Diviso in trentuno brevi capitoli, ognuno dedicato a un diverso titolo di Maria, questo volume è un canto, un colloquio tenero e appassionato, dolce ma anche coraggioso e anticonformista, che sa farsi preghiera, che unisce il ''parlato alto''? proprio dei poeti al ''dire quotidiano''?dell'uomo della strada. È un libro originale che contiene alcune ipotesi ardite: come quella secondo cui Maria avrebbe tentato in ogni modo di distogliere Giuda dalla tentazione del suicidio. Immagini splendide, che nel testo si accompagnano ad ampi squarci di catechesi, mai asciutti o schematici, sempre fervidi di idee e lampi di luce.
PRESENTAZIONE
di LUIGI SANTUCCI
De Maria numquam satis, recita da secoli una pia antifona. Quanto infatti è stato scritto, poetato, narrato, cantato sulla madre di Gesù! Da Jacopone a Péguy, a Claudel, a Eliot; da Dante a Lope de Vega, a Bernanos, a Hopkins; da Petrarca a Turoldo. Per non parlare dei santi (Bonaventura, Bernardo, Bernardino) e degli oscuri o anonimi, che con ingenuità, rozzezza o retorica hanno invaso di lodi la "Donna del paradiso". Eppure non basta (numquam satis), non basterà mai.
Così è stato, incontenibilmente, anche per Tonino Bello, vescovo di Molfetta. Che ci offre questi trentuno capito-letti - Maria donna dei nostri giorni — a cui diamo il benvenuto fra í nostri cuori mariani.
Nel parlare di Maria (anzi, a Maria) l'autore ha fatto uso dei due attributi di cui lo conosciamo dotato: soavità, tenerezza, stupori di vibrante poeta; ma poi forza, passione, coraggio anticonformista. Virtù, codeste ultime, che più me lo hanno fatto stimare e amare per la generosa baldanza con cui da anni egli denunzia e affronta le infamie della nostra società; le fiacchezze e i ritardi della stessa Chiesa, sulle quote di una protesta non frequente nei nostri pastori; per la sua opzione radicale a favore degli ultimi, l'impegno per la pace e la non violenza.
Quali sono i meriti di questo libro, il suo "diritto" d'infoltire la sconfinata produzione mariologica?
L'originalità e l'arditezza, intanto, di certe ipotesi, dentro un "vangelo apocrifo" (ma non inverosimile) della Vergine. Che, ad esempio, lei pure sia andata a deporre il figlio dal legno e gli abbia "composto le membra nella pace della morte". Ma prima, che attorno alla croce abbia danzato i suoi "lamenti di madre implorando il ritorno del sole". E — sempre sul tema della passione — l'altro assunto che Cristo spirando abbia reclinato il capo su quello di Maria e lei "ritta sul patibolo, forse su uno sgabello di pietra", sia diventata così "il suo cuscino di morte". Ancora, quella Maria donna del terzo giorno che avrebbe assistito prima delle altre non all'apparizione del Risorto, ma all'evento segretissimo della risurrezione. E infine l'altra, che esplica un'incontenibile maternità con lo stesso G iuda, nell'uscir di casa per distoglierlo dalla decisione del suicidio e che dopo la deposizione di Gesù va a deporre dall'albero anche lui e gli compone le membra nell'ultima pace. Autentiche "invenzioni" da narratore visionario, o più da ispirato propositore di brevi epiche.
Ma poi in questo scriver libero e svariante l'autore si apre ad ammaestrativi squarci di catechesi ("donaci la certezza che chi obbedisce al Signore non si schianta al suolo, come in un pericoloso spettacolo senza rete, ma cade nelle sue braccia": in Maria, donna obbediente); o — da psicologo — inventa per noi quel santuario alla "Madonna della paura" dove ci rifugeremmo tutti, "perché tutti, come Maria, siamo attraversati da quell'umanissimo sentimento che è il segno più chiaro del nostro limite".
