Le difficoltà della fede
-Riflessioni teologiche su problematiche questioni di fede ed esperienze ecclesiali
(Giornale di teologia)EAN 9788839908650
Christoph Böttigheimer
Le difficoltà
della fede
Riflessioni teologiche
su problematiche questioni di fede
ed esperienze ecclesiali
365
QUERINIANA
Titolo originale:
Christoph Böttigheimer,
Glaubensnöte.
Theologische Überlegungen zu bedrängenden Glaubensfragen
und Kirchenerfahrungen
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© 2013 by
Editrice Queriniana, Brescia
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ISBN 978-88-399-0865-0
Traduzione dal tedesco
di Gianni Poletti
www.queriniana.it
Stampato da Grafiche Artigianelli - Brescia
Indice generale
Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
parte prima
Questioni di fede
1. Credere ateisticamente' . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9
Scienza e tecnica 11
Una pastorale rivolta al mondo 18
Un'immagine corretta di Dio 22
Modi di agire di Dio 28
L'agire personale di Dio 32
2. Sofferenza senza Dio' . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34
Attualità della questione della teodicea 36
Teodicea filosofica 39
Peccato originale 44
Libertà umana 47
Teodicea cristiana 55
3. Dio nel regno della morte' . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62
Sofferenza in Dio' 63
277
«Disceso agli inferi» 67
Sabato santo e il silenzio di Dio 69
Superamento del regno della morte 70
La fede cristiana nel descensus72
4. Redenti dalla croce' . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 74
Interpretazioni errate della morte in croce 75
Teologia neotestamentaria
dell'espiazione e del sacrificio 81
Critica del sacrificio da parte di Gesù 85
Croce e pro-esistenza 88
Espiazione vicaria 92
La croce e il messaggio di Gesù 95
5. Veramente risorto' . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97
Il sepolcro vuoto ' un fondamento della fede' 99
La risurrezione di Gesù
come fondamento della fede 101
Prova di credibilità della risurrezione di Gesù 105
Cristofanie e autoevidenza 109
6. Come parlare di Dio' . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113
Teologia negativa 115
Discorso analogico su Dio 119
Mistero della fede 125
Carattere simbolico di tutto ciò che è religioso 129
Silenzio eloquente 132
7. Una religione senza critica' . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 135
Religione di stato e critica 136
Critica biblica della religione 139
Coscienza religiosa e coscienza critica 141
Parole critiche nella chiesa' 142
278 | Indice generale
parte seconda
Esperienze di Chiesa
1. Una verità liberante' . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 149
La concezione postmoderna della verità 150
Verità e realtà 153
Comprensione cristiana della verità 159
Fare la verità 163
2. Veracità della Chiesa' . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 170
Unità della chiesa e divisione delle chiese 171
Problemi ecumenici aperti 173
Consenso differenziato
nella dottrina dell'eucaristia' 176
Consenso differenziato
nella questione del ministero' 182
Successione apostolica nel ministero 186
Ospitalità eucaristica' 192
3. È possibile, socialmente, rinunciare alla chiesa' . . . . 195
L'Europa e il cristianesimo 196
Necessità dell'impegno ecumenico 200
Ecumenismo e impegno europeo 204
Evangelizzazione dell'Europa 208
Le chiese come motore di iniziazione 210
4. Che cosa è indispensabile per l'unità' . . . . . . . . . . . . 212
Comunione delle chiese e comunione eucaristica 215
Differenziazione delle affermazioni della fede 216
Episcopato come principio di unità 219
Unità e vita sacramentale 224
Vita sacramentale 228
279
5. Parità di diritti nella chiesa' . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 232
Dignità e fine specifico dell'essere umano 234
Responsabilità generale di tutti i battezzati 237
Senso della fede dei fedeli 240
L'ufficio ecclesiastico come ministero 245
Ordinazione delle donne 250
6. Argomentazione cattolica contraddittoria' . . . . . . . . 255
Mistero di Cristo e sacramentalità della chiesa 256
Eucaristia e communio ecclesiale 258
Diritto a un'ordinata liturgia della salvezza 260
Rinnovamento della dottrina del ministero 264
Indice dei nomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 269
Indice degli argomenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 273
Indice generale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 277
280 | Indice generale
