Usato come nuovo:
Libro in condizioni pari al nuovo.
Privo di segni d`usura e di qualunque tipo di danno o vizio.
Trattasi, nella maggior parte dei casi, di libri acquistati da privati o biblioteche pubbliche o private in condizioni pari al nuovo, che vengono ceduti poiché costituiscono doppioni.
Usato in buone condizioni:
Libro in buone condizioni generali, del tutto fruibile.
Rispetto ad un libro "come nuovo" presenta però segni di usura che possono essere di vario genere.
I piu frequenti: sottolineato, copertina usurata, pagine ingiallite, orecchie d`asino.
Per ciascun libro sono precisamente indicati i segni di usura che presenta.
Libro in condizioni pari al nuovo.
Privo di segni d`usura e di qualunque tipo di danno o vizio.
Trattasi, nella maggior parte dei casi, di libri acquistati da privati o biblioteche pubbliche o private in condizioni pari al nuovo, che vengono ceduti poiché costituiscono doppioni.
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paul de sury, pdamsy@gmail.com il 23 dicembre 2013 alle 16:24 ha scritto:
Testo molto bello per la qualità grafica, ma ancora di più per l'intelligenza teologica dell'Autore, che riesce a condurre il lettore in un itinerario affascinante, anche per chi è lontano dalla fede cristiana come me.
Mario Cutuli il 15 febbraio 2015 alle 18:08 ha scritto:
Se nelle scritture ebraiche Dio comunica soltanto attraverso la parola, con l'incarnazione il “Verbo”, come leggiamo nel Vangelo di Giovanni, si fa carne, si cala nella storia e rivela finalmente il suo volto.
E' il volto del Padre che diventa - sfigurato, lacerato, deformato... - il volto dell'uomo.
Con “Dio storia dell'uomo. Dalla Parola all'immagine”, Edizione Messaggero, Padova, € 23.00, Andrea Dall'Asta, con la bella prefazione di Bartolomeo Sorge, ci invita ad un percorso molto affascinante che conduce dall'ascolto del Dio del Vecchio testamento, invisibile ma che parla, alla sua manifestazione, nel Nuovo, quando Dio e l'uomo sanciscono un nuovo patto. Una ricostruzione nel quale l'arte fa tutt'uno con la teologia, diventa, in un armonico, preziosissimo, tessuto interdisciplinare, antropologia e filosofia.
Un bel lavoro che prende avvio dal viso – fortemente espressivo, eppur indecifrabile nel mistero che lo racchiude - dell'“Annunciata”di Antonello da Messina che porta già in grembo l'Infinito, l'atteso, vaticinato messia. Lo vediamo già negli occhi dolci e assorti della mamma, quasi presaghi del disegno che Dio ha previsto per lei.
E' l'inizio di una storia di fede nella quale Dio viene annunciato nel corpo di una sconosciuta ragazza di Nazareth. Sono i primi passi sugli stessi sentieri dell'uomo. E il primo irrompere dell'Eterno nel tempo.
Dai mille simboli della divinità propri della cultura orientale, ricchi di allegorie, che velano e contemporaneamente svelano - il pesce, il Buon Pastore, il Basileus … Dall'Asta passa poi al “ritratto” del divino, anzi all'“Autoritratto”, (Albrecht Durer), la cui immagine sprigiona un'intensa sacralità nella quale il rispecchiarsi in Cristo «diventa simbolo di una nuova creazione, della coscienza di una profonda dignità umana che affonda le proprie radici nella fede cristiana».
L'immagine diventa, così, rappresentazione, della potenza, anzi della incontenibile magnificenza, come accade nell'iconografia dei tanti “Cristo Pantocrator”- famosissimo quello del XII sec. di Andrea Jemolo, che campeggia il catino del duomo di Monreale.
Un“Christus gloriosus” il cui sguardo, tenero, ma solenne, si prolunga nel Rinascimento italiano quando la laicizzazione della cultura e l'acquisita consapevolezza che l'uomo ha di essere artefice del proprio destino ripropongono un volto di Cristo che incarna la perfezione fisica e morale dell'uomo michelangiolesco della Cappella Sistina: forte, potente, atletico, rassicurante. Una rappresentazione che va oltre la statuaria bellezza greco-romana per riprodurne con straordinaria efficacia tutta la gloria, anche nella morte...
A differenza, di quanto accade, invece, nella stessa cultura rinascimentale, ma propria dell'area nord europea, soprattutto in quella di stampo luterana, nella quale prevale l'immagine del “Christus patiens” - il volto sofferente, spesso deforme, sfigurato - che sembra nascondere la propria divinità: forse la rappresentazione più autentica della miseria umana. Su quel viso l'uomo vede il proprio peccato.
Il Cristo sofferente, carico dei peccati dell'uomo, ritorna nell'iconografia del novecento, come accade nelle immagini dall'intenso e crudo realismo di Mattias Grunewald (“Crocifissione”) in quelle che si stagliano da uno sfondo notturno per esplodere in un trionfo di colori che trasformano l'uomo dei dolori del Cristo crocifisso nel copro spirituale, esile e leggero dell'uomo della “Risurrezione”, ma che porta ancora intatti i segni della passione.
Il “Christus patiens” caratterizza soprattutto l'opera di Rouault nel ciclo del “Miserere” o nei soggetti, segnati dal peccato – disfatte prostitute, volti inquietanti, clown vagabondi – che ricompongono il volto stesso di Cristo, devastato eppur sublime nei suoi tratti, quasi a garantire la speranza di un riscatto per tutti, secondo quella promessa “Beati coloro che soffrono, di loro è infatti il regno dei cieli...”