Forse — e per antinomia — la dimestichezza con la Madonna, creatura di mirabili silenzi ha dotato Tonino Bello d'un'eloquenza (e intendo qui un'eloquenza di scrittura) fluida e anche letterariamente magistrale. Si legga, giusto in tema di silenzio, il pezzo di bravura dove sono paesaggisticamente ambientati i "silenzi" di Maria nei suoi appuntamenti con Dio; in Donna del vino nuovo quel preambolo sulle botti, le cantine e gli odori del mosto in allacciamento al tema enotrio di Cana; o infine, nella difficoltà di trascegliere fra le altre e tante espressive gemme, quella dossologia rivolta a Maria, donna del sabato santo. un formale gioiello, è per me il profondo messaggio e il più prezioso dono di queste pagine: quel trasmetterci, nel tramite ancora della Vergine, il giubilo della Pasqua, chiamandoci a un quasi dionisiaco ottimismo. «Che cosa faranno gli alberi stanotte, quando suoneranno a stormo le campane? Le piante del giardino spanderanno insieme, come turiboli d'argento, la gloria delle loro resine? E gli animali del bosco ululeranno i loro concerti mentre in chiesa si canta l'Exultet? Come reagirà il mare, che brontola sotto la scogliera, all'annuncio della risurrezione? L'angelo in bianche vesti farà fremere le porte anche dei postriboli? Oltre i cancelli del cimitero, sussulteranno sotto il plenilunio le tombe dei miei morti? E le montagne, non viste da nessuno, danzeranno di gioia attorno alle convalli?». Ed è in quell'ora che Maria a noi figli ripeterà che «non c'è croce che non abbia le sue deposizioni. Non c'è amarezza umana che non si stemperi in sorriso. Non c'è peccato che non trovi redenzione. Non c'è sepolcro la cui pietra non sia provvisoria sulla sua imboccatura. Anche le gramaglie più nere trascolorano negli abiti della gioia. Le rapsodie più tragiche accennano ai primi passi di danza. E gli ultimi accordi delle cantilene funebri contengono già i motivi festosi dell'alleluja pasquale».
Ma in codesto "parlare alto" l'autore estemporaneamente infiltra un "dir quotidiano", in confidenziale abbandono. Eccolo allora a coinvolgere femminili creature della sua cerchia diocesana (Antonella, Patrizia, Daniela, Rossella) con le loro piccole sorti domestiche, le tribolazioni e letizie messe in parallelo con Maria. Così in quel penultimo capitolo (Maria, donna dei nostri giorni) dove la Vergine è quasi surrealmente trasfusa e mimata nelle mille donnucce del lessico familiare e stradale. Contemporanea; vicina di casa, compagna di scuola e di bottega: "molfettese puro sangue"... Giacché la virtù forse più singolare del libro è questa d'intarsiare per noi una Madonna fatta di levità e teologali trasparenze, misticamente volitante sulle anime nostre, con le valenze d'una creatura pienamente vissuta come noi nel tempo, nel frantume dei giorni, nel destino effimero ma pregnante della propria corporeità e puranche — sì — del proprio apparire e adornarsi.
Allora il nostro non esiterà a proclamare e a celebrare, come se l'avesse lui vista e goduta, la vocazione alla danza di Maria, la sua femminile bellezza e ancora, con fantasiosi fraseggi, la sua eleganza.
Sulle ali di questi slanci, nelle pulsioni di queste "libertà" ecco che il vescovo, lo scrittore Tonino Bello, ci appare, a lettura conclusa, nella sua aperta dimensione mariologica. Cioè non agiografo; neppure laudese. Cantore, nel senso più melico e lirico; e tuttavia penetratone e aruspice, entro sfere psicologiche e inedite, del suo altissimo soggetto. Non "devoto", ma più; innamorato, dirò, nella pienezza totalizzante di questo sentire. E in tale castissima "cotta" per Maria egli va umilmente, ludicamente ad affratellarsi a quello straordinario personaggio di Anatole France — Le jongleur de Notre Dame —; il saltimbanco che, fattosi frate, altro culto non volle offrire alla Vergine che il danzare dinanzi alla sua immagine, traducendo in capriole e salti il proprio esuberante amore.
