EAN 9788851409135
Molto spesso l’accostamento del Vangelo alla politica ha generato equivoci tra mondo credente e non, come pure interpretazioni arbitrarie (e relative applicazioni) all’interno della stessa comunità ecclesiale, fino a generare inspiegabili tentativi di fondare sulla Parola «il mito dell’ordine sociale o il mito della rivoluzione» (p. 7). Il titolo stesso del saggio potrebbe indurre a ricercare in esso riferimenti precisi per una “evangelica” proposta politica, mirante eventualmente a riproporre un’improbabile quanto irrealista modello di societas cristiana. Ecco perché, fin dalle prime battute, l’autore intende fornire al lettore la chiave ermeneutica del saggio: la capacità “provocatoria” e “performativa” della Parola nell’oggi. Viene subito specificato che «i passi biblici che hanno un diretto riferimento al tema sociopolitico sono poco numerosi, non omogenei fra loro, e comunque fortemente condizionati dal loro tempo» (p. 7), ragion per cui «dobbiamo cercare nella parola di Dio l’ispirazione di fondo, senza la pretesa di trovare una risposta a tutti i problemi» (p. 6).
La lettura dei passi scritturistici evidenzia il primato assoluto del Dio vivente, come valore e protagonista della storia e la concezione dell’uomo come persona e cioè un essere in relazione con Dio (l’Altro), l’uomo (l’altro) e il mondo (gli altri). Un uomo, dunque, «capace di dialogo e responsabilità: può rispondere e condividere con Dio l’ammirazione per il mondo e può prendersene cura» (p. 18). Ma l’uomo ha bisogno di Dio: «si ritrova nella dipendenza da Dio, si perde allontanandosi» (p. 11). Eludere questo bisogno significa l’alienazione dell’uomo: «L’uomo che vuole fare da sé e agire da Dio diventa il Faraone che genera oppressione, divisione ed alienazione » (p. 25). Sono le storie, anche attuali, di violenza e sopraffazione che determinano la perdita delle dimensioni della relazione e dell’alterità. Questi spunti disegnano una sorta di arcobaleno tra il primato di Dio su tutte le cose e l’imperativo ineludibile, per ciascun uomo, della responsabilità di custodia del mondo.
Le parole richiamate diventano significative in quanto vanno comprese alla luce dell’unica Parola: la creazione (primato di Dio su tutte le cose); l’uomo-amministratore (vigilanza e partecipazione); la liberazione (Dio, “misura” della libertà); il deserto (la dimensione del viaggio); la Legge (la fedeltà del cuore). Anche nella loro continuità temporale, compongono una magnifica sinfonia! Con l’incursione nei brani biblici del Nuovo Testamento, l’autore ha modo di sottolineare che ogni discorso di Gesù, specie quello programmatico di Nazaret (cf. Lc 4,14-20), non è direttamente politico, ma è carico di conseguenze politiche. Il suo è un messaggio di salvezzaliberazione che avviene nella storia. Ed è particolarmente un messaggio di liberazione degli infelici, di tutti gli emarginati. «Se la salvezza annunciata da Gesù è particolarmente in direzione degli infelici, non è perché Dio fa nuove distinzioni, ma perché noi le abbiamo fatte.
Se Dio si rivolge ai poveri è perché noi li abbiamo esclusi» (p. 47). La povertà, quindi, non è un fatto ideale, a cui adeguarsi o da vivere supinamente, ma una situazione a cui porre fine. Ulteriormente interessante risulta lo sguardo esegetico inerente gli altri scritti (lettere di san Paolo e Apocalisse), attraverso cui emerge la netta condanna di un modello di società idolatra, intollerante di Dio e con la volontà di mettersi al suo posto. La volontà di dominio, il lusso sfacciato, la presunzione della propria forza e invincibilità e un’organizzazione commerciale a servizio del consumismo finiscono inevitabilmente col renderla antiumana. Insomma, il lettore è invitato costantemente a misurarsi con molti e suggestivi temi: la necessità di un passaggio, di tipo culturale, dall’uomo “economico”, animato dalla logica ossessiva e compulsiva dell’avere e del profitto, alla visione dell’uomo “estetico” che sa essere “estatico”, capace di guardare la terra con sguardo stupìto, cogliendone la bellezza; il recupero della dimensione del riposo, per la quale l’uomo non è schiavo ma padrone del lavoro: lo domina e, perciò, sa anche sospenderlo; lo stridente contrasto tra la logica dell’autorità come dominio e la logica dell’autorità che obbedisce alla verità e alla giustizia; la differenza tra potere (posizione vantaggiosa per salvaguardare i propri interessi) e carisma (il concepirsi come gratuità); la salvezza di Dio come liberazione: è un uscire da sé per ritrovare la propria ricomposizione; lo stile del servizio come dimensione dell’intera esistenza. Colpiscono, altresì, le annotazioni riguardanti situazioni che, in una logica umana, sono viste come rischi e che, invece, in una dimensione biblica, diventano opportunità.
