Le Chiese del Novecento
(Nuovi saggi teologici)EAN 9788810405666
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DETTAGLI DI «Le Chiese del Novecento»
Tipo
Libro
Titolo
Le Chiese del Novecento
A cura di
Giuseppe Ruggieri
Traduttore
Fabbri R.
Editore
Edizioni Dehoniane Bologna
EAN
9788810405666
Pagine
274
Data
gennaio 2003
Peso
304 grammi
Altezza
21,5 cm
Larghezza
14 cm
Collana
Nuovi saggi teologici
COMMENTI DEI LETTORI A «Le Chiese del Novecento»
Recensioni di riviste specialistiche su «Le Chiese del Novecento»
Recensione di Ermanno Roberto Tura della rivista Studia Patavina
Il titolo può suonare presuntuoso nel senso di un abbozzo sintetico di una storia della Chiesa nel Novecento. Il curatore, saggiamente, si premura di ridimensionare fin dalle prime righe dell’Introduzione ogni possibile fraintendimento, indicando lo scopo del volume nel “tentativo di comprendere in che modo la storia del secolo XX abbia influito sulla vita e sulle istituzioni delle Chiese cristiane” (p. 5). Individuando gli snodi cruciali e i flussi che dall’esterno sono penetrati nelle Chiese, il volume consente di comprendere meglio anche le Chiese di oggi. Per il teologo cristiano la storia delle donne e degli uomini diventa il luogo teologico dove tentare di cogliere il disegno di Dio.
I nove capitoli, già apparsi come contributi nelle lingue originali del numero monografico 3 (2001) di Cristianesimo nella Storia, documentano il Novecento come tempo di eventi interpellanti in maniera talora drammatica le Chiese cristiane, secolo di fatti stimolanti a un cambiamento di mentalità e di istituzioni ancora segnate dalla Controriforma. Per primo, lo studioso olandese G. Essen individua nella coscienza moderna della storia, con lo scossone dello storicismo, la sfida e il punto di crisi della teologia cattolica nel XIX e XX secolo, crisi condensata nella sensazione che “tutto vacilla!”. In quaranta impegnative pagine il dogmatico di Nimega richiama i principali protagonisti filosofi e teologi impegnati nel dibattito del rapporto tra verità e storia a Nord delle Alpi, passando in rassegna le varie posizioni nel dibattito nordico dall’Ottocento fino ai nostri giorni. Più descrittivo e lineare il contributo di M. Velati: il docente di storia e filosofia a Novara ripercorre il secolo dell’ecumenismo cristiano, attento alle varie tappe e protagonisti del movimento ecumenico, di cui segnala utopie, valori, difficoltà e speranze: in ogni caso nel Novecento l’ecumenismo ha trasformato tutte le Chiese, pur senza giungere a realizzare finora le utopie dei pionieri. Con sensibilità tipicamente francese lo studioso parigino J. Baubérot affronta il fenomeno della laicizzazione e secolarizzazione, fenomeno segnato dal valore prioritario della libertà individuale: i rapporti fra cristianesimo e politica sono variamente mutati nel corso del XX secolo nel frammentato ambiente europeo occidentale, senza dimenticare il caso analogo del Messico. Scuola e sessualità si mostrano spie particolarmente sensibili ai cambiamenti anche nelle relazioni tra Stato e Chiese, per finire nell’“affare del chador” (p. 102), che apre un’epoca di inedito pluralismo.
