui abbiamo accennato sopra, non si può che constatare come la scelta fatta sappia coniugare come ben esprime F. Magnani, direttore dell’Ufficio Liturgico Nazionale della CEI nella sua Presentazione (pp. 5-9), «l’adozione di un linguaggio formale decisamente contemporaneo, ma nel contempo profondamente radicato nella grande tradizione plastico figurativa occidentale» (pp. 5-6). Ovviamente il discorso andrebbe approfondito, ma in altra sede.
Quello di Barba è uno studio che va letto con attenzione soprattutto dai parroci, dai diaconi e da quanti, laici o religiosi, esercitano le diverse ministerialità che interagiscono prima, durante e dopo il rito delle esequie, non esclusi gli addetti alle onoranze funebri. Perché deve sempre più circolare la convinzione che le immagini che sono parte integrante di questo libro rituale (ma anche le altre dei vari ordo liturgici) non vanno intese come semplici, sia pur utili, didascalie (pedagogiche o decorative), ma come «celebrazioni», cioè nella loro valenza mistagogica. E che il rito delle esequie nella società contemporanea abbia necessità di significare sempre meglio l’esperienza «pasquale» della morte in tutti i modi possibili è un dato di fatto incontrovertibile.
È un momento liturgico vivo, colmo di sentimenti contrastanti e di aneliti profondi dove il mistero incontra comunque le «corde» della fede di ciascuno e dove anche le immagini concorrono ad attuare, in certo modo, il memoriale celebrato. Sono momenti e situazioni «celebrative» che vanno ancora molto approfonditi (soprattutto sul versante della pragmatica rituale e della visualizzazione dell’immagine per tutta l’assemblea) e fatti conoscere sempre più fuori dai circoli artistici e teologici più ristretti. E l’Autore con questo suo scritto ce ne offre un momento ben riuscito, che andrebbe imitato e progettato anche per altre occasioni.
Tratto da "Rivista Liturgica" n. 4/2012
(http://www.rivistaliturgica.it)
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