Torah e storiografie dell'Antico Testamento
(Logos - Corso di studi biblici) [Libro rilegato]EAN 9788801049084
Finalmente! Dopo tanti anni di attesa è uscito il secondo volume della collana Logos. Borgonovo si augura che questa espressione ritorni in bocca al lettore dopo aver girato l’ultima pagina. Nella prefazione egli spiega il motivo di questo lungo tempo di latenza. Nel cantiere che si è aperto in questi ultimi trenta anni circa il Pentateuco, dopo la sua uscita dal Biblicum di Roma, non gli è stato facile individuare quali fossero le colonne portanti e le strutture secondarie. Solo ora si sente in grado non solo di ricostruire la storia degli studi di questi anni, ma anche di proporre una propria originale pista di ricerca.
Secondo lo schema tradizionale della collana, il volume si compone di tre sezioni: Introduzioni (La Torah, ovvero Pentateuco, a cura di G. Borgonovo; Le storiografie della Bibbia a cura di C. Balzaretti); Saggi di esegesi a cura di G. Borgonovo, J.-L. Ska, B.G. Boschi, M. Nobile, G. Barbiero, L. Mazzinghi-G. Papola; Temi di teologia biblica a cura di G. Borgonovo e di I. Cardellini. Il primo capitolo della prima sezione è dedicato all’introduzione generale alla Bibbia ebraica, greca e latina con l’aggiunta di un excursus, ricco di notizie tratte dalla tradizione ebraica e cristiana, circa il computo dei libri nella Bibbia ebraica con particolare attenzione al ruolo centrale della Torah nel canone ebraico.
Nel secondo capitolo, Borgonovo offre uno sguardo panoramico inteso a scoprire la forma narrativa in cui si presentano i tre corpi che costituiscono il Primo Testamento. Innanzitutto nella Torah la narrazione si sviluppa in tre gironi: il primo, Dio ( elohim) e l’umanità (Gn 1,1-11), in cui si può cogliere non una cronologia degli eventi ma una grammatica dell’essere; il secondo girone è costituito da Iddio onnipotente ( el Shadday) e i padri (Gn 11,27-50,26), in cui il racconto diventa una progettazione per il futuro del popolo e la scoperta della propria identità nell’oggi di chi scrive; il terzo girone è costituito da JHWH e Israele (con Mosè) (Es-Dt); e anche in questi testi non si tratta di una recensione «cronachistica» del passato, ma di un’interpretazione teologica capace di diventare «normativa» per il presente. I Nebiim comprendono i profeti anteriori (la storia da Giosuè a 2Re) e i profeti posteriori. Vengono offerti i punti cardinali per comprendere la profezia biblica: lo spirito, la parola, il patto, la Torah.
I Ketubim sono opere che mettono al centro i problemi di ogni generazione umana. Borgonovo a questo punto attira l’attenzione su un interessante fenomeno letterario del Primo Testamento: la ricapitolazione (o deuterosi). La ricapitolazione chiude tutto quanto è stato già prodotto sino a quel momento, ma anche apre a una nuova comprensione. La ricapitolazione traspare con evidenza in tre libri biblici: nel Deuteronomio, nel Deuteroisaia (Is 40-55) e nei capitoli introduttivi del libro dei Proverbi (Pro 1-9). Sulla scia di Deuteronomio, del Deuteroisaia e dell’introduzione ai Proverbi, gli autori del periodo post-esilico, secondo Borgonovo, avrebbero condotto a termine il loro lavoro di sistematizzazione e di riflessione. Torah, Nebiim e Ketubim si chiudono con un movimento di ricapitolazione: la Torah, con una legge il cui comando è di «osservare la legge»; i profeti, con un oracolo il cui contenuto è che «Dio ha parlato»; la Sapienza, con un invito a «seguire la Sapienza». Mentre si ricapitolano, i tre corpi scritturistici si aprono a una dimensione di futuro che impedisce la loro cristallizzazione archeologica e un loro ripiegamento auto referenziale.