Lo studioso di Losanna P. Gisel individua e precisa i rapporti tra teologia protestante e prima guerra mondiale: fedele al titolo, punta più sulle grandi figure teologiche che sulle Chiese protestanti, ad eccezione della Chiesa confessante in cui agiva K. Barth. (cf. p. 128): si evidenzia così il magistero più influente in campo protestante e si individua nella prima guerra mondiale lo shock e il momento rivelatore del crollo di un mondo culturale ottocentesco. La Chiesa cattolica nella «guerra fredda» (1945-1958: periodo corrispondente alla seconda parte del pontificato di Pio XII) è oggetto di studio di É. Fouilloux: il docente emerito di Lione forza un po’ le tinte (cf. p. 163) nel privilegiare le Chiese dell’Est che si trovano a dover fare i conti con i regimi comunisti: il periodo ecclesiale è caratterizzato dal forte anticomunismo di Pio XII, dal centralismo romano, dalla esaltazione del papa e dalla devozione alla Vergine Maria. Le Chiese cristiane e il popolo ebraico «dopo Auschwitz» è il titolo che introduce uno dei capitoli più puntuali e, a nostro parere, più intelligenti del volume: il docente ferrarese P. Stefani disegna con precisione la tradizionale visione cristiana degli ebrei (condensabile nel “pro perfidis judaeis” della preghiera del Venerdì santo); segnala qualche raro antefatto di un ripensamento contro il nazismo, che solo dopo la tragedia di Auschwitz maturerà lentamente, e non sempre linearmente, in un nuovo modo cristiano di guardare al popolo ebraico. Che il ripensamento non sia concluso lo dimostrano quattro documenti ben selezionati, tre dall’area protestante e uno dall’ambito cattolico vaticano, dal 1980 al 1998: essi rivelano anche la difficoltà di dire il “mea culpa” come Chiese davanti a una lunga storia di sofferenza. Finalmente Asia e Africa, con il crollo del colonialismo e la nascita delle giovani Chiese, hanno nel volume le luci della ribalta nel capitolo firmato da A. Hastings, emerito dell’Università di Leeds, spentosi nel maggio 2001. Il docente olandese enumera la diversità e la maturazione delle Chiese in otto paesi asiatici, dall’India alle Filippine passando per la Cina, e successivamente proietta un rapido sguardo all’Africa subsahariana. Il concilio Vaticano II giunge in un momento particolarmente cruciale per Chiese del Terzo Mondo, caratterizzato dalle sfide del nazionalismo, del razzismo, del comunismo e dell’islam. Identità e adattamento costituiscono il binomio di un cammino impegnativo e difficile, anche perché Roma teme le imprevedibili conseguenze che potrebbero uscire dal vaso di Pandora dell’“adattamento”: tale timore ha condizionato anche il sinodo africano tenutosi a Roma nel 1994.
Puntando l’obiettivo sul concilio, G. Alberigo coniuga insieme Le attese di un’epoca e il Vaticano II, dando atto dell’attenzione alla dinamica della storia tipica di papa Giovanni XXIII anche prima dell’elezione al pontificato. “Se la Chiesa è una realtà viva non la si può custodire come un museo, ma deve essere accudita come un giardino” amava dire papa Roncalli (cf. p. 225). Del resto i due conflitti mondiali della prima metà del Novecento imponevano con dura chiarezza ai cristiani l’invito ad assumersi le responsabilità del momento storico. Il docente bolognese richiama in sintesi le proposte dei vescovi nella fase antepreparatoria del concilio, evidenziando la problematica sociale dirompente solo nei vescovi latinoamericani, ma senza dimenticare le istanze spontanee del popolo di Dio apparse attraverso la stampa, e i filtri romani nella sintesi conclusive delle attese. Il contributo graduale e carismatico di papa Giovanni XXIII diventa consistente attraverso le encicliche Mater et magistra e Pacem in terris. Nell’ottobre 1962, dopo il “nuntius ad omnes homines et nationes” che autopresenta la Chiesa cattolica senza dimenticare la solidarietà con i problemi mondiali, il dibattito conciliare si immerge subito nei problemi intraecclesiali della riforma liturgica, della relazione tra Bibbia e Chiesa e della struttura stessa ella Chiesa. Ma già sul finire della prima sessione il gruppo di lavoro sulla povertà del mondo e della Chiesa (attraverso voci autorevoli, come quella del card. Lercaro) esprime con vigore l’insoddisfazione per gli schemi conciliari romani, preparati senza attenzione al mondo: la pace, la libertà di coscienza, la povertà sono nodi cruciali ineludibili per i padri conciliari, invitati all’attenzione verso i segni dei tempi; la storia è realtà nella quale la fede può e deve alimentare la propria incessante ricerca del Regno, pur senza ignorarne le ambiguità. A parere di Alberigo la novità più significativa del concilio Vaticano II sta nel fatto stesso di essere stato convocato e vissuto: nella sua complessità offre il criterio ermeneutico di lettura delle singole indicazioni. Il contributo conclusivo del volume, invitante le Chiese alla rinascita paquale in nuove culture, è offerto da R. Luneau: il ricercatore di sociologia della religione presso il Centro nazionale della ricerca scientifica di Parigi chiede alle Chiese il coraggio di aprire gli occhi sul fatto che progressivamente (e rapidamente) il cristianesimo si sposta nell’emisfero Sud del mondo, terminando di identificarsi col mondo latino europeo. In futuro “sarà impossibile evitare una certa «de-latinizzazione» delle chiese non occidentali” (p. 259) in un movimento paragonabile alla deriva dei continenti, che i segnali romani di freno non potranno bloccare.