Tra le tante, ci si sofferma sulla convivenza multirazziale, multiculturale e multireligiosa vista come opportunità di crescita e di maturazione. Deciso rifiuto, dunque, della paura delle diversità, indice evidentemente di una fragilità della propria identità culturale e religiosa. Come pure, la consapevolezza di sentirsi e, di fatto, essere minoranza non può significare ripiegamento, chiusura e/o ostilità verso il mondo, intransigente ricerca di purezza, radicalismo evangelico. È, invece, opportunità per rendere più visibile lo stile di povertà evangelica e di servizio disinteressato. Dunque, non una lettura politica della parola di Dio; piuttosto, una lettura della parola di Dio che ispira la politica! Ma una Parola che è innanzitutto rivolta alla comunità credente la cui vita diventa il “modello politico”.
Tra i tanti, è questo uno dei più suggestivi spunti offerti al lettore: la vita interna della comunità è il primo “compito politico” da mostrare al mondo. Essa è diversa dai canoni del mondo. Prima ancora di richiedere sforzi di conversione al mondo dei “lontani”, la vita della comunità ecclesiale, imperniata sul dono e sulla solidarietà, deve produrre nell’attuale fase storica una cultura della fraternità, della fiducia e della legalità. E ciò per contrastare, specie nell’amministrazione della cosa pubblica, le logiche insopportabili del dominio, della competizione, della ricerca di sé, del privilegio, della corruzione. L’autore accompagna il lettore in una realista rivisitazione dello stile di vita delle prime comunità cristiane, lungi da ogni visione idilliaca della vita in comune. L’intento è di invitare chi si ritiene credente a recuperare ciò che nell’attuale logica economica del neoliberismo capitalista è inesistente: la coniugazione del noi con l’altro, perfetta sintesi tra la categoria della relazionalità/ reciprocità e quella della prossimità. L’ideale da perseguire è, quindi, la condivisione, così che nessuno debba essere bisognoso: è un progetto di fraternità che «non nasce da un discorso sull’uomo e non è semplicemente una fedeltà all’uomo, ma anzitutto una fedeltà alla rivelazione di Dio» (p. 71).
La lettura del testo sollecita ad abbandonare ogni eventuale anestesia delle coscienze rispetto al convivere civile. Il primato della fede, fondato sulla Parola biblica, non abilita a sottrarsi all’impegno storico, né intacca la legittima autonomia dell’ambito politico. Ne offre, tuttavia, la motivazione e la direzione. Infatti, come ben sottolinea l’autore,«non esistono due storie, ma l’unica storia di Dio e degli uomini, nella quale si rivela, anche se costantemente dibattuto, il disegno di Dio» (p. 99). Ciò al fine di recuperare la forza propulsiva del messaggio cristiano sull’uomo sì da tradurlo in azione politica e cioè in bene comune.
Tratto dalla rivista "Asprenas" n. 1-4/2012
(http://www.pftim.it)
-
23,90 €→ 22,70 € -
14,00 €→ 13,30 € -
7,90 €→ 7,50 € -
12,50 €→ 11,87 € -
10,00 €→ 9,50 € -
3,00 €→ 2,85 € -
7,00 €→ 6,65 €
-
-
-
18,00 €→ 17,10 € -
-
-
-
-
-
-