Sono grandi cristiani di diversi momenti e luoghi della storia e della vita della Chiesa indicati ai fedeli e al mondo come testimoni della fede vissuta con intensità e in circostanze diverse. La comunione dei santi è, in un certo senso, il possesso diretto che noi cristiani abbiamo di tutti i santi di tutti i secoli. Questo passo di Péguy, ricordato dall’autore nella prefazione al suo volume, è la migliore presentazione del tentativo perseguito di fare teologia raccontando ed esponendo le vite dei santi. Apparentemente non vi è ordine nella sua scelta.
Accanto al grande Agostino viene presentata l’umile figura di Vittoria Rasoamanarivo che svolse un ruolo significativo nell’evangelizzazione del Madagascar; il peso di una altro grande vescovo riformatore come san Franceso di Sales è bilanciato dalle figure semplici di Teresa Margherita Redi, un’umile suora che si distinse per la sua generosità nell’assistenza alle consorelle nel carmelo, e di Zelia e Luigi Martin, la mamma e il papà di santa Teresina, che sembrano tirati sugli altari dalla gloria della figlia.
Il quadro è poi completato dal ritratto di tre sacerdoti moderni quali Daniele Comboni, Luigi Orione e Tito Brandsma. Il denominatore comune è allora la comunione dei santi, lo sguardo portato nella bellezza e ricchezza della Gerusalemme celeste, dove i santi sono alla presenza di Dio e seguono l’Agnello dovunque egli vada. Ai nostri tempi, lamentano tanti, è venuta meno la considerazione dei Novissimi. Attraverso la contemplazione delle vicende di questi santi, Antonio Sicari offre l’immagine di una Chiesa più grande, di una comunione dei fedeli già raccolta nell'adorazione del Signore.
ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
SANT'AGOSTINO
(354-430)
Aveva ricevuto il Battesimo all'età di quasi trentatré anni, dopo una travagliata e lunga ricerca di quella Verità che è Cristo; ricerca che lo aveva condotto dalle coste dell'Africa, dove era nato, a Roma e poi a Milano.
E aveva ormai raggiunto la fama, per l'intelligenza geniale, l'eloquenza affascinante, l'attività scientifica a tutto campo: stava addirittura scrivendo una specie di enciclopedia su tutte le arti liberali del tempo (grammatica, dialettica, retorica, musica, aritmetica, geometria, filosofia).
Ma ora, battezzato già da quattro anni, pensava che tutte quelle scienze, da sole, non fossero altro che «puerilità», perciò aveva fondato con alcuni amici una specie di «monastero laico» dove potersi dedicare alla riflessione filosofica e teologica, allo studio delle Sacre Scritture, alla conversazione colta e profonda, e alla preghiera: i libri erano comunque la sua passione; lo scrivere e il dialogare erano il compito che gli urgeva dentro, al fine di approfondire quella fede che un tempo aveva combattuto e che ora lo possedeva completamente.
E fu allora che lo costrinsero a diventare prete.
Era una domenica dell'anno 391: l'anziano Vescovo di Ippona—città marittima dell'antica Numidia—spiegava in cattedra- le ai fedeli che c'era bisogno di un sacerdote che lo aiutasse; da solo egli non poteva resistere ai pagani ancora aggressivi e agli eretici che costruivano contro di lui vigorose comunità anticattoliche.
La gente era scossa e l'emozione nella Basilica cresceva. In mezzo alla folla era presente Agostino, giovane uomo di trentasette anni, che era venuto in quella città occasionalmente, solo per incontrare un amico. Ma la sua fama l'aveva preceduto.
All'improvviso egli si trovò letteralmente afferrato dai vicini.
Narra l'antico biografo: «S'impadronirono di lui e lo portarono al vescovo perché lo ordinasse: tutti con unanime consenso e desiderio chiedevano che così si facesse, ripetutamente, con grande ardore e alte grida. Egli piangeva dirottamente... Ma infine si compì il loro desiderio».
«Fui preso con la violenza e fatto sacerdote», racconterà poi Agostino, aggiungendo una nota di colore: egli piangeva perché non si sentiva degno di quell'ufficio che gli cadeva addosso in maniera tanto subitanea; i suol «aggressori» invece pensavano che piangesse di delusione perché lo facevano soltanto semplice prete; lo consolavano, perciò, dicendogli che per diventare vescovo il passo era breve, tanto più che il loro Pastore, Valerio, era già tanto vecchio!
«Così si usava allora», commenta il biografo; e infatti avventure simili toccarono ad altri cristiani che sarebbero poi divenuti «Padri della Chiesa». Anche Ambrogio era diventato vescovo di Milano allo stesso modo.
Forse un tale metodo per reclutare vocazioni non ci sembra oggi molto rispettoso della libertà del «chiamato», ma serve almeno a sottolineare che la vocazione non è un vago sentimento soggettivo, ma una necessità della Chiesa che si fa voce e grido. Certamente, anche allora, toccava al vescovo decidere—non alla comunità!—ma il popolo di Dio sapeva all'occasione premere perché sui suoi figli e «si offrissero»; e questi figli così «costretti» alla Sacra Ordinazione, diventavano spessissimo padri, dottori e santi.
Essi rispondevano con lo stesso impeto con il quale erano stati chiamati, perché si sentivano «scelti» da Dio e dalla Chiesa, non per una riflessione emotiva su se stessi, ma per l'evidenza degli avvenimenti.
Comunque, la prima reazione di Agostino fu di costernazione: da un lato i suoi progetti monastici sembravano completamente spazzati via, dall'altro si sentiva incapace per quel compito che riteneva «difficile, laborioso e pericoloso», anche se sapeva—come ogni vero e buon cristiano—che quello era «lo stato più felice agli occhi di Dio».
Non passeranno quattro anni che sarà eletto vescovo della città e sarà conosciuto in tutta la Chiesa a quel tempo e in ogni tempo.
Diverrà Agostino di Ippona, uno dei più grandi Santi e Maestri del popolo cristiano.
Ma ora dobbiamo tornare indietro, a narrare di quei primi trentatré anni di vita, lungo i quali Dio se lo era a lungo preparato.
Agostino nacque a Tagaste, in Numidia (l'attuale Algeria) nel 354 d.C. Era africano di origine e romano dí cultura; apparteneva a una famiglia del ceto medio, stimata, ma non ricca.
Il padre, Patrizio, membro del consiglio municipale e piccolo possidente, era di cuore buono, anche se impetuoso e molto facile all'ira. Non era cristiano, e la sua moralità coniugale lasciava alquanto a desiderare.
D'altra parte, le grandi città della regione erano in gran parte pagane, e il culto agli dei veniva ostentato con forme che tendevano ai più lascivi baccanali.
Anche se il cristianesimo era stato ufficialmente accolto e difeso dagli imperatori, il paganesimo veniva potentemente trasmesso dalle scuole, dai libri, dai monumenti, sui palcoscenici, negli anfiteatri, nei circhi, e in tutta la concezione della vita.
E stava per scoppiare —proprio durante l'infanzia di Agostino— l'ultima persecuzione, quella di Giuliano l'Apostata, che avrebbe tentato di far rinascere l'antica religione e di stroncare il cristianesimo con molteplici forme di aggressione economica e culturale.
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donato partepilo il 4 novembre 2022 alle 21:11 ha scritto:
ogni volume di questa collana ha la sua bellezza