È probabile che qualche lettore trovi il volume troppo “schierato”: vi ripalpita l’ottimismo per nulla ingenuo di un papa Giovanni XXIII e del concilio Vaticano II nel chiedere una Chiesa solidale con le gioie e le speranze, i drammi e le angosce dell’intera umanità. Ma non si può non approvare la schiettezza con cui problemi e limiti anche ecclesiali del Novecento vengono chiamati con il loro nome, in modo da poterli avviare a vera soluzione. L’alba di un terzo millennio cristiano dev’essere aiutata a nascere, se vogliamo che nasca “ripartendo da Cristo” ma insieme rispondendo alle domande quotidiane delle Chiese latinoamericane, africane e asiatiche: i prossimi anni potrebbero essere decisivi (cf. le suggestive pp. 293-269).
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2004, nr. 3
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
I nove capitoli, già apparsi come contributi nelle lingue originali del numero monografico 3 (2001) di Cristianesimo nella Storia, documentano il Novecento come tempo di eventi interpellanti in maniera talora drammatica le Chiese cristiane, secolo di fatti stimolanti a un cambiamento di mentalità e di istituzioni ancora segnate dalla Controriforma. Per primo, lo studioso olandese G. Essen individua nella coscienza moderna della storia, con lo scossone dello storicismo, la sfida e il punto di crisi della teologia cattolica nel XIX e XX secolo, crisi condensata nella sensazione che “tutto vacilla!”. In quaranta impegnative pagine il dogmatico di Nimega richiama i principali protagonisti filosofi e teologi impegnati nel dibattito del rapporto tra verità e storia a Nord delle Alpi, passando in rassegna le varie posizioni nel dibattito nordico dall’Ottocento fino ai nostri giorni. Più descrittivo e lineare il contributo di M. Velati: il docente di storia e filosofia a Novara ripercorre il secolo dell’ecumenismo cristiano, attento alle varie tappe e protagonisti del movimento ecumenico, di cui segnala utopie, valori, difficoltà e speranze: in ogni caso nel Novecento l’ecumenismo ha trasformato tutte le Chiese, pur senza giungere a realizzare finora le utopie dei pionieri. Con sensibilità tipicamente francese lo studioso parigino J. Baubérot affronta il fenomeno della laicizzazione e secolarizzazione, fenomeno segnato dal valore prioritario della libertà individuale: i rapporti fra cristianesimo e politica sono variamente mutati nel corso del XX secolo nel frammentato ambiente europeo occidentale, senza dimenticare il caso analogo del Messico. Scuola e sessualità si mostrano spie particolarmente sensibili ai cambiamenti anche nelle relazioni tra Stato e Chiese, per finire nell’“affare del chador” (p. 102), che apre un’epoca di inedito pluralismo.
Lo studioso di Losanna P. Gisel individua e precisa i rapporti tra teologia protestante e prima guerra mondiale: fedele al titolo, punta più sulle grandi figure teologiche che sulle Chiese protestanti, ad eccezione della Chiesa confessante in cui agiva K. Barth. (cf. p. 128): si evidenzia così il magistero più influente in campo protestante e si individua nella prima guerra mondiale lo shock e il momento rivelatore del crollo di un mondo culturale ottocentesco. La Chiesa cattolica nella «guerra fredda» (1945-1958: periodo corrispondente alla seconda parte del pontificato di Pio XII) è oggetto di studio di É. Fouilloux: il docente emerito di Lione forza un po’ le tinte (cf. p. 163) nel privilegiare le Chiese dell’Est che si trovano a dover fare i conti con i regimi comunisti: il periodo ecclesiale è caratterizzato dal forte anticomunismo di Pio XII, dal centralismo romano, dalla esaltazione del papa e dalla devozione alla Vergine Maria. Le Chiese cristiane e il popolo ebraico «dopo Auschwitz» è il titolo che introduce uno dei capitoli più puntuali e, a nostro parere, più intelligenti del volume: il docente ferrarese P. Stefani disegna con precisione la tradizionale visione cristiana degli ebrei (condensabile nel “pro perfidis judaeis” della preghiera del Venerdì santo); segnala qualche raro antefatto di un ripensamento contro il nazismo, che solo dopo la tragedia di Auschwitz maturerà lentamente, e non sempre linearmente, in un nuovo modo cristiano di guardare al popolo ebraico. Che il ripensamento non sia concluso lo dimostrano quattro documenti ben selezionati, tre dall’area protestante e uno dall’ambito cattolico vaticano, dal 1980 al 1998: essi rivelano anche la difficoltà di dire il “mea culpa” come Chiese davanti a una lunga storia di sofferenza. Finalmente Asia e Africa, con il crollo del colonialismo e la nascita delle giovani Chiese, hanno nel volume le luci della ribalta nel capitolo firmato da A. Hastings, emerito dell’Università di Leeds, spentosi nel maggio 2001. Il docente olandese enumera la diversità e la maturazione delle Chiese in otto paesi asiatici, dall’India alle Filippine passando per la Cina, e successivamente proietta un rapido sguardo all’Africa subsahariana. Il concilio Vaticano II giunge in un momento particolarmente cruciale per Chiese del Terzo Mondo, caratterizzato dalle sfide del nazionalismo, del razzismo, del comunismo e dell’islam. Identità e adattamento costituiscono il binomio di un cammino impegnativo e difficile, anche perché Roma teme le imprevedibili conseguenze che potrebbero uscire dal vaso di Pandora dell’“adattamento”: tale timore ha condizionato anche il sinodo africano tenutosi a Roma nel 1994.
