L' ortodossia in Italia
-Le sfide di un incontro
(Ecumenismo)EAN 9788810401279
Attraverso i contributi di alcuni importanti studiosi della materia, il vol. presenta una visione d’insieme del retroterra storico e spirituale delle varie presenze ortodosse in Italia e una disamina dei principali nodi del dialogo tra Chiesa cattolica e Chiese ortodosse. Il testo si configura anche come il necessario approfondimento storicoteologico che motiva e sostiene le indicazioni contenute nel Vademecum per la pastorale delle parrocchie cattoliche verso gli orientali non cattolici, pubblicato a cura dell’Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso e dell’Ufficio nazionale per i problemi giuridici della CEI e riproposto in appendice (cf. Regno-doc. 7,2010,211).
Tratto dalla Rivista Il Regno 2011 n. 4
(http://www.ilregno.it)
Il presente volume sull’ortodossia in Italia, sulle nuove sfide pastorali che essa pone e sui promettenti incontri spirituali a cui dà luogo, rappresenta un modo per richiamare l’attenzione sulla presenza numericamente sempre più rilevante di comunità ortodosse nel nostro paese. La presenza di fedeli e comunità ortodosse sul nostro territorio italiano è legata al grande fenomeno contemporaneo dell’immigrazione, che tante inquietudini e interrogativi suscita in molti italiani. Non di rado anche i fedeli cattolici percepiscono gli immigrati primariamente come persone in cerca di lavoro e che possono svolgere mansioni richieste nel nostro contesto sociale. In altri casi, i fatti di cronaca portano in primo piano i problemi posti dall’integrazione e dall’incontro o scontro tra culture diverse. Meno frequente è invece la considerazione del fatto che in mezzo a noi vivono credenti che appartengono a comunità di fede diverse dalla nostra e per i quali, a differenza di quanto spesso accade nel mondo occidentale, la religione non è un aspetto della vita appartenente alla sfera privata, ma realtà che richiede una manifestazione pubblica e costituisce un aspetto essenziale della loro identità culturale e nazionale. Di fatto già da tempo le Chiese locali in Italia si sono confrontate con questa nuova situazione e hanno cercato di rispondere nel segno dell’ospitalità alle richieste che sono loro rivolte dalle comunità ortodosse delle diverse giurisdizioni e nazionalità. Le nostre Chiese locali, in primo luogo, hanno cercato di aiutare le comunità ortodosse, che avevano una certa consistenza numerica, a trovare luoghi per la celebrazione della liturgia e per la formazione cristiana dei fedeli. Infatti, anche se la nostra comunione con loro oggi non è ancora piena e pertanto non c’è condivisione della mensa eucaristica, la carità ci impone di aiutare questi fratelli e queste sorelle affinché possano conservare e alimentare la propria fede cristiana e possano celebrare il culto secondo la propria tradizione spirituale e liturgica. L’ospitalità fa incontrare le persone e tra loro fa crescere conoscenza e fiducia reciproca. Può così trovare realizzazione quanto Giovanni Paolo II afferma nell’enciclica Ut unum sint: «Il dialogo non è soltanto uno scambio di idee. In qualche modo esso è sempre uno “scambio di doni”» (n. 28; EV 14/2719). Anche la nostra Chiesa italiana, di fronte a questa crescente presenza ortodossa, è invitata a chiedersi quale «scambio di doni» possa realizzarsi tra i fedeli cattolici e le comunità ortodosse che essi incontrano. Le comunità cattoliche offrono alle famiglie ortodosse e ai loro figli la possibilità di prendere parte alle iniziative di formazione umana e cristiana da esse promosse e ai diversi servizi attivati per venire incontro a coloro che si trovano in necessità. È però condizione imprescindibile evitare con scrupolo e rigore, da parte cattolica, ogni forma di proselitismo e ogni comportamento che possa suscitarne anche il minimo sospetto. Sono i campi dell’educazione e della carità quelli in cui, all’interno delle nostre parrocchie o dei gruppi ecclesiali, può avvenire un fruttuoso scambio di doni con cristiani di diversa tradizione confessionale. Quando accogliamo tra noi questi cristiani dobbiamo farli sentire a proprio agio e fare in modo che la comunità cattolica sappia rispettare e valorizzare la loro diversa e ricca tradizione spirituale. Per i nostri fedeli si presenta così una grande opportunità di concreta e vitale formazione ecumenica. Infatti, la migliore formazione è quella che si avvale non tanto di lezioni teoriche di ecumenismo, quanto soprattutto di momenti di vita condivisi, di concrete forme di cooperazione, di scambi utili a scoprire la bellezza delle reciproche differenze e, di conseguenza, a desiderare di approfondirne le ragioni. Potrebbero anche nascere scambi e gemellaggi tra alcune nostre comunità e quelle ortodosse da cui provengono molti immigrati. Sia il cattolico sia l’ortodosso che s’incontrano nei nostri ambienti devono potersi sentire fieri di essere portatori ciascuno di un dono specifico, quello della propria tradizione confessionale, e, nello stesso tempo, lasciarsi convertire dallo Spirito all’unico e comune Evangelo di Gesù Cristo, perché qui sta il porro unum necessarium della vita cristiana. Ciò comporta sia una doverosa attenzione a evitare ogni forma di assimilazione dell’altro alla propria esperienza confessionale, sia una decisa riaffermazione del primato di Dio nella