Paolo VI. Il coraggio della modernità
(Tempi e figure)EAN 9788821561788
E' stata presentata ufficialmente a Milano il 23 giugno una biografia di Paolo VI a opera di Giselda Adornato dal titolo: Paolo VI. Il coraggio della modernità (San Paolo edizioni). Erano presenti, oltre all’autrice, il card. Dionigi Tettamanzi, mons. Franco Giulio Brambilla, vescovo e vicario per la cultura della diocesi di Milano, e Armando Torno, giornalista e scrittore. Si è voluto dare rilievo a questo evento nell’anno in cui ricorrono i trent’anni dalla morte di questo papa, la cui figura complessa e affascinante da una parte rischia di rimanere incompresa, dall’altra mostra sempre più, a uno sguardo più affinato, il suo spessore spirituale e la sua luce.1 «Credo si possa dire oggi, a trent’anni dalla morte, che effettivamente quella “luce” intorno alla figura e al magistero del papa sia andata sempre più ampliandosi perché, in questo periodo, è stato possibile studiare con maggiore documentazione e in una migliore prospettiva storica il suo insegnamento, la sua pastorale e la sua ricchissima spiritualità. Che è poi quanto ha voluto fare Giselda Adornato, offrendoci questa preziosa biografia, sintesi di studi di decenni sulle fonti. In essa, un pontificato che spesso è stato letto per stereotipi e paradossi viene ricostruito nella sua unitarietà e coerenza, senza nasconderne le difficoltà, ma valorizzando il mondo interiore del protagonista e insieme il suo continuo confronto con la storia» (Tettamanzi).
La Adornato infatti è una delle autorità nello studio storico di questa figura. Laureata con Rumi alla Cattolica con una tesi su Paolo VI, ha da sempre dedicato i suoi studi con cura certosina alle fonti storiche accessibili. Ha curato l’archivio storico del periodo milanese di Montini – si deve ancora attendere per accedere agli archivi vaticani per i periodi romani – e collabora alla positio per la causa di beatificazione. Dopo aver scritto diversi articoli di carattere scientifico su aspetti particolari di questo papa, ora si cimenta in una ricostruzione dell’itinerario spirituale, culturale ed ecclesiale di un papa che ha segnato la vita della Chiesa e del Novecento. Leggere questo testo è come essere accompagnati a rileggere un arco della storia del nostro tempo. L’autrice lo fa con la discrezione e il rigore di uno storico, con l’attenzione alle fonti, con numerose citazioni, con la precisazione che molto ancora attende di essere studiato quando gli archivi permetteranno di rileggere meglio momenti e passaggi delicati di un papa che ha vissuto tempi affascinanti e travagliati.
Merita una nota proprio lo stile con il quale è scritta questa biografia: «Adornato si avvale della sua esperienza di storico con una scrittura scarna, anzi quasi ascetica. L’autrice dà forma scritta al racconto in modo tale da esaltare e far brillare la tipica scrittura di Montini, sapientemente e abbondantemente citata. Il lettore noterà un contrasto netto tra la prosa scevra da ogni retorica propria dello storico e la tipica scrittura appassionata del pontefice bresciano. Ne risulta un effetto di grande rilievo per i testi di Montini riportati. Con la sua inconfondibile retorica il papa si staglia con gigantesca singolarità nel racconto» (Brambilla).
Mentre lo storico sembra quasi trattenersi nell’esprimere i propri giudizi, la prosa montiniana emerge nella sua forza interrogativa: abbondano domande, quesiti con i quali il papa quasi si sdoppia nell’interrogare se stesso e così dà voce dall’interno agli interrogativi e agli aneliti degli uomini ai quali si rivolge. Anche questo fa parte di quel «coraggio della modernità » che caratterizza la figura del pontefice. «Montini ha veramente avuto il “coraggio della modernità”, cioè il coraggio di un confronto con il principio moderno dell’autonomia del soggetto e della libertà, quale nuovo punto di accesso alla fede (…). Potrei forse esprimermi così, arrivando al cuore stesso del confronto di Montini con la modernità: il modo di scrivere di Montini è messo a servizio della ricerca del legame tra coscienza moderna e verità cristiana. Tra la verità del Vangelo e la coscienza dell’uomo moderno, gelosa della sua autonomia, la Chiesa si colloca con la sua specifica missione di consentire il passaggio tra la ragione e la fede, tra la rivendicazione dell’esperienza dell’uomo e la verità evangelica veicolata dall’autorità della Chiesa» (Brambilla). Dalla biografia emergono tre momenti che descrivono l’itinerario spirituale di Paolo VI. Il primo scenario riguarda la vita nascosta nelle radici bresciane di Montini e nel momento operoso di Roma alla Segreteria di stato: il libro permette di gustare testi stupendi, folgoranti, soprattutto quelli che, raccolti dalle lettere ai familiari, sono capaci di una penetrazione del tempo presente che lascia a bocca aperta.