Puntando l’obiettivo sul concilio, G. Alberigo coniuga insieme Le attese di un’epoca e il Vaticano II, dando atto dell’attenzione alla dinamica della storia tipica di papa Giovanni XXIII anche prima dell’elezione al pontificato. “Se la Chiesa è una realtà viva non la si può custodire come un museo, ma deve essere accudita come un giardino” amava dire papa Roncalli (cf. p. 225). Del resto i due conflitti mondiali della prima metà del Novecento imponevano con dura chiarezza ai cristiani l’invito ad assumersi le responsabilità del momento storico. Il docente bolognese richiama in sintesi le proposte dei vescovi nella fase antepreparatoria del concilio, evidenziando la problematica sociale dirompente solo nei vescovi latinoamericani, ma senza dimenticare le istanze spontanee del popolo di Dio apparse attraverso la stampa, e i filtri romani nella sintesi conclusive delle attese. Il contributo graduale e carismatico di papa Giovanni XXIII diventa consistente attraverso le encicliche Mater et magistra e Pacem in terris. Nell’ottobre 1962, dopo il “nuntius ad omnes homines et nationes” che autopresenta la Chiesa cattolica senza dimenticare la solidarietà con i problemi mondiali, il dibattito conciliare si immerge subito nei problemi intraecclesiali della riforma liturgica, della relazione tra Bibbia e Chiesa e della struttura stessa ella Chiesa. Ma già sul finire della prima sessione il gruppo di lavoro sulla povertà del mondo e della Chiesa (attraverso voci autorevoli, come quella del card. Lercaro) esprime con vigore l’insoddisfazione per gli schemi conciliari romani, preparati senza attenzione al mondo: la pace, la libertà di coscienza, la povertà sono nodi cruciali ineludibili per i padri conciliari, invitati all’attenzione verso i segni dei tempi; la storia è realtà nella quale la fede può e deve alimentare la propria incessante ricerca del Regno, pur senza ignorarne le ambiguità. A parere di Alberigo la novità più significativa del concilio Vaticano II sta nel fatto stesso di essere stato convocato e vissuto: nella sua complessità offre il criterio ermeneutico di lettura delle singole indicazioni. Il contributo conclusivo del volume, invitante le Chiese alla rinascita paquale in nuove culture, è offerto da R. Luneau: il ricercatore di sociologia della religione presso il Centro nazionale della ricerca scientifica di Parigi chiede alle Chiese il coraggio di aprire gli occhi sul fatto che progressivamente (e rapidamente) il cristianesimo si sposta nell’emisfero Sud del mondo, terminando di identificarsi col mondo latino europeo. In futuro “sarà impossibile evitare una certa «de-latinizzazione» delle chiese non occidentali” (p. 259) in un movimento paragonabile alla deriva dei continenti, che i segnali romani di freno non potranno bloccare.
È probabile che qualche lettore trovi il volume troppo “schierato”: vi ripalpita l’ottimismo per nulla ingenuo di un papa Giovanni XXIII e del concilio Vaticano II nel chiedere una Chiesa solidale con le gioie e le speranze, i drammi e le angosce dell’intera umanità. Ma non si può non approvare la schiettezza con cui problemi e limiti anche ecclesiali del Novecento vengono chiamati con il loro nome, in modo da poterli avviare a vera soluzione. L’alba di un terzo millennio cristiano dev’essere aiutata a nascere, se vogliamo che nasca “ripartendo da Cristo” ma insieme rispondendo alle domande quotidiane delle Chiese latinoamericane, africane e asiatiche: i prossimi anni potrebbero essere decisivi (cf. le suggestive pp. 293-269).
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2004, nr. 3
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
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Chiara Vasciaveo il 28 agosto 2017 alle 16:32 ha scritto:
Uno spaccato di estremo interesse, in prospettiva ecumenica, di quanto hanno vissuto del diverse Chiese/comunità cristiane, per oltre un secolo, nel travaglio di due guerre mondiali, di profonde trasformazioni sociali e di una grande concilio per la Chiesa cattolica.