Alle radici della decostruzione: la sfida, etica e politica, suscitata dall'altro
Il termine decostruzione, solitamente associato all’opera di Jacques Derrida, è forse uno dei più equivocati della filosofia del Novecento, e sembra ancora lontano il tempo in cui si giungerà a una piena comprensione di quanto abbia prodotto e produca ben al di là delle semplificanti formule a cui lo si è spesso ridotto. In questo secondo volume di Psyché. Invenzioni dell’altro è possibile verificare in che senso la decostruzione non è né un’analisi né una critica tecnicamente intese come scomposizioni padroneggiabili, ma un esercizio del pensiero che si produce come lettura esigente e rigorosa, capace di svelare le domande e le genealogie insospettate o nascoste che hanno strutturato e legittimato la tradizione filosofica occidentale. I saggi qui radunati - inaugurati dall’ormai famosa (ma non per questo conosciuta) Lettera a un amico giapponese - interrogano Heidegger, Kant, Michel de Certeau e attraversano campi del sapere quali l’architettura, la storia, la teologia, il diritto e la politica, imponendo a ciascuno la radicale presa in carico dei non sempre dichiarati o consapevoli moventi epistemologici, politici, culturali che innervano i loro gesti e le loro procedure. Senza scorciatoie o facili contaminazioni, dunque, si profilano domande che la filosofia pone anzitutto a se stessa e agli statuti metodologici che hanno segnato la sua storia, perché, se pure si tratta sempre di «disfare, scomporre, desedimentare delle strutture» senza cedere a consolatorie iconoclastie o a ornamentali nichilismi, si dovrà tuttavia riconoscere che la radice politica del pensiero - e in particolare del pensiero filosofico - consiste in quell’impossibile accoglienza che è il «sì che apre la domanda e che sempre si lascia presupporre da essa, un sì che afferma prima di essa, al di qua o al di là di ogni domanda possibile». È qui che, sottratto a ogni calcificazione ideologica, si avvista un senso dell’alterità generativa dei legami che spiazza e modifica il nostro modo di rappresentarceli.