Il secondo momento descrive il tempo fecondo del suo ministero a Milano e dell’esaltante fase conciliare come pontefice: colpisce la mole di lavoro carica di passione e di amore per la Chiesa, unite a un confronto serrato con la modernità, fatto di ascolto attento, di desiderio di capire, e anche di capacità critica d’interpretare; qui si colloca anche il tempo del Concilio: «Di fronte a certa storiografia che attribuisce la funzione carismatica quasi solo a papa Giovanni, chi leggerà queste pagine di fila, nella galleria impressionante di testi, forti di un linguaggio singolare, non potrà che restarne quasi trascinato e travolto. Mi pare che si possa dire: senza Paolo VI avremmo avuto un concilio, ma non questo Concilio: il Vaticano II» (Brambilla).
Infine il terzo momento, dopo il Sessantotto, che attraversa il periodo per così dire sofferente e drammatico del primo postconcilio. Qui Paolo VI appare come il traghettatore: «Talvolta solo, Paolo VI ha retto la nave come nocchiero indomito e dolente, tenendo dritta la barra per una riforma in profondità e di carattere spirituale, lasciandosi cucire addosso il vestito stretto di un Paolo VI “mesto”, che non riesce neppure a leggere con bonomia un carattere che certo non aveva la solarità del predecessore, ma a vantaggio di una profondità insospettabile, come hanno certamente colto tutti gli artisti – e non a caso – che l’hanno incontrato » (Brambilla). Di questo ha dato testimonianza Armando Torno ricostruendo soprattutto la relazione tra Paolo VI e Prezzolini, ma alludendo anche ai molti contatti di Montini con gli uomini di cultura.
Volendo infine cogliere alcuni dei temi portanti che emergono dal testo, anche a partire dalle presentazioni fatte al convegno, ne possiamo accennare semplicemente tre.
Il dialogo come forma dell’evangelizzazione. «Il dialogo è lo strumento del rapporto con la modernità, anzi del coraggio di un confronto franco che non presenti solo il senso del Vangelo, ma ne dischiuda le stesse possibilità nel cuore dell’uomo moderno (…). Il dialogo montiniano è un modo di dire la differenza cristiana, la sua originalità non già contro o accanto o come un’aggiunta alla vicenda umana, ma come una singolarità che va detta e vissuta “dentro” e “attraverso” le forme dell’esperienza umana, assumendo cioè l’alfabeto della vita quotidiana» (Brambilla).
L’amore per la Chiesa. «La Chiesa nella concezione montiniana doveva essere il luogo in cui si realizza, quasi in corpore vivo, questa singolarità del dialogo tra Vangelo e cultura degli uomini (…). Un grande riformatore è stato Montini non tanto o soprattutto perché ha veramente riformato la grammatica ecclesiale, cercando la via stretta tra i facili riformatori che volevano tutto e subito, persino con tratti di spregiudicatezza, e coloro che avevano pietrificato la Tradizione inaridendo la sorgente della Tradizione vivente. Egli aveva della riforma della Chiesa una concezione incentrata su Cristo e sull’uomo: la Chiesa è semper reformanda per dire Cristo all’uomo e per condurre l’uomo con la sua coscienza a Cristo e a Dio. La riforma non era per Montini una tattica o una strategia, ma la linfa vitale della forma della Chiesa che dice e porta Cristo agli uomini. Per questo ne indicava sempre il suo segreto motore cristologico e spirituale» (Brambilla).
La gioia e la speranza nell’annuncio del Vangelo. Contro l’immagine mesta e triste che spesso si è voluto forzatamente ritagliare attorno a questo papa, questa biografia permette di cogliere un profilo più spirituale e profondo della sua figura. A distanza colpisce la forza e l’attualità anche di alcuni dei suoi scritti magisteriali. Tra essi spiccano l’Ecclesiam suam, l’Evangelii nuntiandi e la Gaudete in Domino. È stato questo tema il filo rosso rintracciato dal card. Tettamanzi nell’opera della Adornato e nella vita stessa di Montini: «È una gioia dinamica, questa di Montini, che scaturisce in lui stesso e nei fedeli dalla scoperta che Dio si piega sui bisogni più veri dell’uomo. Per elevarla a gaudio, ossia a profonda gioia spirituale, i cristiani devono poi percorrere un percorso inverso: portare gli uomini a Dio.