propria e altrui vita. (…) Molto spesso però si impone la necessità di coniugare sensibilità ecumenica e realismo pastorale nell’affrontare la molteplice casistica di esigenze e richieste che i fedeli ortodossi, in situazioni le più diverse, pongono ai ministri cattolici. Penso non sia facile suggerire ai nostri operatori pastorali linee generali di comportamento che risultino corrette dal punto di vista ecumenico e rispondano alle reali esigenze spirituali dei fedeli che, a causa della distanza o per altre ragioni, non frequentano la propria comunità ortodossa. Sarebbe certamente auspicabile che un giorno tali linee potessero essere concordate insieme agli stessi rappresentanti dell’ortodossia in Italia. Un primo importante passo per arrivare, in futuro, ad accordi bilaterali è certamente quello di incominciare oggi noi stessi a inventariare, sulla base delle prime esperienze acquisite in questi anni, le principali sfide pastorali che la presenza ortodossa ci pone. Il risultato di questo lavoro potrà essere in futuro verificato in sede di dialogo ecumenico. (…) Nel considerare il valore dei doni di cui i fedeli ortodossi sono portatori, un’ultima considerazione. Nel documento Il mistero della Chiesa e dell’eucaristia alla luce del mistero della santa Trinità (1982) cattolici e ortodossi affermano insieme la fede comune nel mistero eucaristico come sorgente della Chiesa. Facendo tesoro delle ricchezze dell’esperienza spirituale e teologica dell’Oriente cristiano, noi possiamo approfondire la nostra comprensione del dono inestimabile che Cristo ha lasciato alla sua Chiesa. Quel comune documento afferma: «La Chiesa che è in un dato luogo si manifesta come tale quando diviene “assemblea”. Questa stessa assemblea, i cui elementi e requisiti sono indicati dal Nuovo Testamento, è pienamente tale quando è sinassi eucaristica. Quando infatti la Chiesa locale celebra l’eucaristia, l’evento accaduto “una volta per tutte” è attualizzato e reso manifesto. Nella Chiesa locale allora non vi è né uomo né donna, né schiavo né libero, né giudeo né greco. Vi si trova comunicata una nuova unità che supera le divisioni e ripristina la comunione nell’unico corpo di Cristo. Questa unità trascende l’unità psicologica, razziale, socio-politica e culturale. Essa è la “comunione dello Spirito Santo” che riunisce i dispersi figli di Dio». 1 Ne consegue che la comunione che lo Spirito realizza in ogni celebrazione eucaristica trascende anche i confini confessionali. Come ha scritto il metropolita di Pergamo Ioannis Zizioulas, «l’eucaristia come sinassi del popolo attorno al vescovo e ai presbiteri mantiene ed esprime nella storia l’immagine di un mondo che trascenderà la propria frammentazione e la propria corruzione grazie all’unione e all’incorporazione in colui che (...) ha unito mediante la sua croce e risurrezione ciò che era diviso (...). Questa è l’immagine che la Chiesa deve mostrare». 2 Noi dovremmo avere più consapevolezza che l’eucaristia che celebriamo è il culmine della manifestazione dell’intero e indivisibile corpo di Cristo. L’unità che si manifesta nel giorno del Signore, intorno alla mensa della Parola e del Pane di vita, è certamente più santa ed eminente di quella che potrà manifestarsi il giorno in cui si raggiungesse l’auspicata unità visibile della Chiesa. L’eucaristia, anche se canonicamente celebrata all’interno di una singola Chiesa confessionale, è per opera dello Spirito actio Christi, memoriale che ci ripresenta la sua pasqua; è sempre azione del Signore che edifica la sua Chiesa, rendendo l’Ecclesia radunata intorno all’altare segno sacramentale dell’Una et sancta. Il Signore è certamente presente in ogni eucaristia in cui annunciamo e proclamiamo la morte e la risurrezione del Signore, nell’attesa della sua venuta, donec veniat. Il suo ritorno certamente manifesterà quella realtà che i nostri occhi oggi non sanno vedere, ma che già siamo: «Carissimi, fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato» (1Gv 3,2). I nostri occhi sono offuscati anche perché non sono quelli di sentinelle che scrutano la notte e ne scorgono l’aurora. In troppe faccende affaccendati abbiamo perso il senso dell’attesa del Signore che viene. E la perdita della dimensione spirituale ed escatologica della vita cristiana è all’origine del peccato della divisione. Non a caso – penso di poter dire – Gesù ha pregato ut unum sint e non ut una sit... Non avrebbe avuto senso che pregasse per l’unità della sua Chiesa, che è il suo stesso corpo e che è già realtà nel mistero di ogni eucaristia. Il movimento ecumenico ne è stato inizialmente consapevole, proponendo la preghiera per «l’unità dei cristiani», non della Chiesa. Infatti Gesù ha pregato perché i discepoli e i cristiani di tutti i tempi siano una cosa sola. In che cosa? Nell’attesa della sua venuta, ovvero ad annunciare la sua pasqua donec veniat. È questa attesa che ci rende capaci di guardare con occhi nuovi anche il mistero della Chiesa, quella Chiesa che, come è noto, Ambrogio da Milano e i padri latini, con audace ossimoro, chiamarono casta meretrix, santa peccatrice: peccatrice, perché divisa dalla nostra storia terrena; ma santa, perché unificata dallo Spirito che il Risorto effonde sull’assemblea eucaristica. (…)
Tratto dalla Rivista Il Regno 2011 n. 10
(http://www.ilregno.it)
-
-
-
-
-
45,00 €→ 42,75 €