È l’Apocalittica che conferisce alla Bibbia ebraica un orientamento teleologico, indirizzato al futuro e al compimento. Il terzo capitolo è dedicato al problema del Pentateuco. L’autore, dopo uno sguardo generale alla Torah, richiama le discussioni aperte in epoca moderna circa la sua esatta estensione: si tratta di un Tetrateuco, di un Esateuco, o di un Enneateuco? Facendo l’analisi della proposta di un Enneateuco, Borgonovo fa notare la coerenza cronologica che attraversa tutti i nove libri. Una tale uniformità cronologica sarà presa come prova complementare per ciò che egli dirà a riguardo della centralità del Deuteronomio. A partire dal Deuteronomio si sarebbero avuti due sviluppi storiografici in direzione opposta: da una parte una storia à rebours dal periodo dei regni sino al momento dell’insediamento di Israele in terra di Canaan, e dall’altra si sarebbe avuto un ampliamento narrativo la cui trama in nuce è già presente nel «piccolo credo storico» del Deuteronomio.
Borgonovo al termine delle varie proposte conclude con la riaffermazione critica del Pentateuco presentando quattro argomenti: melior est conditio possidentis (il prima e il dopo la morte di Mosè è molto marcato); la presenza di Giosuè prima della morte di Mosè appare eccedente rispetto alle necessità narrative del Deuteronomio; il tema fondamentale del Pentateuco è la vicenda esodica; la cesura dopo il Pentateuco dice la perenne validità della promessa della terra e la sua condizione legata all’osservanza del comandamento (Dt 30,17s). Devo confessare di aver letto con un sentimento di meraviglia e di ammirazione il quarto capitolo dove Borgonovo tratta dell’ipotesi documentaria. Egli è riuscito a passare in rassegna con destrezza una vastissima letteratura che va dal sec. XVIII al sec. XX, chiarificando in qualche caso anche le proprie opinioni personali, come per esempio riguardo all’ipotesi dell’opera storica deuteronomistica di M. Noth. La conclusione a cui egli giunge è l’insufficienza dell’ipotesi documentaria per le tradizioni piú antiche: J e E appaiono nebulose, mentre le tradizioni piú recenti (D e P) sono piú identificabili. Il capitolo quinto è quello piú originale, perché Borgonovo fa egli stesso una «nuova» proposta: la singolarità del Deuteronomio rispetto alle antiche tradizioni. Inizia spiegando l’«ideologia» del Deuteronomio partendo dal suo appello fondativo: «Ascolta Israele».
Coloro che ascoltano fanno parte di Israele e Israele, da quel momento in avanti, sarà colui-che-ascolta JHWH. La memoria del passato serve a fondare il comandamento. L’autore la chiama memoria fondatrice. Menzionandolo il passato diventa operante e normativo per l’oggi. Il Deuteronomio, quindi, ha come interlocutore ideale quell’Israele che deve appropriarsi della memoria del suo passato esodico. In un secondo momento, Borgonovo riprende il concetto di «età assiale» da M. Liverani, un concetto derivato a sua volta dalla filosofia della storia di K. Jaspers. Questo asse della storia universale, secondo Jaspers, appare situato intorno al 500 a.C. Lí sta la piú netta linea di demarcazione della storia. Sorse quell’umanità, con cui sino a oggi viviamo. Borgonovo si preoccupa di trovare la ragione storica che ha dato nuova profondità al passato, trasformandolo in simbolo. Quindi approfondisce i cambiamenti prodotti storicamente dal Deuteronomio.