L’umanità, creata e amata da Dio – spiega Paolo VI – è al centro dell’interesse della Chiesa, che non è autoreferenziale, interessata solo alla costruzione di se stessa, ma è tutta protesa verso l’uomo e la sua salvezza: come la natura divina e quella umana di Cristo non si danno l’una senza l’altra, così la Chiesa e l’umanità sono in necessaria correlazione. Dice la prima enciclica montiniana Ecclesiam suam: “La Chiesa avverte la sbalorditiva novità del tempo moderno; ma con candida fiducia si affaccia sulle vie della storia, e dice agli uomini: io ho ciò che voi cercate, ciò di cui mancate” (Ecclesiam suam, n. 99; EV 2/200). Per questo Adornato nota: “Tra gli ostacoli che il cristiano incontra oggi nel suo sforzo di evangelizzare, uno dei più insidiosi, dice l’Evangelii nuntiandi, è la mancanza di gioia e di speranza (n. 80; EV 5/1710)”. L’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, del 1975, è davvero un documento stupendo, che ripete di continuo l’equivalenza tra gioia cristiana e gioia nello Spirito Santo; come a dire che là dove c’è lo Spirito Santo c’è la gioia cristiana, e reciprocamente là dove c’è la gioia cristiana c’è lo Spirito Santo. Ecco l’invito e l’augurio di Paolo VI, come ce li propone la Evangelii nuntiandi: “Conserviamo la dolce e confortante gioia d’evangelizzare, anche quando occorre seminare nelle lacrime (…).
Uno slancio interiore che nessuno, né alcuna cosa potrà spegnere. Sia questa la grande gioia delle nostre vite impegnate. Possa il mondo del nostro tempo, che cerca ora nell’angoscia, ora nella speranza, ricevere la buona novella non da evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazienti e ansiosi, ma da ministri del Vangelo, la cui vita irradii fervore, che abbiano per primi ricevuto in loro la gioia del Cristo, e accettino di mettere in gioco la propria vita affinché il Regno sia annunziato e la Chiesa sia impiantata nel cuore del mondo” (n. 80; EV 5/1714)».
Tratto dalla Rivista Il Regno 2008 n. 22
(http://www.ilregno.it)
Castel Gandolfo, 6 agosto 1978: papa Paolo VI muore alle 21.40, per edema polmonare. «C’era davvero bisogno, a trent’anni dalla morte, di una biografia come questa», scrive il card. Tettamanzi nella Presentazione (p. 10). Non che scarseggino le pubblicazioni di stampo biografico su Giovanni Battista Montini. Tuttavia forse mancava realmente il contributo “complessivo” e di agevole fruizione di una studiosa prudente, pronta ad ammettere che «il metodo strettamente scientifico imporrebbe di aspettare a compilare una biografia di Giovanni Battista Montini Paolo VI fino a quando tutte le fonti archivistiche vaticane siano note», ma altresì pronta ad affrontare la difficoltà per fornire uno strumento utile «ad una fascia di lettori non strettamente specialistica ma comunque avveduta e interessata» – e a sospendere sempre il giudizio in merito alle questioni «che attendono supporti archivistici appropriati» (p. 12).
L’autrice, del resto, può vantare una venticinquennale familiarità con l’oggetto del suo lavoro: una consuetudine acquisita attraverso lo studio dei documenti e l’avvicinamento dei testimoni coevi, ma soprattutto attraverso l’inventariazione dell’Archivio della segreteria dell’arcivescovo Montini (presso l’Archivio storico diocesano di Milano) e la collaborazione, come consultore storico, per la sua causa di beatificazione. Il risultato è una biografia attenta e misurata, rigorosamente basata sulle fonti disponibili e allergica ad ogni volo interpretativo non supportato dai documenti; una biografia, nonostante ciò, che non perde la propria (dichiarata) vocazione divulgativa, e che mira a restituire una «visione dell’esperienza montiniana “dall’interno”», assumendo a filo conduttore dell’azione e del pensiero di Montini «la sua spiritualità» – chiamata a confrontarsi, in una congiuntura storica di fondamentale importanza, ora con «il doveroso, continuo rinnovamento » della Chiesa, ora con «la continua evoluzione dell’uomo e del mondo» (pp. 12-13). La centralità del pontificato di Paolo VI «nella storia ecclesiale, ma anche civile, politica, culturale» del XX secolo è, infatti, innegabile (p. 9) – come innegabile è la complessità del panorama in cui si inserisce il suo magistero. Una breve, schematica ricognizione del volume della Adornato riuscirà forse a tracciare alcune caratteristiche di tale centralità/complessità, e aiuterà inoltre a chiarire il senso del sottotitolo («Il coraggio della modernità»), solo in apparenza azzardato e provocatorio. Come scrive in un appunto personale, Montini sceglie il nome di Paolo VI per devozione all’Apostolo «amoroso di Cristo» e per ammirazione «all’Apostolo missionario» (p. 82).