Quando ho avuto tra le mani questo volume e l’intenzionalità sottesa al titolo ho ripensato a quanto J. Ratzinger in Introduzione al cristianesimo scriveva a proposito delle difficoltà cui va sempre storicamente incontro la fede, distinguendo fra due tipi di difficoltà a credere. Una “difficoltà strutturale” (lo scandalo primario della fede) costituisce la fatica intrinseca al credere che rende la fede mai un atto scontato ma sempre il risultato di una decisione in quanto l’uomo è un essere che “vede”, mentre Dio esula l’ambito del vedere, eppure Dio è anche riconosciuto non come irreale ma come la realtà autentica in quanto origine e sostegno di ogni altra realtà. Accanto a questa difficoltà si riscontra anche una “difficoltà storica”. Nel corso della storia le diverse forme di porsi dello spirito umano di fronte alla realtà hanno a che fare con la fede in quanto possono rendere a quest’ultima un buon servizio oppure intralciarne il cammino. Ciò significa che storicamente talvolta si fa più fatica a credere perché il contesto culturale non aiuta la fede; l’aspetto che Ratzinger non sottolineava era che tra ciò che rende più difficile credere vi può essere non solo il dato culturale esterno alla fede ma anche il modo in cui si declina la fede, per cui la Chiesa o i cristiani con il loro essere e agire anziché aiutare la fede la rendono problematica. Ebbene il testo di Böttigheimer si colloca proprio in quest’ultimo aspetto, poiché dal suo punto di vista il vero ostacolo alla fede non sembra provenire dal contesto, ma dall’essere della Chiesa oggi, la cui inattualità e crisi non è che l’esito di un modo sbagliato di intenderla e di porsi, che appella la necessità di una profonda riforma. L’antico adagio dell’ecclesia semper reformanda viene declinato attraverso indicazioni molto concrete per una riforma dell’istituzione che le ridia credibilità nel mondo odierno.
Dunque la fatica a credere e la sfida della trasmissione della fede ci rimandano al contesto odierno che tra opportunità ed aspetti problematici interroga il credente; a quanto pare però la provocazione pare più rivolta alla Chiesa che ai credenti, poiché l’autore si sofferma sul primo versante senza dire molto circa il secondo. Interrogarsi sulla ragionevolezza degli enunciati centrali della fede non accade mai in astratto ma a partire dal presente e dalle domande che il vissuto (con-testo) pone alla fede (testo). Quello che emerge oggi è una fede in calo, calo alimentato sia da problematiche speculative che dall’esperienza della prassi. Una prima causa del dato l’autore la indica nel fatto che «oggi l’uomo che crede o che cerca la fede soffre in maniera crescente il suo ateismo pratico, per l’incredulità che lo prende dinanzi alla sua voglia di fede, all’interno di un mondo di vita che si va progressivamente differenziando» (10). Il trionfo della scienza è l’ultimo atto che ha espropriato la religione di qualsiasi competenza cognitiva ed effettività o verità e funzione; si può vivere e si può vivere bene senza Dio che appare difficile da conciliare con l’immagine del mondo che proviene dalla scienza. Eppure questo ci aiuta a ripensare in senso più biblico l’identità di Dio, la sua onnipotenza e provvidenza verso il mondo e verso l’uomo, mettendoci al riparo da visioni più superstiziose o magiche che autenticamente cristiane (cf. 32-33). L’altra grande obiezione alla fede proviene dall’esperienza tragica e universale del male che mette in questione Dio. L’autore ripercorre le posizioni nella storia della teodicea filosofica, mette a tema la libertà umana analizzando le risposte insufficienti al problema della teodicea provenienti dalla free will defence (Swinburn) e dalla soul-makingtheodicy (Hick). La prospettiva cristiana ci parla del pathos, della com-passione di Dio, della sofferenza in Cristo del Dio appassionato (cf. Moltmann) fino al descensus (cf. Balthasar). Se il cap. 4 volge lo sguardo verso l’evento della croce puntualizzando alcuni aspetti non sempre adeguatamente declinati nella storia (primo fra tutti la questione dell’espiazione vicaria), il cap. 5 affronta la risurrezione di Gesù, l’enunciato centrale della fede cristiana (cf. 97). E dinanzi alla sfida di provare il contenuto di verità della risurrezione di Gesù al cospetto del tribunale della ragione, l’autore ricorda che se tale «evento di rivelazione può essere conosciuto come attendibile e sperimentato come fondativo della fede solamente nel libero atto di fede sostenuto dalla grazia», tuttavia «la verità del dogma può essere presentata anche ai non credenti in modo che la sua ragionevolezza si possa quanto meno intuire o cogliere ipoteticamente, nel quadro per esempio dell’antropologia» (112). Il come parlare di Dio e la necessità di esercitare una funzione critica sull’esperienza religiosa concludono la prima parte.