Esso non riguarda solo alcuni aspetti della vita di Israele, ma propriamente pone in essere l’entità «Israele» attraverso la scrittura del seper hat-torah. Si tratta di un Israele che fino ad allora e in quei termini non era mai propriamente esistito. Una tale riforma aveva bisogno di trovare un punto di ancoraggio nel passato, identificato nella cosiddetta riforma di Giosia. I quattro capisaldi della nuova identità introdotta dalla riforma dtn sono il tempio con la centralizzazione del culto in Gerusalemme, il culto della nuova Pasqua, il calendario con la cadenza settimanale del sabato, e la forma di governo. Le novità introdotte da Dt sono davvero decisive per la riconfigurazione di «Israele». Proprio per questa ragione, il narratore parla in persona Moyseos (finzione narrativa) e le innovazioni sono attribuite dalla storia dtr alla «riforma di Giosia» (finzione storica), quale mito fondatore che attribuisce al re giusto del passato il ruolo di restauratore dell’antica legge (mosaica) dimenticata. Il deuteronomio è il proto-nomio, cioè il nocciolo originario che dà forma e struttura al resto del Pentateuco. In una prima linea direttrice narrativa sono raccolte le tradizioni antiche sulle origini di Israele per ricostruire quanto nel Deuteronomio è stato sommariamente «ricordato», in particolare i padri, il periodo egiziano, la vicenda dell’esodo e il cammino nel deserto dall’Egitto all’Horeb. Non si tratta solo di uno sviluppo narrativo a partire da un «sommario» già definitivamente fissato, ma anche della possibilità di crescita narrativa con sviluppi non previsti dal Deuteronomio.
Il punto di partenza è la teologia deuteronomica, mentre il punto di arrivo della composizione complessiva del Pentateuco presuppone l’apporto della teologia sacerdotale. La seconda linea direttrice narrativa dà origine a quell’opera storica deuteronomistica la cui rappresentazione è stata fissata dall’ipotesi di M. Noth. Il momento della scrittura del Deuteronomio, secondo Borgonovo, va dal 520 al 515 a.C. È il punto prospettico da cui leggere l’impianto globale dell’intera costruzione della storia nazionale di Jehud. Il giudaismo nasce con il momento del Deuteronomio e durante il periodo persiano si constata una progressiva evoluzione. Quando la trasformazione è consumata, esso si trova in un altro mondo teologico. Si è passati dal deuteronomismo alla tradizione sacerdotale. Nel capitolo sesto, Borgonovo applica quanto affermato sopra a una nuova lettura del Pentateuco. Non si tratta piú di considerare il Pentateuco un lavoro redazionale, che per essere correttamente interpretato ha bisogno di essere suddiviso nei «documenti» originali, ma siamo davanti a una vera composizione, che ha tutta la dignità di opera letteraria e che quindi va affrontata a prescindere dall’eventuale e possibile studio delle «fonti», da cui provengono i materiali di cui è composta. Si tratta quindi di ricercare il senso della composizione finale.
Credo che non ci sia che da rallegrarsi del fatto che anche da esegeti italiani si possano fare nuove proposte sulla formazione del Pentateuco. La migliore è sempre quella che risolve piú problemi. Mi aspettavo tuttavia di trovare anche un accenno alle proposte di altri studiosi, dopo l’implosione della teoria documentaria (cf. ad esempio Zenger e Ska). Mi domando anche se il famoso periodo assiale (520-515 a.C.), in cui sarebbe stato composto il Deuteronomio, sia il piú adatto per una operazione letteraria di ampio respiro. Gerusalemme dopo l’esilio era ormai un villaggio con mura diroccate e con il tempio in fase di costruzione. Alcune situazioni sociali, economiche e politiche favoriscono un’intensa produzione letteraria, altre no. Sembra invece che dal sec. VIII al sec. VI a.C. fosse viva un’attività di scribi anche in piccole città in Israele. La parte seconda del volume, dedicata alle storiografie della Bibbia, è curata da un esperto nella storia di Israele, C. Balzaretti. Innanzitutto è presentata, con metodo diverso da quello seguito da Borgonovo, la storiografia deuteronomistica, poi la storiografia cronistica, in cui l’autore separa i libri di Esdra e Neemia da 1-2Cronache e, infine, viene trattata la storiografia maccabaica. La seconda sezione del volume è dedicata a saggi di esegesi, dove non tutti i contributi, che a volte risalgono a molti anni addietro, seguono il metodo e le acquisizioni proposte nella sezione introduttiva.
I temi di teologia biblica della terza sezione sono, invece, curati tutti da Borgonovo, eccetto l’ultimo di I. Cardellini. Il volume, nella parte curata da Borgonovo, sembra destinato piú a professori che a studenti di teologia, ma anche questi possono trovare in questo lavoro tantissimo materiale difficilmente rintracciabile in altri manuali.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" n. 3/2012
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)
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