Amore e missione sono senza dubbio due dei grandi fili conduttori della sua vita, ed è innanzitutto sulla loro scorta che occorre leggere la vocazione montiniana al viaggio. Sin dagli anni della sua giovinezza, il futuro papa intraprende viaggi in diversi Paesi europei e non (p. 37): nel 1962 è «il primo cardinale europeo in visita al continente africano» (p. 73) e, diventato Paolo VI, abbatte ogni precedente barriera geografica tradizionale, recandosi in India, in America Latina, in Africa, in Australia, in Estremo Oriente... La sua formazione diplomatica lo agevola grandemente nel mettere a frutto simili viaggi: non per niente il card. Cicognani, nel 1972, parlerà a tal proposito di «ministero dell’incontro», sottolineando l’importanza del «contatto personale» per la risoluzione di spinose questioni religiose e politiche (p. 231). L’anelito missionario di Montini si fa forte della consapevolezza che «le vie del mondo sono aperte, anche logisticamente, al ministero del papa: questo è molto significativo ed importante, e forse, con l’andar del tempo, potrà produrre notevoli cambiamenti nell’esercizio pratico del suo ufficio apostolico » (pp. 203-204). Come nota l’autrice, «il pontificato di Giovanni Paolo II ha abituato il mondo all’uomo vestito di bianco che si muove nei luoghi più remoti e curiosi della terra», ma nel 1970 le riprese televisive di Paolo VI alle isole Samoa sono «una straordinaria novità» (p. 223). Viaggiare, per Montini, è inoltre un modo diretto ed efficace per rinvigorire il suo grande sforzo ecumenico, uno sforzo che ha radici lontane: già nel 1927 si mostrava convinto che, «anche staccati dalla roccia immobile e gloriosa della verità cattolica, gli eterodossi portano ancora un’indelebile traccia cristiana che li rende degni non solo del nostro amore, ma ancora della nostra venerazione». L’idea ecumenica di Montini-Paolo VI, del resto, si colloca nel solco della tradizione: «l’unità può essere raggiunta solo se ci sarà il ritorno dei separati alla comunione con Roma» (p. 43). La verità è una, e non è mai da mettere in discussione, eppure tale visione tradizionale si tinge spesso di una peculiare effusione del cuore. Nel 1949 Montini riconosce che «c’è un torto nel non saper far comprendere la verità, nel non renderla amabile» (p. 45), e da arcivescovo di Milano grida: «quanta pena, quanta attesa per chi ama i lontani come figli lontani! Perché questo fratello è lontano? Perché non è stato abbastanza amato. [...] Ebbene, se così è, fratelli lontani, perdonateci» (p. 68).
I frutti di questo atteggiamento, in campo ecumenico, saranno generosi con Paolo VI, e si sostanzieranno soprattutto in un significativo riavvicinamento con gli anglicani e con i patriarchi orientali – fermo restando che «il gesto ecumenico come atto d’amore» non esime, «ma presuppone l’incontrarsi nella “verità totale”» (p. 276), e che il papato rimane (il solo) «principio irrinunciabile di unità» (p. 179). La verità cattolica è condizione necessaria della retta unità della Chiesa. Un analogo principio è fatto valere da Paolo VI anche nel difficile cammino conciliare e post-conciliare, ereditato dal predecessore Giovanni XXIII. Il 29 settembre 1963, aprendo il secondo periodo del Concilio Ecumenico Vaticano II, il papa enuncia tra gli scopi fondamentali da raggiungere «il rinnovamento interiore della Chiesa stessa, senza rottura con le sue tradizioni» e «il dialogo con gli uomini contemporanei » (p. 99). Non c’è miglior modo di presentare lo spinoso ma centrale problema del confronto con la modernità: già negli anni ’20 Montini, distaccandosi «dall’intransigentismo antimoderno di larga parte del mondo cattolico», parlava di una “composizione” della modernità con «la tradizione viva e autentica» (p. 26), quest’ultima pur sempre pensata come saldo deposito di verità. Coerente con se stesso, Paolo VI crede dunque che «l’aggiornamento della Chiesa non implichi un cambiamento, ma un progresso; col progresso una stessa cosa si accresce, col cambiamento diventa un’altra» (p. 101).