PRIMO CAPITOLO
1. Maria, donna feriale
Chi sa quante volte l'ho letta senza provare emozioni. L'altra sera, però, quella frase del Concilio, riportata sotto un'immagine della Madonna, mi è parsa così audace, che sono andato alla fonte per controllarne l'autenticità.
Proprio così. Al quarto paragrafo del decreto sull'Apostolato dei laici c'è scritto testualmente: «Maria viveva sulla terra una vita comune a tutti, piena di sollecitudini familiari e di lavoro».
Intanto, «Maria viveva sulla terra».
Non sulle nuvole. I suoi pensieri non erano campati in aria. I suoi gesti avevano come soggiorno obbligato i perimetri delle cose concrete.
Anche se l'estasi era l'esperienza a cui Dio spesso la chiamava, non si sentiva dispensata dalla fatica di stare con i piedi per terra.
Lontana dalle astrattezze dei visionari, come dalle evasioni degli scontenti o dalle fughe degli illusionisti, conservava caparbiamente il domicilio nel terribile quotidiano.
Ma c'è di più: «Viveva una vita comune a tutti».
Simile, cioè, alla vita della vicina di casa. Beveva l'acqua dello stesso pozzo. Pestava il grano nello stesso mortaio. Si sedeva al fresco dello stesso cortile.
Anche lei tornava stanca alla sera, dopo aver spigolato nei campi.
Anche a lei, un giorno dissero: «Maria, ti stai facendo i capelli bianchi». Si specchiò, allora, alla fontana e provò anche lei la struggente nostalgia di tutte le donne, quando si accorgono che la giovinezza sfiorisce. Le sorprese, però, non sono finite, perché venire a sapere che la vita di Maria fu «piena di sollecitudini familiari e di lavoro» come la nostra, ci rende questa creatura così inquilina con le fatiche umane, da farci sospettare che la nostra penosa ferialità non debba essere poi così banale come pensiamo.
Sì, anche lei ha avuto i suoi problemi: di salute, di economia, di rapporti, di adattamento.
Chi sa quante volte è tornata dal lavatoio col mal di capo, o sovrappensiero perché Giuseppe da più giorni vedeva diradarsi i clienti dalla bottega.
Chi sa a quante porte ha bussato chiedendo qualche giornata di lavoro per il suo Gesù, nella stagione dei frantoi.
Chi sa quanti meriggi ha malinconicamente consumato a rivoltare il pastrano già logoro di Giuseppe, e ricavarne un mantello perché suo figlio non sfigurasse tra i compagni di Nazaret.
Come tutte le mogli, avrà avuto anche lei momenti di crisi nel rapporto con suo marito, del quale, taciturno com'era, non sempre avrà capito i silenzi.
Come tutte le madri, ha spiato pure lei, tra timori e speranze, nelle pieghe tumultuose dell'adolescenza di suo figlio.
Come tutte le donne, ha provato pure lei la sofferenza di non sentirsi compresa, neppure dai due amori più grandi che avesse sulla terra. E avrà temuto di deluderli. O di non essere all'altezza del ruolo.
E, dopo aver stemperato nelle lacrime il travaglio di una solitudine immensa, avrà ritrovato finalmente nella preghiera, fatta insieme, il gaudio di una comunione sovrumana.
Santa Maria, donna feriale, forse tu sola puoi capire che questa nostra follia di ricondurti entro i confini dell'esperienza terra terra, che noi pure viviamo, non è il segno di mode dissacratorie.
Se per un attimo osiamo toglierti l'aureola, è perché vogliamo vedere quanto sei bella a capo scoperto.
