PRESENTAZIONE
1. Il 14 settembre del 410, giorno della memoria di san Cipriano di Cartagine, esaltando la coraggiosa testimonianza di questo martire es - pressa con la predicazione e con gli scritti, sant’Agostino affermava: «Numquid propter paucos dies vitae huius quiescere debet ministerium cordis et linguae nostrae? Absit» (Discorso 313/E, § 7). Il vescovo d’Ippona definisce la predicazione come un “servizio” coinvolgente le risorse sia interiori, il “cuore”, sia esteriori, la “lingua”, metonimicamente da intendersi rispettivamente per “carità” e “parola”. Non esista alcuna giustificazione, nemmeno il pericolo della persecuzione e della morte, che possa far cessare il servizio della carità insegnata dalla parola e della parola trasfigurata in atto d’amore. Abbiamo esordito con tale riferimento per introdurre questo fascicolo della nostra Rivista, il primo di due che nell’anno in corso dedicheremo al tema mai abbastanza discusso della predicazione. In questi nostri tempi, infatti, si riscontra una sua grande crisi, perché da taluni confusa con la catechesi, da altri con la mera esegesi di testi biblici, da altri ancora con esortazioni moralistiche o addirittura con lo spazio utilizzabile per poter “personalizzare” con il proprio stile istrionesco un elemento tanto rilevante per la comunicazione e la maturazione della fede dei credenti. La predicazione è sempre stata al centro dell’attenzione, sia nell’ambito giudaico che in quello cristiano. Il Libro di Neemia narra la lettura pubblica della Legge a Gerusalemme, avvenuto il primo giorno del settimo mese sulla piazza presso la Porta delle Acque (cf. Ne 8,1-2). Compito di Esdra e dei leviti suoi collaboratori era non solo “proclamare”, ma anche “far intendere”, quindi “spiegare” la parola di Dio al popolo: si noti l’impiego del verbo bîn, “capire”, coniugato all’hifil, la forma causativa, cioè “far comprendere”. D’altronde, vogliamo accennare che secondo la tradizione anticotestamentaria il sacerdote aveva già in epoca preesilica l’incombenza di spiegare la legge: «Insegnano i tuoi decreti a Giacobbe e la tua legge a Israele» (Dt 33,10a). Insegnare predicando la Torah per i sacerdoti costituisce un dovere, benché i profeti – a loro volta dediti per vocazione esclusiva a mediare la parola divina – siano costretti a rilevare le loro inadempienze al riguardo (cf. Mic 3,11; Ger 18,18; Ez 7,26). Valga come esempio l’esplicita considerazione di Mal 2,7: «Infatti le labbra del sacerdote devono custodire la scienza e dalla sua bocca si ricerca l’istruzione, perché egli è messaggero del Signore degli eserciti». L’istituzione della sinagoga ha fin dalle sue origini avuto quale nucleo fondamentale del proprio culto proprio la lettura della Legge e la sua spiegazione. Per limitarci all’antichità, riferiamo una bella testimonianza di Filone d’Alessandria: «Sono soliti apprendere (ajnadidavskontai) queste leggi in ogni momento, ma soprattutto ogni settimo giorno. Perché il settimo giorno è reputato sacro, e in questo giorno si astengono da qualunque altro lavoro e si recano in luoghi sacri che chiamano sinagoghe. Là, disposti in file a seconda dell’età, i più giovani dietro ai più anziani, si siedono in modo conveniente alla situazione, pronti all’ascolto. Allora uno prende i libri e legge, e un altro tra quelli di maggiore esperienza avanza e spiega (ajnadidavskei) ciò che non è facilmente comprensibile» (Quod omnis probus liber sit 81-82). Altrove egli, sempre parlando di ciò che avviene di sabato nelle sinagoghe, così scrive: «Ma un sacerdote che sia presente o uno degli anziani, legge loro le sante leggi e le spiega punto per punto (kaqΔ e{kaston ejxhgei`tai) più o meno fino al tardo pomeriggio, quando se ne vanno dopo aver ricavato sia una precisa conoscenza delle leggi sacre, sia un notevole miglioramento nella pietà» (Hypothetica 7,13). L’obiettivo della predicazione sinagogale è ancora precisato in un altro luogo da Filone, il quale afferma che chi parla nella sinagoga «non fa vanto d’abilità oratoria come i retori e i sofisti di oggi, ma ricerca l’esattezza nell’esposizione (diermhneuvwn ajkrivbeian) dei suoi pensieri, esattezza che non si limita a scalfire l’udito, ma, attraverso di esso, raggiunge l’anima e vi rimane salda (ejpi; yuchvn e[rcetai kai; bebaivw" ejpimevnei)» (De vita contemplativa 31). 2. Anche il Nuovo Testamento ricorda la pratica della predicazione nelle sinagoghe (cf. ad esempio Lc 4,15-28). In tal senso, interprete originale della predicazione, pur ampiamente praticata anche al di fuori dei luoghi sacri, è stato Gesù di Nazaret, come si dirà nel nostro articolo. Il suo stile inconfondibile, in cui l’aspetto narrativo (le parabole) riveste un ruolo preponderante, la sua innegabile capacità di creare comunione pur parlando a tante persone, il suo tema, quello del regno di Dio, declinabile nei suoi rivoli di amore, riconciliazione, giustizia, preghiera e altro ancora, ne fanno un autentico maestro. Egli, inoltre, inizia la sua vita pubblica cominciando ad affermare che «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato» (Lc 4,31), suscitando ammirazione e meraviglia, e prima di ascendere al cielo spiega ai discepoli tutto ciò che si riferiva a lui nelle Scritture (cf. Lc 24,27.44-5), provocando ardore nel cuore e gioia. D’altronde, la sua stessa vita è “predicazione”, avendo comunicato il Vangelo con parole e opere. Sulla scia del Maestro di Nazaret, i suoi discepoli eserciteranno il servizio della predicazione per esporre il messaggio della salvezza. Gli Atti degli Apostoli presentano quali figure principali di predicatori Pietro e Paolo di Tarso. A quest’ultimo e al suo discorso nella sinagoga di Antiochia di Pisidia è dedicato il contributo di ANTONIO LANDI. In quell’occasione l’apostolo ripercorre le tappe della storia della salvezza e le attese profetiche in riferimento alla risurrezione di Cristo: questo si rivela un utile suggerimento per chi è chiamato oggi a illustrare il mistero di Cristo, aiutando chi ascolta a interpretare la propria vita alla luce del Vangelo. L’annotazione di Filone riguardante una predicazione che raggiunga l’anima non è ignota ai cristiani delle origini. Gli Atti degli Apostoli rilevano che, ascoltato il discorso di Pietro in occasione della Pentecoste, gli astanti «si sentirono trafiggere il cuore» e subito chiesero a lui e agli altri apostoli che cosa fare. Sorse ben presto, però, il problema del modo in cui si poteva presentare il contenuto del messaggio evangelico, affinché esso riuscisse a fidem facere et animos impellere: conquistare la fiducia dal punto di vista razionale e convincere [...]