Seguendo Gesł. Testi cristiani delle origini
-Testo greco a fronte vol.2
(Scrittori greci e latini)EAN 9788804649557
Emanuela Prinzivalli e Manlio Simonetti ci presentano gli scritti e i documenti della nascente comunità che, fuoriuscita dal giudaismo, fonda la sua fede sulla sequela Christi. Nei due corposi volumi curati dagli studiosi e che la Fondazione Valla dedica alla collana Scrittori greci e latini, troviamo gli autori e gli scritti dei primi secoli che, da sempre, sono inseriti nel patrimonio della tradizione cristiana, quasi coevi alle fonti che furono classificate “canoniche” e formarono il Nuovo Testamento. Di certo l’autorità delle opere nasce anche dal fatto che degli autori ebbero incontri diretti con alcuni apostoli e discepoli di Gesù e, quindi, eredi di quella tradizione orale che è alla base anche dei Vangeli. Nell’ambito degli autori “ortodossi”, sul finire del II secolo, si possono individuare alcune acquisizioni, che via via si vanno consolidando. In primo luogo, viene riconosciuta autorità alla LXX e a un corpus di scritti attribuiti agli apostoli (o ai loro discepoli). Ireneo cita espressamente i quattro evangeli e quasi tutti gli altri scritti, che poi saranno fissati nel canone. Ciò autorizza a pensare che “da subito” la chiesa comincia a separare alcuni scritti da altri non ritenuti canonici (Vangeli gnostici e altri, numerosissimi).
In secondo luogo, viene riconosciuta autorità alla “tradizione apostolica” e alla fede cristiana che propone una “vera salvezza” per quanti a essa aderiscono. Il martirio di Ignazio, il martirio di Ireneo, il martirio di Giustino e di tanti altri stanno a ricordarci tale consapevolezza. Ignazio, come anche Ireneo, vede negli eretici dei “lupi rapaci” o dei “cani idrofobi”, perché essi, stravolgendo la fede in Cristo, impediscono all’uomo di raggiungere la “vera salvezza”: uccidono, cioè, “trasmettono la rabbia”, che conduce alla morte, nel senso che privano l’uomo della possibilità di salvarsi. Allora per i padri c’è una relazione molto stretta tra “vera fede in Cristo” e “salvezza”, tra corretta espressione della fede e salvezza. Gli eretici, stravolgendo la verità su Cristo, non operano solo un “errore” logico, ma anche ontologico e soteriologico: essi perdono la verità di Dio e, così, anche la salvezza dell’uomo. Ancora un’acquisizione, seppure in filigrana: il Dio che si rivela in Gesù Cristo è trinitario. Nei padri apologisti e in Ireneo si noterà questa sorta di sviluppo progressivo, attraverso il quale la coscienza della Trinità di Dio viene via via chiarendosi da un punto di vista “riflesso”. Il nucleo di ciò che gli apostoli hanno insegnato si ritrova nelle professioni di fede-simboli: la regula fidei. In merito alla risposta data alle provocazioni del tempo (giudaismo/ellenismo), gli autori di questi primi secoli si muovono solo con parziale originalità. I padri apostolici richiamano di fatto i testi del Nuovo Testamento, cioè “ripropongono la fede”, senza cercare una sintesi originale. Si veda Ignazio, che nelle sue lettere per lo più richiama i testi di Giovanni, al fine di affermare la verità della carne di Gesù e dell’eucaristia. Essi sono, di contro, testimoni e garanti di un’autentica tradizione cattolica e hanno ancora oggi grande autorità nelle questioni teologiche. Le quattro caratteristiche che li definiscono sono l’ortodossia (difensori della tradizione e della parola di Dio), la santità di vita (vivevano ciò che predicavano), l’approvazione della chiesa (la chiesa dà il suo placet ai suoi testimoni), l’antichità (il periodo dei padri è identificato fino all’VIII secolo). Grazie ai padri noi ancora oggi abbiamo il canone delle Scritture, i simboli di fede, le regole di vita ecclesiale, le forme di liturgia primitiva, sintesi teologico-catechetiche e nozioni sulla vita asceticospirituale. I padri con il Concilio Vaticano II hanno acquistato un’enorme importanza nella chiesa moderna, tanto che il loro studio nelle facoltà teologiche è stato messo al secondo posto dopo la Sacra Scrittura. Sono ancora attuali proprio perché ci hanno donato i fondamenti della nostra chiesa. Su questa scia si pone il valido contributo dei testi in questione curati dalla Prinzivalli e da Simonetti. Essi prendono proprio in considerazione gli elaborati più importanti dei primi due secoli.