Se spegniamo i riflettori puntati su di te, è perché ci sembra di misurare meglio l'onnipotenza di Dio, che dietro le ombre della tua carne ha nascosto le sorgenti della luce.
Sappiamo bene che sei stata destinata a navigazioni di alto mare. Ma se ti costringiamo a veleggiare sotto costa, non è perché vogliamo ridurti ai livelli del nostro piccolo cabotaggio. È perché, vedendoti così vicina alle spiagge del nostro scoraggiamento, ci possa afferrare la coscienza di essere chiamati pure noi ad avventurarci, come te, negli oceani della libertà.
Santa Maria, donna feriale, aiutaci a comprendere che il capitolo più fecondo della teologia non è quello che ti pone all'interno della Bibbia o della patristica, della spiritualità o della liturgia, dei dogmi o dell'arte. Ma è quello che ti colloca all'interno della casa di Nazaret, dove tra pentole e telai, tra lacrime e preghiere, tra gomitoli di lana e rotoli della Scrittura, hai sperimentato, in tutto lo spessore della tua antieroica femminilità, gioie senza malizia, amarezze senza disperazioni, partenze senza ritorni.
Santa Maria, donna feriale, liberaci dalle nostalgie dell'epopea, e insegnaci a considerare la vita quotidiana come il cantiere dove si costruisce la storia della salvezza.
Allenta gli ormeggi delle nostre paure, perché possiamo sperimentare come te l'abbandono alla volontà di Dio nelle pieghe prosaiche del tempo e nelle agonie lente delle ore.
E torna a camminare discretamente con noi, o creatura straordinaria innamorata di normalità, che prima di essere incoronata regina del cielo, hai ingoiato la polvere della nostra povera terra.
Qui trovi riportati i commenti degli utenti di LibreriadelSanto.it, con il nome dell'utente e il voto (espresso da 1 a 5 stelline) che ha dato al prodotto.
I commenti compaiono ordinati per data di inserimento dal meno recente (in alto) al più recente (in basso).
Studente federica paduano il 18 settembre 2011 alle 18:48 ha scritto:
Una raccolta di pensieri su maria partendo da giaculatorie più che originali. Ha delineato una figura della nostra mamma davvero celestiale con tratti di una tenerezza unica. Un modo particolarissimo di scrivere che cattura i cuori e li immerge nella tenerezza di Dio. Bellissimo.
giovanna mazza il 29 novembre 2014 alle 13:28 ha scritto:
Un libro con don Tonino Bello sempre presente. Meditazioni quotidiane per stare con Maria accanto, imperdibile, da leggere in continuazione, una pagina al giorno, ricominciando da capo per trovare sempre un senso nuovo. D'altra parte è così che succede nell'amicizia, ogni giorno riserva un passo insieme avanti, verso un orizzonte comune, molto più accessibile di quello che si pensa se dalla nostra parte c'è Maria.
Prof. Stefano Coccia il 31 maggio 2015 alle 21:18 ha scritto:
Diversamente dagli altri scritti di don Tonino, questo libro risulta un po' meno scorrevole, perché scritto con un linguaggio a volte troppo ricercato e di non facile comprensione ai più. Resta comunque un mezzo molto utile per la meditazione quotidiana nel mese di maggio, perché tratteggia una fisionomia di Maria molto più umana rispetto a come viene affrontata da altri autori in altri testi. Lo testimonia, ad esempio, la preghiera che don Tonino scrive "Maria, donna dei nostri giorni", in cui la Madonna è descritta proprio come se fosse una di noi.
Dott. DONATELLA PEZZINO il 19 marzo 2021 alle 20:48 ha scritto:
Le parole di don Tonino Bello come sempre arrivano dritte al cuore. In questo scritto, la Madonna appare più vicina che mai, perché vista interamente nella sua dimensione umana. I titoli delle meditazioni formano una "reinterpretazione" delle classiche litanie lauretane. Un libro bellissimo.