Tale sarà la sua posizione durante il Concilio e anche successivamente, quando si tratterà di reagire agli «estremismi opposti» di chi «si appella alla tradizione per giustificare la propria disobbedienza al supremo Magistero e al Concilio Ecumenico», e di quanti invece «si sradicano dall’humus ecclesiale corrompendo la genuina dottrina della Chiesa»: due differenti forme di «soggettivismo» che Paolo VI stigmatizza con uguale fermezza (p. 278). La sua difesa del rinnovamento conciliare passa dunque per una contemporanea difesa della tradizione ecclesiastica: ribadisce che la Chiesa è monarchica e gerarchica (contro chi voleva mettere in dubbio il primato del pontefice); stabilisce che la libertà religiosa si ha solo nel «dovere della fedeltà alla verità», che è unica ed è custodita dalla santa Chiesa cattolica (p. 118); chiarisce che la riforma liturgica non muta “la sostanza” della Messa tradizionale, e ne sorveglia attentamente la corretta applicazione nei diversi Paesi – dato che il Concilio non è «l’occasione propizia per mettere in questione dogmi e leggi che la Chiesa ha iscritto nelle tavole della sua fedeltà a Cristo Signore» (p. 137). L’aggiornamento della Chiesa è necessario per mantenere aperta e viva la possibilità di dialogo con il mondo moderno, ma non implica il rifiuto del senso autentico della verità e della disciplina ecclesiastica. La stessa idea montiniana di “dialogo” è tradizionale: come spiega nel 1960, il dialogo «non deve terminare con una negazione, o un oblio della nostra verità, a profitto dell’errore, o della parziale verità che si voleva redimere» (p. 58).
L’aggiornamento in vista di un dialogo con il mondo moderno non significa dunque, per Paolo VI, “scendere a compromessi” con esso, ma piuttosto modificare tatticamente il proprio atteggiamento nei suoi confronti per poterlo più agevolmente “trarre dalla propria parte”. Montini è sempre stato un attento e interessato osservatore del progresso tecnologico, dal momento che «nessun campo dell’intelligenza umana, supremo dono di Dio, può essere estraneo alla Chiesa» (pp. 76-77), e ha professato instancabilmente “amore” per il proprio tempo e il proprio mondo – «nella lealtà e nella convinzione che Cristo è necessario e vero» (p. 83). È tuttavia conscio dei rischi del progresso e critico nei confronti di uno sviluppo dell’uomo che non sia “integrale”, ovvero anche e soprattutto “spirituale” (p. 56). In questa prospettiva vanno inquadrate le sue ferme posizioni sui temi del celibato ecclesiastico, dell’uso dei contraccettivi, del divorzio e dell’aborto: «la rinnovazione è, per molti riguardi, la più vera riforma, è quella che si compie negli animi più che nelle cose», dirà il 23 aprile 1966 durante la messa per il giubileo straordinario. La verità divina «non muta» (p. 192). In un’epoca storico-ecclesiale di transizione e cambiamento, nella quale gli scenari politici e sociali si fanno fragili e complessi come non mai, con una riforma della Chiesa da proseguire, portare a termine ed applicare, l’attitudine di Montini all’ “incontro” lo ha indubbiamente agevolato nell’apertura di un «varco culturale per la Chiesa nel raffronto con la modernità» (p. 295), ma non ha mai snaturato la sua coerenza di «promotore della verità» (p. 190) e il suo instancabile lavoro a tutela dell’unità della Chiesa.
Durante la “crisi” del ’68, prendendo a tema la contestazione, la secolarizzazione e la dissacrazione dilaganti, dirà ai Laureati cattolici: «non bisogna chiudere gli occhi alla realtà ideologica e sociale che ci avvolge; anzi faremo bene a guardarla in faccia con coraggiosa serenità» (p. 187). È questo il senso profondo del “coraggio della modernità” di un papa intimamente convinto che la stessa vita cristiana “esiga” coraggio, oltre che fedeltà, costanza e pazienza (p. 290). E c’è un coraggio nell’accettare la sfida e uno nel difendere la propria posizione, come c’è il coraggio di cambiare rotta e quello di rimanere fedeli alla tradizione. Per questo motivo risulta molto appropriata da parte dell’autrice la scelta del sottotitolo, commento all’intero volume e suggello di una biografia lucida, chiara, prudente, che non pretende di mettere punti fermi, ma si offre come strumento per chi, in futuro, potrà disporre dei documenti e delle fonti archivistiche oggi purtroppo non accessibili.
Tratto dalla rivista Humanitas 64 (4-5/2009) 834-838
(http://www.morcelliana.it/ita/MENU/Le_Riviste/Humanitas)
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