Sono una piccola raccolta di scritti che si caratterizzano per la loro antichità e per l’aggancio con l’età apostolica e sono i testi cristiani più antichi dopo il Nuovo Testamento. Grazie a questi scritti abbiamo la descrizione delle prime comunità dove il Nuovo Testamento stava ancora in fase di redazione e si tramandava oralmente. La Didachè, il cui titolo completo è Insegnamento del Signore mediante i dodici apostoli ai gentili, è stata redatta verso la fine del I secolo. Si compone di tre parti: 1) istruzione morale per i catecumeni; 2) istruzione liturgica; 3) istruzioni per la vita comunitaria. Il testo termina con un’esortazione a vigilare per l’imminente venuta del Signore. La Lettera di Clemente Romano ai Corinzi (o Prima Clementis) si trova nel Codex Alexandrinus ed è stata scritta tra il 96/97. Questa lettera fu scritta perché nella Chiesa di Corinto alcuni nuovi arrivati avevano fatto deporre i vecchi presbiteri per far spazio ad altri. La lettera ha un tono fraterno ed è vista come correptio fraterna, ma con la fermezza nell’esigere l’obbedienza. Poi ci sono le Lettere di Ignazio di Antiochia, vescovo di questa città della Siria, condannato a morte e mandato a Roma: durante questo viaggio incontrò molte comunità e scrisse sette lettere, tra cui quella alla Chiesa di Roma, nella quale pregò di non risparmiargli il martirio. Ignazio ha dato un contributo alla cristologia, all’ecclesiologia (gerarchia della chiesa, vescovo-presbiteri-diaconi), al martirio e alla Scrittura; fu martirizzato intorno al 110. La Lettera di Policarpo ai Filippesi, in cui il vescovo di Smirne è ricordato con tre appellativi: vescovo (istituzionale), martire (elettivo) e maestro (apostolico e profetico). L’insegnamento di Policarpo è apostolico perché ha avuto contatti diretti con Giovanni e in più è ricordato con il carisma della profezia: ecco perché era definito maestro apostolico e maestro profetico. Il suo martirio è il primo testo della letteratura martiriale ed è composto dalla Chiesa di Smirne per le altre chiese. I temi principali sono: martire imitatore di Cristo, Cristo presente nel martire, eventi carismatici durante il martirio, venerazione delle reliquie, celebrazione del giorno natalizio del martire. Per la prima volta si utilizza il termine martire per indicare chi è stato ucciso per la fede. La Lettera dello PseudoBarnaba è una lettera sulla polemica antigiudaica, ed è databile tra il I e il II secolo. Si tratta di un testo diviso in 2 parti: nella prima l’autore accusa i giudei di non comprendere le Scritture, perché da sempre ne hanno inteso solo il senso letterale senza considerare quello spirituale; nella seconda parte viene ripresa la catechesi morale della Didachè. Il Pastore di Erma, il cui tema centrale è quello della remissione dei peccati dopo il battesimo. Per Erma era possibile perdonare i peccati dopo il battesimo e, quindi, ha una dottrina penitenziale equilibrata. Il pastore si pone come un ispirato; nella sua cristologia c’è una visione angelica (Gesù-angelo) e una teologia trinitaria non chiara.
