Dallo stesso grembo
-Le origini del cristianesimo e del giudaismo rabbinico
(Cristiani ed ebrei) [Libro in brossura]EAN 9788810207048
Nell’esperienza della nascita molte volte sperimentiamo l’inattesa epifania di un ‘doppio’. Essa è accompagnata, il più delle volte, dalla preoccupazione e dalla ‘sorpresa’. Ciò che sembrava ‘normale’ non lo è più. La semplicità della vita (nascita) è dislocata in due ‘parti’, frutti dello stesso seme. Come avviene in ‘natura’, così avviene nella historia. Così è avvenuto. Due gemelli, figli della stessa madre, si trovano divisi nel camminare fianco a fianco o, il più delle volte, allontanandosi. Giacobbè ed Esaù: così gli autori dei due contributi decifrano la storia bimillenaria del rapporto cristiano-ebraico (ebrei e cristiani).
Sicuramente un libro molto denso, questo di Boccaccini e Stefani, ma altrettanto agile nella lettura, anche se, come tutti i libri agili, nascondono ‘tesori’ e ‘perle’ di scienza. È questo il caso. Boccaccini si inoltra in una disamina serrata attorno alla nascita parallela del cristianesimo e del giudaismo rabbinico, portando il lettore in un mondo, quello del I secolo e. v., stupefacente e, per certi versi, affine al nostro tempo. Già il titolo del suo contributo, La nascita parallela del cristianesimo e del giudaismo rabbinico, denota una volontà dell’autore di illuminarci circa gli scenari del dramma che si compirà verso la fine del I secolo e. v. Dopo aver sottolineato la necessità (ma anche la difficoltà a livello cristiano) di ripensare, almeno storicamente, la nascita del ‘cristianesimo’ nell’alveo della storia ebraica, l’autore cerca di delineare che tipo di ebreo fosse Gesù e i rapporti che intratteneva con gli ‘altri modi’ di esserlo.
Attraversando titoli ormai stratificati nel linguaggio cristiano, Boccaccini ci porta a scoprire che questi non sono pensabili e dicibili al di fuori dell’ebraismo del I secolo. Certo, afferma, Boccaccini, il cristianesimo non ha solo conservato una tradizione precedente, ma ha introdotto ‘novità’; e questa sta proprio nella persona del messia e nella sua capacità di ‘perdonare i peccati’. Per i cristiani la questione della novità sembra scontata ed assodata e su questo punto essi hanno marciato per secoli, anche a costo di calpestare altri; ciò che risulta illuminante, però, è che proprio il binomio novità-conservazione vale anche per il giudaismo rabbinico, il quale non risulta, almeno dal punto di vista storico, identico all’ebraismo biblico, ma, anzi, è il culmen di un processo interpretativo e teologico ben preciso, con una ideologia chiara e una teologia elaborata alimentate dalla distruzione del Santuario nel 70 e. v. da parte dei romani e la fine conseguente del culto/sacrificio nell’unico Tempio.
Proprio questa tragedia ‘divarica’ le prospettive. Ne sopravvivono due, con la pretesa di essere i ‘veri’ rappresentanti della fede ebraica. Cristianesimo e rabbinismo si scontrarono per rubare la primogenitura ed essere i veri interpreti dell’Alleanza. Questa duplicità dura sino ad oggi e pone alla teologia cristiana, ma anche ebraica, una seria riflessione storica sull’inizio dei due ‘movimenti’. Così “se per ebraismo intendiamo dunque quel sistema religioso che noi oggi conosciamo, non è affatto corretto parlare di un rapporto tra cristianesimo e ebraismo come della nascita dell’uno dall’altro. Il giudaismo rabbinico fu un movimento altrettanto riformatore di quello cristiano, anche se per motivi teologici esso si travestì da movimento totalmente conservatore, così da accentuare per contrasto la «fedeltà» ebraica rispetto al «tradimento» cristiano. Il cristianesimo fu un movimento altrettanto conservatore di quello rabbinico, anche se per motivi teologici esso si travestì da movimento totalmente riformatore, così da accentuare per contrasto la «cecità» ebraica rispetto alla «novità» cristiana. Entrambe queste affermazioni tradizionali, sia da parte cristiana che da parte ebraica, non hanno alcun fondamento dal punto di vista storico” (p. 13).
