Il cortigiano e l'eretico. Leibniz, Spinoza e il destino di Dio nel mondo moderno
(Campi del sapere)EAN 9788807104268
Il secolo XVII fu funestato da eventi luttuosissimi, ma fu anche foriero di novità che generarono il mondo moderno: crescita esponenziale del commercio internazionale, espansioni degli Stati europei oltre l’oceano, inurbamento rapido di importanti città, tutti fenomeni avvantaggiati dall’esplosione di una filosofia nuova e da una scienza vivace. L’Europa, tra guerre di ogni genere e pestilenze ricorrenti, trapassò così dal Medioevo all’ordine laico della modernità. Il più importante artefice del cambiamento fu certamente Baruch Spinoza, che mise a soqquadro il cuore della cultura filosofica imperante (il cartesianesimo) con l’innovativa concezione «di Dio che si addice all’universo rivelato della scienza moderna» (p. 13). Questo giovane ebreo, paziente limatore di lenti ottiche, spinto dalla curiositas, revisionò con spirito laico i libri sacri della sua gente e affermò, con indubitabile coraggio, il carattere essenzialmente storico e letterario dell’ermeneutica biblica, alienandosi tutti i rabbini e i credenti di Olanda ed Europa. Questa difficile e del tutto originale operazione speculativa si basò sulla filologia e sul metodo comparatista, i quali si rivelarono i soli mezzi idonei per accedere al significato della Bibbia, in analogia con il metodo «razionale di indagine della natura».
Spinoza pervenne dunque a una sconcertante concezione della divinità (in vero già elaborata da Bruno), che scandalizzò i filosofi e gli accademici suoi contemporanei, perché il suo dio «non è [...] persona, provvidenziale, creatore...», ma è natura; di conseguenza, la «metafisica sarebbe intelligibile principalmente come espressione del suo progetto politico: abbattere la teocrazia» (p. 148). La concezione spinoziana di Dio non è frutto di rivelazione, ma nasce, per necessità, dalla ragione che può «vedere Dio con la stessa chiarezza con cui può vedere i risultati di una dimostrazione geometrica» (p. 148). La critica mossa a Cartesio, a Malebranche e alle varie teorie circolanti sul rapporto res cogitans-res extensa, è stringente e distruttiva: «La decisione da un lato, l’appetito e lo stato fisico del corpo dall’altro, sono contemporanei per natura; o piuttosto, essi sono una sola e identica cosa che, quando la consideriamo sotto l’attributo di pensiero e la spieghiamo, attraverso il pensiero, noi chiamiamo decisione... » (p. 152). Gli scritti di questo filosofo, giudicato «l’uomo più empio e più pericoloso del secolo», trasudano amore intellettuale di Dio da tutte le pagine e mostrano un pensiero vivamente teso all’unione con il cosmo, pieno di libertà (dall’ignoranza) e di virtù. Spinoza appetì la conoscenza assoluta nel chiuso della sua camera; anelò l’assoluto passeggiando lungo i canali di Amsterdam; non vide il mondo perché non fece mai un viaggio.
Ebbe amici il più delle volte falsi e molto “interessati”; intrecciò relazioni epistolari intense con celebri studiosi e accademici, ma tutto avvenne per lo più nel segreto a causa della pusillanimità dei corrispondenti, tra i quali spicca Leibniz, che si recò apposta all’Aja per incontrarlo il 18 novembre 1676, «o giù di lì». A quei tempi Gottfried Wilhelm Leibniz era un giovanotto di belle speranze, opportunista, assai orgoglioso del proprio ingegno vivace, dotato di indubbia erudizione e di maggiore ambizione. Quando giunse in Olanda, Leibniz sembrava, apparentemente, desideroso di consegnare «l’ebreo ateo» alla giustizia. In realtà lo zelante cortigiano, amante della vita parigina (e costretto, suo malgrado, a vivere in una corte tedesca non propriamente “vivace”), riempiva, nell’intimità del suo studio, quaderni su quaderni di commenti puntuali sugli scritti, proibiti, di Spinoza . In sostanza l’incontro del ’76 fu determinante per la sua vita e per il suo futuro sistema filosofico, squisitamente metafisico. Anche se molti anni dopo quell’incontro Leibniz continuò ancora imperterrito a demolire il pensiero di Spinoza, in realtà tutto quello che disse, «sembra indicare una profonda, intima, e costante ansietà circa il defunto filosofo dell’Aja, un’ansietà che si esprime generalmente nella forma dell’avversione, talvolta come riluttante ammirazione...» (p. 209). Leibniz si propose di annientare l’idea spinoziana di Dio, di sostanza ecc., rimpiazzandole con il mondo delle monadi. Egli fece coincidere mente-monade in modo tale da «assicurare al genere umano un grado di indistruttibilità, di potere e di libertà che il filosofo suo rivale attribuisce solo a Dio» (p. 221).
Le due biografie sapientemente intrecciate spaziano in un ampio contesto: Amsterdam, L’Aja, Parigi, Hannover, Londra, capitali intellettuali ed economiche, pullulanti di mercanti colti e di accademici sensibili agli agi e alla gloria. Stewart con intelligenza e stile ricostruisce e interpreta il pensiero e le lotte dei due grandi pensatori senza cadere nelle trappole del discorso “didattico”; illustra con rapide, ma efficaci pennellate tutto il loro mondo esteriore e, quel che più importa, interiore, mettendo in risalto anche, e soprattutto, le differenze caratteriali. Infatti, non passa sotto silenzio e le meschinerie di Leibniz e l’ingenuità di Spinoza, ed inoltre tratteggia efficacemente i rispettivi amici e nemici. Il risultato è mirabile: il libro avvince e appassiona (come un romanzo) fino all’ultima pagina.
Tratto dalla rivista Humanitas 65 (3/2010) 519-521
(http://www.morcelliana.it/ita/MENU/Le_Riviste/Humanitas)
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