L'immagine di Dio può anche diventare testimonianza di un incontro, come succede ad Ignazio di Loyola – nella visione del Bambino Gesù in braccio a Maria – o a Teresa d'Avila alla quale l'apparizione di Dio risveglia e rinsalda la fede. Può, nel modo più semplice, ma fortemente espressivo, sintetizzare il volto stesso della Chiesa amorevole-(“La cena di Emmaus” di Rembrandt Van Rjin), o premurosa sposa di Cristo (“Le nozze di Cana” di Paolo Veronese)...
Dall'Asta chiude poi la ricostruzione della straordinaria irruzione di Cristo nella storia dell'uomo con la cosiddetta “arte della differenza”, nella quale, complice la proclamata “morte di Dio” di Nietzsche o nella monocromia contemporanea (David Simpson) - nella quale la relazione che l'uomo ha col divino va oltre l'immagine - Dio sembra nuovamente eclissarsi. Come pretendesse di essere cercato. Quasi obbligasse l'uomo ad avvertirne la mancanza...
Nella straordinaria ricchezza che il lavoro di Dall'Asta racchiude, riemerge la mai abbastanza ribadita convinzione dell'assenza di una distinzione tra l'arte “sacra” e quella “profana”.
L'artista, o leggiamo chiaramente nelle pagine del libro, non “crea”. Egli è un soltanto mediatore del sacro nella sua più ampia accezione – si pensi a Platone o a Socrate che parla dell'arte come di una “divina possessione”, o se si vuole, in pieno romanticismo, a Schelling che parla dell'Infinito (Dio?), come del vero artista. Chi esegue l'opera d'arte, non parla mai in prima persona, è soltanto “strumento” e ciò che dice viene dall'alto. L'artista di ogni tempo porta alla luce, svela «profondità abissali», non come semplice epifania del divino, né come meccanica imitazione della natura … «Il gesto dell'arte , scrive Dall'Asta, si fa atto che inaugurando una realtà nuova del mondo, imita il primo e inaccessibile “Fiat”, il primo inafferrabile istante creatore». (Mario Cutuli)
Marina Rubeo il 2 giugno 2015 alle 18:55 ha scritto:
Come ogni opera di padre Andrea Dall’Asta SJ, ci viene offerto un nuovo autentico capolavoro, copiosissimo frutto della sua vita così intensamente vissuta in una dimensione di esemplare fede ed eccezionale professionalità.
Specchio della sua vita, del suo straordinario percorso, davvero sublime è la sua capacità di fondere - con ineguagliabile perizia, convinzione ed armonia - fede, teologia, filosofia, estetica, antropologia, arte e cinema, accompagnando il lettore lungo un viaggio complesso, affascinante, indimenticabile, unico, che si vorrebbe continuare senza fine.
Attraverso il suo sguardo tutto diventa intellegibile e si colma di verità, di carità, di pietas, di amore.
Con un linguaggio potentemente avvolgente nell’appassionato approfondimento dei dettagli e nell’acutezza dell’osservazione sempre intrisa di toccante spiritualità, penetrante nella chiarezza e limpidezza dell’esposizione e nell’entità e profondità dei contenuti, luminoso nella trasparenza della sua sconfinata ricchezza interiore, umana e culturale che in lui raggiunge l’eccellenza, nella squisita delicatezza e radiosa bellezza della sua anima, l’autore si rivela ancora una volta esempio perfetto di piena realizzazione, ai massimi livelli, dei talenti ricevuti in dono e da lui offerti in dono al mondo senza mai risparmiarsi.
Perché Andrea Dall’Asta non va solo letto e riletto, interiorizzato e meditato con estrema attenzione e partecipazione, bisogna anche conoscerlo, ascoltarlo parlare e predicare, incontrarlo, viverlo in prima persona nella sua emanazione di Grazia e di Luce, Dolcezza e Tenerezza verso tutti: sgorgano spontanei ammirazione, stupore e gratitudine indescrivibili per la sua preziosissima presenza su questa Terra.
Le sue parole risuonano come pura poesia che sussurra direttamente al cuore del lettore/uditore e fecondamente ne coinvolge mente e spirito, rendendo accessibili, chiari e stimolanti temi e concetti d’altissimo spessore che, grazie a lui, arrivano a diffondersi e radicarsi in noi, integrandosi nella nostra quotidianità.
Le sue parole si fanno preghiera, da rivivere nel tempo, tenendo il libro sempre a portata di mano e di anima, ripercorrendone i passaggi più densi di Verità e Bellezza , per lasciarsene penetrare e trasformare sempre più intensamente e profondamente.
Andrea Dall’Asta è Dono dal Cielo, Capolavoro di Dio.
Nicola Tassinari il 25 luglio 2019 alle 20:19 ha scritto:
Libro interessantissimo, e molto coinvolgente, per l'approfondita analisi storica del percorso umano nel rapportarsi con la ricerca di una qualche forma di rappresentazione del volto del Signore, elaborando soluzioni diverse a partire dal superamento di un vero e proprio tabù, fino alla concezione moderna della figliolanza e fratellanza, alla scomparsa di un'idea di Dio, al suo apparente silenzio, alla sua presunta assenza, ad alcune virtuose proposte contemporanee che si propongono forse come una sorta di riconciliazione con questa idea di rappresentazione. Ottimo apparato iconografico.