Per quanto non sia possibile fissare con esattezza alcun dato cronologico, qui ci s’intende comunque riferire chiaramente a un periodo e a una immagine della chiesa che seguono quelli del Nuovo Testamento. Dalla lettura e meditazione dei testi si vedrà che l’immagine di chiesa, tipica di questo momento primitivo del cristianesimo, è dominata dal motivo del mistero. La chiesa si comprese come mistero in quanto si riconobbe nel suo insieme come una comunità che in forza della decisione misteriosa di Dio adempiuta in Gesù Cristo, e per mezzo dei doni della sua parola e del suo amore, comunicato nel battesimo, eucaristia e remissione dei peccati, è chiamata, riunita, santificata nella partecipazione alla santità, una comunità che si realizza mediante la koinonia, la communio, e i doni dello Spirito. Nei confronti del mondo che la circonda essa si comprende come piccolo gregge, che costantemente la riferisce al suo essere diverso, e che viene vissuto sotto forma di minaccia, di pericolo e di ostilità sperimentati concretamente durante le persecuzioni; ma in questo stato di cose non si rassegna, né fallisce, in quanto pervasa dalla promessa e dalla speranza di una fede che la vivifica. Essendo la comunità che Cristo ha liberato perché viva in libertà, non deve temere le potenze del mondo; non valuta l’oppressione, la sofferenza e la morte come una smentita, bensì come una conferma della propria fede.
Perché ancora oggi è consigliabile la lettura e la rivalutazione dei testi qui in esame? Perché il vincolo dell’unità che tale situazione fondava e garantiva era così intenso che la prima comunità cristiana fu in grado d’integrare differenze di ogni genere, sia politiche che culturali, strutturali e organizzative, e di esprimere l’unità nella pluralità e la pluralità nell’unità. L’affermazione della chiesa come nuovo popolo di Dio, chiamato di tra i giudei e pagani, che si fonda sulla fede e sul sacramento, che procede sotto la luce del sole sulla via che conduce al regno di Dio imminente, è una delle caratterizzazioni ecclesiologiche dominanti in questo periodo. La Didachè (9,4) qualifica la chiesa come la comunità che Dio aduna da tutte le regioni della terra per questo scopo. Tale immagine, assieme all’altra imparentata di nuova (terza) generazione, era il modo più atto a esprimere come la chiesa venisse allora pensata, raffigurata e vissuta, a significare il «noi siamo la chiesa». L’affermazione di popolo di Dio venne ulteriormente arricchita dal concetto che la chiesa è l’adempimento delle promesse fatte al popolo di Israele e la realizzazione dei suoi tratti peculiari. Quest’idea si dilatò fino a consolidarsi nella raffigurazione della Chiesa preesistente. Il Pastore di Erma qualifica la chiesa come prima creazione: è per essa che il mondo è stato creato. Erma riveste il concetto con l’immagine di una chiesa figurata come donna anziana, una vegliarda. Con la stessa intensità si ripropone anche l’immagine paolina di chiesa come corpo, un corpo in cui Cristo è il capo. Con l’immagine della chiesa corpo di Cristo si vuole esprimere la presenza interiore di Cristo nella chiesa e della chiesa in Cristo, mediante la parola, il sacramento, i doni dello Spirito, l’agape e specialmente per mezzo dell’eucaristia, intesa come corpo di Cristo del quale la chiesa vive. La chiesa si comprende anche come casa o come tempio di Dio, e nello stesso senso che già scorgiamo nelle affermazioni neotestamentarie sulla casa e tempio di Dio. Ciò che qui innanzitutto s’intende non è un edificio destinato al culto, ma la comunità vivente degli stessi fedeli. Questa viene affermata come immagine invertita del tempio veterotestamentario, nel quale Dio accordava la sua speciale vicinanza e dove all’uomo veniva offerta la possibilità di accedere a Dio. La comunità, che si riunisce per celebrare il servizio divino e l’anamnesi di Gesù Cristo, assume ora la stessa funzione che nell’Antico Testamento svolgeva il tempio di Dio. Ciò le è possibile perché in Cristo Crocifisso e Risorto Dio si è reso accessibile all’uomo. Ne consegue che ovunque delle persone si trovino riunite per Cristo e in suo nome, qui esse formano la casa e il tempio di Dio.
Tratto dalla rivista "Aprenas" n. 4/2015
(http://www.pftim.it)
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