La seconda parte, a mio parere molto più controversa e problematica, affronta le difficoltà della fede inerenti alla prassi della fede, intesa non come prassi dei cristiani ma della Chiesa in sé, il cui comportamento viene spesso avvertito come un impedimento per la fede invece che come un aiuto a credere. Qui l’autore si riferisce più alle strutture ecclesiali che agli scandali di ordine morale dei membri della Chiesa. Proprio il prescindere dall’aspetto morale impedisce all’autore di considerare l’attentato alla credibilità della fede che deriva dall’immoralità dei cristiani e dalla loro vita che non di rado procede “etsi fides non daretur”. Il punto chiaro per l’autore è che la pratica disonesta della Chiesa fa perdere la fede. La pretesa veritativa della fede, in un contesto postmoderno in cui vige il principio assoluto del relativo (per cui non esiste la verità ma le verità) dipende dal “fare la verità”; poiché «la verità di Dio, la sua rivelazione, si dischiude solamente nel suo fare», allora «la verità del vangelo sviluppa la sua evidenza soltanto nella comunione dei credenti e può essere trasmessa solamente nel processo dialogico di tutti i credenti» (163). A quanto pare è solo la vita ecclesiale che oscura la verità liberante di Gesù, che abbandona i credenti al loro disagio perché non si adegua alla realtà della vita della gente, cioè non presta attenzione ai segni dei tempi. L’autore dimentica che i presunti segni dei tempi vanno letti alla luce del vangelo e non viceversa, ma soprattutto talvolta confonde l’incapacità della Chiesa a trasmettere l’effetto liberante del vangelo con la sua distanza da tutto ciò che il mondo postmoderno propina, come se una Chiesa unita che realizzi storicamente la comunione nella diversità fosse il punto decisivo per quella credibilità della fede cristiana che risolverà tutte le difficoltà della fede in Europa. Lascio ai lettori del testo giudicare la plausibilità di queste posizioni.
Ad ogni modo nella nostra epoca uno dei maggiori ostacoli alla fede è costituito dal fatto che le chiese cristiane si comportano e vivono diversamente da come professano, addirittura nemmeno si riconosce alle altre confessioni cristiane lo statuto di Chiesa in senso proprio. Eppure, come constata l’autore rileggendo l’ampio, faticoso ma fruttuoso cammino ecumenico degli ultimi decenni, tanti passi verso l’unità sono stati compiuti. Il metodo del consenso differenziato ha permesso di superare le condanne dottrinali con le quali le
Chiese si sono reciprocamente negate l’ortodossia ed è paradossale che all’eliminazione della ragione originaria della divisione ecclesiale (dottrina della giustificazione) non abbia fatto seguito il ripristino della comunione tra le chiese; questo nonostante ormai su altri punti controversi ci sia considerevole convergenza: così nel caso dell’eucarestia («visto il comune riconoscimento dell’“oggetto” della presenza reale di Gesù Cristo nella celebrazione dell’eucaristia, si possono considerare superate le antiche condanne della controversia teologica» [179]) e del ministero («si deve francamente constatare che sono state colmate le differenza dottrinali che provocano le divisioni della Chiesa nella teologia del ministero e si è a un consenso in tutte le questioni teologiche controverse» [185]). La questione problematica in realtà è l’eccessivo peso che la Chiesa cattolica attribuisce alla successione storica nel ministero episcopale come dato irrinunciabile per l’apostolicità della Chiesa (cf. 187). Invece per arrivare a un consenso differenziato basterebbe riconoscere che una futura comunione delle chiese non può rinunciare alla successione storica nel ministero episcopale come segno visibile della successione apostolica della Chiesa universale (cf. 191).
