PREMESSA
Vedo per la Chiesa nel nostro tempo soprattutto tre campi di dialogo quali essa deve essere presente, nella lotta per l'uomo e per che cosa significhi essere persona umana: il dialogo con gli Stati, il dialogo con la società — in esso incluso il dialogo con le culture e con la scienza — e, infine, il dialogo con le religioni. In tutti questi dialoghi, la Chiesa parla a partire da quella luce che le offre la fede. Essa, però, incarna al tempo stesso la memoria dell'umanità che, fin dagli inizi e attraverso i tempi, è memoria delle esperienze e delle sofferenze dell'umanità, in cui la Chiesa ha imparato ciò che significa essere uomini, sperimentandone il limite e la grandezza, le possibilità e le limitazioni. La cultura dell'umano, di cui essa si fa garante, è nata e si è sviluppata dall'incontro tra la rivelazione di Dio e l'esistenza umana. La Chiesa rappresenta la memoria dell'essere uomini di fronte a una civiltà dell'oblio, che ormai conosce soltanto se stessa e il proprio criterio di misure. Ma come una persona senza memoria ha perso la propria identità, così anche un'umanità senza memoria perderebbe la propria identità.
Ciò che, nell'incontro fra rivelazione ed esperienza umana, è stato mostrato alla Chiesa va, certo, al di là dell'ambito della ragione, ma non costituisce un mondo particolare che per il non credente sarebbe senza alcun interesse. Se l'uomo con il proprio pensiero entra nella riflessione e nella comprensione di quelle conoscenze, esse allargano l'orizzonte della ragione e ciò riguarda anche coloro che non riescono a condividere la fede della Chiesa. Nel dialogo con lo Stato e con la società, la Chiesa certamente non ha soluzioni pronte per le singole questioni. Insieme con le altre forze sociali, essa lotterà per le risposte che maggiormente corrispondano alla giusta misura dell'essere umano. Ciò che essa ha individuato come valori fondamentali, costitutivi e non negoziabili dell'esistenza umana, lo deve difendere con la massima chiarezza. Deve fare tutto il possibile per creare una convinzione che poi possa tradursi in azione politica.
Questo dialogo delle religioni ha diverse dimensioni. Esso sarà innanzi tutto semplicemente un dialogo della vita, un dialogo della condivisione pratica. In esso non si parlerà dei grandi temi della fede — se Dio sia trinitario o come sia da intendere l'ispirazione delle Sacre Scritture ecc. Si tratta dei problemi concreti della convivenza e della responsabilità comune per la società, per lo Stato, per l'umanità. In ciò bisogna imparare ad accettare l'altro nel suo essere e pensare in modo diverso. A questo scopo è necessario fare della responsabilità comune per la giustizia e per la pace il criterio di fondo del colloquio. Un dialogo in cui si tratta di pace e di giustizia diventa da sé, al di là di ciò che è semplicemente pragmatico, una lotta etica circa la verità e circa l'essere umano; un dialogo circa le valutazioni che sono presupposte al tutto. Così il dialogo, in un primo momento meramente pratico, diventa tuttavia anche una lotta per il giusto modo di essere persona umana. Anche se le scelte di fondo non sono come tali in discussione, gli sforzi intorno a una questione concreta diventano un processo in cui, mediante l'ascolto dell'altro, ambedue le parti possono trovare purificazione e arricchimento. Così questi sfozi possono avere anche il significato di passi comuni verso l'unica verità, senza che le scelte di fondo vengano cambiate. Se ambedue le parti muovono da un'ermeneutica di giustizia e di pace, la differenza di fondo non scomparirà, crescerà tuttavia anche una vicinanza più profonda tra loro.
Per l'essenza del dialogo interreligioso, oggi in genere si considerano fondamentali due regole:
1. Il dialogo non ha di mira la conversione, bensì la comprensione. In questo si distingue dall'evangelizzazione, dalla missione.
2. Conformemente a dò, in questo dialogo ambedue le parti restano consapevolmente nella loro identità, che, nel dialogo, non mettono in questione né per sé né per gli altri.
Queste regole sono giuste. Penso, tuttavia, che in questa forma siano formulate troppo superficialmente. Sì, il dialogo non ha di mira la conversione, ma una migliore comprensione reciproca: ciò è corretto. La ricerca di conoscenza e di comprensione, però, vuole sempre essere anche un avvicinamento alla verità. Così, ambedue le parti, avvicinandosi passo passo alla verità, vanno in avanti e sono in cammino verso una più grande condivisione, che si fonda sull'unità della verità. Per quanto riguarda il restare fedeli alla propria identità: sarebbe troppo poco se il cristiano con la sua decisione per la propria identità interrompesse, per così dire, in base alla sua volontà, la via verso la verità. Allora il suo essere cristiano diventerebbe qualcosa di arbitrario, una scelta semplicemente fattuale.
Allora egli, evidentemente, non metterebbe in conto che nella religione si ha a che fare con la verità. Rispetto a questo direi che il cristiano ha la grande fiducia di fondo, anzi, la grande certezza di fondo di poter prendere tranquillamente il largo nel vasto mare della verità, senza dover temere per la sua identità di cristiano. Certo, non siamo noi a possedere la verità, ma è essa a possedere noi: Cristo, che è la Verità, ci ha presi per mano, e sulla via della nostra ricerca appassionata di conoscenza sappiamo che la sua mano ci tiene saldamente. L'essere interiormente sostenuti dalla mano di Cristo ci rende liberi e al tempo stesso sicuri. Liberi: se siamo sostenuti da Lui, possiamo entrare in qualsiasi dialogo apertamente e senza paura. Sicuri, perché Egli non ci lascia, se non siamo noi stessi a staccarci da Lui. Uniti a Lui, siamo nella luce della verità.
ESTRATTO DAL PRIMO CAPITOLO
RISERVE DI AMORE PER I SOFFERENTI
Domenica 1° luglio
Gesù, che si fa attento alla sofferenza umana, ci fa pensare a tutti coloro che aiutano gli ammalati a portare la loro croce, in particolare i medici, gli operatori sanitari e quanti assicurano l'assistenza religiosa nelle case di cura.
Cari Fratelli e Sorelle,
NELL'ODIERNA DOMENICA, l'evangelista Marco ci presenta il racconto di due guarigioni miracolose che Gesù compie in favore di due donne: la figlia di uno dei capi della Sinagoga, di nome Giàiro, ed una donna che soffriva di emorragia.' Sono due episodi in cui sono presenti due livelli di lettura; quello puramente fisico: Gesù si china sulla sofferenza umana e guarisce il corpo; e quello spirituale: Gesù è venuto a guarire il cuore dell'uomo, a donare la salvezza e chiede la fede in Lui. Nel primo episodio, infatti, alla notizia che la figlioletta di Giàiro è morta, Gesù dice al capo della Sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede! »,2 lo prende con sé dove stava la bambina ed esclama: «Fanciulla, io ti dico: alzati! ».3 Ed essa si alzò e si mise a camminare. San Girolamo commenta queste parole, sottolineando la potenza salvifica di Gesù: «Fanciulla, alzati per me: non per merito tuo, ma per la mia grazia. Alzati dunque per me: il fatto di essere guarita non è dipeso dalle tue virtù ».