Non vi è nulla di più difficile del trattare la spiritualità protestante: è curioso infatti notare che sono soltanto i protestanti più o meno cattolicizzanti ad ammettere l'esistenza di una spiritualità protestante. Gli altri, tra i quali Barth, Ebeling, Nygren, Brunner, affermano che la mistica è la realtà più lontana dal vero protestantesimo. Il motivo addotto è una forma di religiosità essenzialmente pagana, estranea alla Bibbia e inconciliabile col Vangelo. L'autore mostra che tale tesi si basa su degli a priori giustificati solo da una serie di confusioni e controsensi. Partendo dai principi spirituali dei riformatori, si sofferma in modo particolare su figure del pietismo protestante e del movimento religioso romantico. Mette in evidenza come lo sviluppo della spiritualità anglicana sia strettamente legato a quello della spiritualità protestante, pur non coincidendo, come taluni cattolici sono portati a pensare. L'opera contribuisce a dissipare dubbi, chiarire equivoci, attenuare criteri di giudizio troppo rigidi, e quindi, ad approfondire il dialogo tra fratelli separati.
ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
SI PUÒ PARLARE DI SPIRITUALITÀ PROTESTANTE?
Mi auguro che nessuno voglia considerare pedante il tentativo di ricondurre i termini della questione al loro significato più proprio e originario.
Quello della spiritualità protestante è ante e un problema al quale si risponde, il più delle volte, in modo o o contraddittorio. Dicono no, perentoriamente, uomini diversi performazione culturale e distinti, se non addirittura contrapposti, sul piano teologico: Barth, Bultmann, Ebeling, Cullmann, solo per fare alcuni nomi, considerano assolutamente improbabile il problema, anche se non concordano sui motivi del loro comune atteggiamento. Dicono invece di sì, più o meno esplicitamente, ma sempre con motivazioni indipendenti, quanti cercano di riconciliare protestantesimo e cultura, pur sostenendo l'originaria dialettica protestante tra religione e cristianesimo, natura e grazia, opere e fede; si pensi soprattutto a Tillich, alla sua «teologia della cultura» e alla sua «dinamica della fede» nel quadro di un protestantesimo inteso come «principio critico-creativo».
L. Bouyer, pur non nascondendo il rischio di essere contraddetto, ponendolo anzi sull'altro piatto della bilancia, parteggia a tal punto per il si, da non esitare a descrivere l'evoluzione storica della spiritualità protestante e anglicana in questo volume.
Problema, dicevo. E indubbiamente esso è tale, anche perché non si ha una comune accezione del sostantivo «spiritualità» e dell'aggettivo «protestante» che lo qualificano. E' pertanto comprensibile che dicano «no» color che intendono di intenti e che vedono la spiritualità come autonomia di forze e pari tempo, codesta autonomia in stridente, insanabile contrasto con l'aggettivo che dovrebbe, qualificarla, il quale è per loro si accanto soltanto nell'esclusività dialettica della fede e della grazia. Ma è altrettanto comprensibile la posizione contraria che, dall'esclusività della fede e della grazia, trae sicuri indirizzi di impostazione etica e di comportamento «critico-creativo» per una fondazione protestante dell'esistenza.
Si è allora dinanzi a un sic et non irriducibile?
Prima di rispondere occorrerà sgombrare il terreno da quel variopinto appello a spirito e spiritualità che è così frequente nella filosofia romantico-idealista e non in minor misura nella psicologia del profondo. Nulla in comune può esserci tra una spiritualità che, in un senso o in un altro, si sostanzia di contenuto cristiano, di una sapienza cioè che non si fonda «sull'umano sapere ma sulla potenza di Dio», né si affida «alla persuasione dei ragionamenti umani, ma alla dimostrazione dello Spirito e della sua forza» (1Cor 2,4), e una spiritualità che contrappone lo spontaneo e il libero alla meccanicità e necessità della natura, o indaga nel mistero della psiche umana, dei suoi conflitti, delle sue potenze.
Ne consegue che per «spiritualità» non si intende qui un complesso di dottrine che pongano a fondamento del loro metodo e del loro contenuto lo spirito come sostanza semplice incorporea sovrasensibile e immortale, o come attività che si autodetermina, o come pura libertà. Né si intende una di quelle discipline che, dai primissimi ai più evoluti stadi culturali, mediante il ricorso alle più svariate pratiche ascetiche, hanno per scopo il superamento delle normali e comuni condizioni di esistenza e il conseguimento di esperienze spirituali non comuni. E nemmeno si intende lo studio della coscienza e delle sue forme più generali e astratte, delle sue leggi, delle sue profondità, dei suoi fenomeni.
Dirò anzi che, trattandosi di determinare il significato esatto e il valore della spiritualità protestante, chiunque ne parli, specie se cattolico, dovrà assolutamente evitare di convogliare quella protestante in una qualunque delle varie nozioni di spiritualità. E ciò non soltanto perché è sempre problematico qualunque discorso sulla spiritualità protestante, ma soprattutto perché, anche ammettendone resistenza, e caratterizzandola, quindi, in base alla sua dipendenza dal protestantesimo, la spiritualità protestante verrebbe per ciò stesso a distinguersi e in buona misura a contrapporsi rispetto a qualunque altra spiritualità. Sarebbe, pertanto, falsa la posizione metodologica di colui che negasse la spiritualità protestante perché non appoggiata sui fondamenti comuni a ogni altra spiritualità, o l'affermasse per l'uno o per l'altro punto in comune.