Dunque il vero problema per la fede oggi sono le divisioni della Chiesa, Chiesa il cui futuro dipende da quello della cultura e della società dal momento che, si legge con un certo sconcerto, «le chiese rappresentano un elemento culturale» (195). Solo una Chiesa unita può dare un contributo credibile al cammino europeo e all’edificazione di una casa europea basata sulla tradizione greco-romana, cristiana e illuminista. Non mi risulta, però, che tutta la difficoltà a riconoscere le cosiddette radici cristiane dell’Europa sia dovuta oggi alla divisione fra le chiese. Ma allora, ecco la domanda decisiva, che cosa è indispensabile per l’unità? Secondo l’autore l’unità della Chiesa ha due principi: uno interno – il Dio trinitario (cf. LG 4) e la partecipatio a Gesù Cristo – da cui deriva il principio esterno dell’unità, ovvero la communio sanctorum che trova la sua espressione visibile nell’unica fede, nell’unico battesimo e nello spezzare il pane eucaristico; perciò l’unità ecclesiale non può essere assolutamente disgiunta dal sacramento dell’unità, cioè l’eucaristia. L’unità si costruirà nella condivisione di ciò che appartiene in modo incondizionato al fondamento della fede cristiana che è per l’autore il battesimo; per questa ragione la successione episcopale non può costituire la base per la costruzione di un modello cattolico dell’unità. In un’ecclesiologia di comunione (quale quella del Vaticano II), l’unità della Chiesa discende dalla vita sacramentale della Chiesa e quindi la parola e il sacramento definiscono l’intensità della comunione mentre è il battesimo che, rendendo membri dell’unico corpo di Cristo, relativizza le divisioni esistenti della Chiesa. E «se all’azione di Cristo e dello Spirito Santo viene attribuito maggiore peso che alle strutture canonico-giuridiche della Chiesa, l’unità ecclesiale non dipende soltanto dal compimento di criteri istituzionali ma dalla presenza sacramentale di Gesù Cristo» (230).
Il problema del ministero si sposta sulla questione del ruolo fondamentale del sacerdozio comune e dei laici cui appartiene quella infallibilitas in credendo che però non trova spazio nella vita della Chiesa ancora troppo clericale; l’esempio più grave di questa trascuratezza è nel fatto che i fedeli non sono per nulla interpellati nella scelta dei vescovi, cosa che già denunciava Rosmini, autore che il nostro non cita. Ma il punto ultimo è l’ammissione delle donne al diaconato e al presbiterato e, aggiungiamo, all’episcopato, dal momento che il ragionamento dell’autore porta a questa conclusione, anche se lui si guarda ben dal dirlo. Negare alle donne l’ordinazione e la grazia sacramentale viola il principio dell’uguaglianza e della stessa dignità di tutti i battezzati, per cui, in fondo, siccome tutti abbiamo gli stessi diritti, tutti possiamo fare tutto. Del resto, secondo l’autore, il magistero sulla questione «non ha assunto una decisione infallibile, ma ha espresso una decisione negativa con un alto grado di obbligatorietà» (250) e poiché «la prassi dell’ordinazione delle donne è stata respinta dal magistero ecclesiale sulla base di argomenti apparentemente biblici, storici e dogmatici, senza peraltro che la dimostrazione riesca ad essere del tutto convincente né sul piano esegetico né su quello sistematico-teologico» (251), si potrà riaprire la questione e pensare ad una soluzione diversa; in questo modo si potrà ripristinare nella Chiesa la pari dignità tra uomo e donna (cf. 254). Inoltre nell’orizzonte di un’ecclesiologia eucaristica, il diritto all’eucaristia è irrinunciabile, eppure sono sempre più le comunità che non possono vivere dell’evento fondamentale per la mancanza di preti; alla cosa si ovvia ripensando criticamente i presupposti per l’accesso all’ordinazione cioè, non solo uomini e donne ma perché non ordinare prete qualcuno a cui chiedere solo di celebrare l’eucaristia lasciandogli tempo per fare una vita “normale” con famiglia, lavoro, impegni (è quanto si deduce dalle affermazioni di p. 261)? Basterebbe solo l’essere incaricato dalla Chiesa. In fondo «dal punto di vista teologico l’attuale frattura della tradizione, che si manifesta nelle comunità prive di presbitero e nelle conseguenti liturgie senza l’eucaristia, è molto più grave dei cambiamenti delle condizioni di accesso al presbiterato destinato alla liturgia, includendo anche l’ammissione delle donne al diaconato e al presbiterato» (268).
Il testo di Böttigheimer offre molti spunti e stimola una riflessione profonda ma appare tendenzioso e a volte non attento anche ad altri aspetti che definiscono le sfide della fede; si percepisce che certi accenti dipendono molto dal conteso sociale ed ecclesiale tedesco. Mi chiedo sempre come mai le chiese così ricettrici di tutte le istanze della postmodernità (il mondo riformato) non si siano poi riempite di fedeli, destando piuttosto l’impressione di un cristianesimo in via d’estinzione, molto più che in tradizioni (la Chiesa cattolica) dove invece si concentrerebbero tutti i problemi che impediscono al Vangelo di essere credibile oggi. Ad ogni modo la lettura di questo testo si raccomanda e risulterà sinceramente arricchente e aiuterà a sviluppare un senso più critico e attento agli scenari complessi e difficili in cui si colloca la fede oggi.
Tratto dalla rivista Lateranum n.2/2014
(http://www.pul.it)
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