Diventa, allora, istruttiva la proposta di Piero Stefani, che si cimenta in un’analisi prevalentemente teologico-ecclesiologica riguardante la presenza di ‘ebrei e gentili nella chiesa delle origini’. Ricollegandosi a quanto espresso a livello storico da Boccaccini, Stefani pone, come problema iniziale, la visione teologica neotestamentaria: in modo apodittico afferma che nei testi del N. T. si presuppone, pur nella loro varietà, l’esistenza di comunità costituite dai chiamati alla fede provenienti da Israele e dalle Genti. Questa dinamica rimanda alla constatazione che nel I secolo l’accesso alla chiesa era ‘costitutivamente’ definito dal binomio Israele-Genti. La chiesa non sostituisce Israele e non può essere tale solo se costituita gentilicamente. Così scandagliando i molti volti del giudaismo del I secolo, la lettera ai Galati e la lettera ai Romani ai capitoli 9-11, Stefani sostiene che questa coppia diviene ancora oggi fondamentale per ripensare la chiesa stessa e il riferimento all’Alleanza non revocata.
Infatti “Paolo non sostiene affatto che Israele è salvato esclusivamente a causa dei padri, mentre le Genti lo sono solo a motivo di Gesù (che in tal modo si presenterebbe solamente come il Messia per i gentili). Per lui il ruolo assegnato alla croce di Cristo resta per tutti fondamentale e insostituibile […] (1Cor 1,22-24). Ciò non è però incompatibile con il fatto che Paolo presupponga, in modo fermissimo, il permanere dell’elezione di Israele” (p. 165). Da questo risulta chiaramente che le Chiese trovano e non già costituiscono la coppia Israele-Genti e, quindi, risulta costitutivo (cioé fondativo) mantenere questa distinzione senza creare una ‘sostituzione’ (Chiesa al posto di Israele). La chiesa non sostituisce Israele, ma nemmeno lo ‘annichilisce’, così come non annichilisce le Genti. Dei due ‘uno’. Principio di unità nella diversità. Principio ecumenico, ma ancor prima principio costitutivio dell’essere stesso della chiesa, senza il quale non è.
Ecco perché, allora, il ‘problema’ ebraico è il primo problema ecumenico da sanare a livello teologico ed ecclesiologico, poiché il messaggio più autentico del N. T. afferma che la fede in Gesù Cristo morto e risorto, lungi dal negarla, addirittura presuppone l’esistenza del permanere dell’Alleanza tra Dio e Israele. C’è bisogno di una teologia rinnovata dopo la svolta conciliare di Nostra Aetate. Questo libro è, forse, l’incipit di un nuovo dibattito che, almeno in Italia, attende di essere completato.
Tratto dalla rivista "Studi Ecumenici" n. 2/2012
(http://www.isevenezia.it)
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FRANCA MONTALI il 8 agosto 2020 alle 15:29 ha scritto:
È un testo importante per ogni credente, per capire la figura di nostro Signore, nel suo contesto storico, magari anche sul suo aspetto fisico.
(Siamo pronti per superare la leggenda di un Gesù alto, biondo e occhi azzurri?)
È interessare anche per chi non crede, perché ci mostra la straordinarietà del messaggio di Gesù, la sua potenza, la sua forza, la rivoluzione che porta nel suo mondo e per tutto il mondo.
Questo libro apre nuove prospettive sulla complessità delle origini cristiane, ben oltre certi limitanti catechismi ingessati che invece di portare alla fede, ne allontanano.
Acquisto una seconda copia, a distanza di tempo, per fare un presente a un sacerdote di cuore aperto e umile, convinta che lo apprezzerà.