Un anno fa era stato pubblicato Il nemico, parte della saga che lo scrittore canadese Michael O’ Brien ha costruito intorno alla figura di Padre Elia, al secolo David Shäfer, un ebreo polacco sfuggito alla Shoah e diventato prima ufficiale del Mossad e quindi influente politico di Israele. In seguito alla violenta morte della moglie, uccisa in stato di gravidanza da un kamikaze palestinese, Shäfer anziché covare vendetta decide di convertirsi al cattolicesimo e farsi frate, entrando nel convento del Monte Carmelo. Anni dopo il Papa, conoscendo la sua profonda cultura e grande capacità diplomatica, gli chiede di affrontare il “Nemico”, ovvero l’Anticristo, incarnatosi nell’insinuante Presidente dell’Unione Europea. La vicenda è stata sviluppata in un meraviglioso romanzo che alla tensione del thriller affianca una profondità spirituale sconosciuta alla quasi totalità della letteratura contemporanea.
Con Il libraio Michael O’ Brien fa cronologicamente un passo indietro, soffermandosi su un momento fondamentale della vita di David giovanetto: la sua fuga dal ghetto di Varsavia e l’ospitalità ricevuta dal libraio Pawel Tarnowski, intellettuale profondamente cattolico che cercherà di salvarlo a costo della propria vita. Ed è effettivamente il libraio il vero protagonista di questo romanzo, incentrato nella prima parte sulle sue vicende giovanili all’indomani del primo conflitto mondiale: Pawel, partito alla volta di Parigi con velleità artistiche e con una scarsa fede nella religione, in un paio di anni, dopo una serie di delusioni ed il disgusto per la corruzione dell’ambiente intellettuale della capitale francese, ritrova la religiosità in cui è stato cresciuto. Sarà l’incontro con il sacerdote connazionale Andrei a ricondurlo definitivamente alla fede, ma già il riavvicinamento ai sacramenti ed il rapporto epistolare con alcuni artisti cattolici (che, non a caso, vivono a Versailles, non a Parigi) contribuiscono a far tornare in lui la luce della speranza cristiana.
Così Pawel torna a Varsavia, apre una libreria e si dedica alla stesura di un dramma sacro su Andrei Rublëv, il maggiore pittore russo di soggetti sacri vissuto nel Trecento (va ricordato che lo stesso O’ Brien è un apprezzato autore di icone in stile bizantino). Ma il dramma gli sarà sottratto e verrà pubblicato (nonché apprezzato), a guerra finita, col nome di un altro. Pawel non sarà comunque costretto a subire questa ennesima umiliazione, perché nel frattempo si sarà sacrificato, come san Massimiliano Kolbe, per salvare la vita del ragazzo che gli aveva chiesto aiuto.
In questo “prequel” l’autore abbandona lo stile del thriller che aveva caratterizzato il precedente romanzo per lasciare spazio ad una profonda ricerca intimistica, per analizzare e criticare la società novecentesca che si abbandona all’edonismo, che esalta il cubismo di Picasso distruttore dell’arte figurativa e le teorie pansessualiste di Freud, che rinnega Dio per adorare il Maligno (emblematico il corrottissimo personaggio – omosessuale e pedofilo – che esalta la teosofia di Madame Blavatsky per “arruolare” anche Jung tra gli “eletti che hanno compreso la verità”). Il risultato è un libro per certi versi più complesso, nonostante la semplicità della trama, e che conferma Michael O’ Brien tra i principali romanzieri cattolici del nostro tempo.
Tratto dalla rivista Radici Cristiane n. 40 - Dicembre 2008
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