Una comunità di libertà
-Introduzione alla teologia sociale
(Studi religiosi)EAN 9788825021165
Nell'ormai vastissima pubblicistica che ha per oggetto il rapporto Chiesa-società, questo volume ampio e documentato di Manzone, occupa un posto particolare in quanto direttamente orientato alla ri¬cerca del fondamento di quel complesso di studi che vanno sotto il nome di «Dottrina» (o insegnamento) «sociale» della Chiesa e in varia misura si alimentano ad un lungo e articolato magiste¬ro pontificio ed episcopale. Su quali basi, infatti, si fonda questo insegnamento, e da dove esso trae, alla fine, la sua legittimità?
Questo insieme di problemi è affrontato nelle pagine introdut¬tive del volume, nelle quali - partendo dalla constatazione del tenta¬tivo in atto in varie componenti della cultura contemporanea di esclu¬dere la religione, e specificamente il Cristianesimo, dalla sfera pub¬blica - l'autore si domanda se sia ammissibile tale estromissione e la conseguente privatizzazione della fede. La risposta di Manzone è che questa marginalizzazione della fe¬de è non solo teologicamente ma antropologicamente insostenibile (data l'unitarietà della persona umana, relazionale e sociale), nel contesto della cultura della post-modernità. Si tratta dunque di dimostrare, per una via che argomenta a partire dalla fede ma ha una sua ineliminabi¬le dimensione razionale, che il tema religioso non è estraneo alla quotidiana realtà dei rapporti sociali ma di essa fa parte integrante: in questo senso il fatto religioso, e specificamente il messaggio cristiano, è strutturalmente «sociale». Si fonda appunto su questo presupposto il necessario impegno del cristiano nella società (p. 10).
In questa luce alla «teologia sociale» viene assegnato un duplice compito: «esprimere il rilievo della società concreta per la fede cristiana» e nello stesso tempo rendere un prezioso servizio alla società (p. 17) arricchendola di valori evangelici capaci di fecondare la storia degli uomini.
Nasce di qui lo stretto collegamento che Manzone stabilisce tra la teologia sociale, la dottrina sociale, la morale sociale, la dottrina sociale della Chiesa, tutte espressioni pratiche della fede cristiana e parte integrante dell'evangelizzazione. Su questa base si snoda un percorso durante il quale si incontrano teologia e scienze umane, alla luce di un'antropologia integrale all'interno della quale trova il suo spazio la dimensione religiosa.
Tappe fondamentali di questo percorso - alle quali qui è soltanto possibile accennare - sono la definizione di società (cap. 2), una presentazione della antropologia sociale insita nella dottrina sociale della Chiesa (cap. 3), un'analisi essenziale del messaggio biblico sulla società (cap. 4) ed una serie di contributi orientati all'individuazione delle responsabilità sociali del cristiano, alla ripresa della categoria di bene comune, al rapporto fra l'impegno personale del cristiano e la cura delle istituzioni (capp. 6 - 8).
Di particolare interesse le pagine sulla «fondazione cristologica dell'agire sociale» (236 ss.), nel presupposto che la redenzione operata da Cristo non si attua soltanto e livello di persone ma anche di istituzioni, attraverso la rimozione delle «strutture di peccato» che rendono talora opaca la convivenza fra gli uomini. In questo senso la redenzione operata da Gesú ha una strutturale dimen-sione sociale, e dunque travalica l'ambito interiore della coscienza, ed implica pertanto, da parte dei credenti, la responsabile assunzione del compito di trasformare secondo giustizia l'insieme della vita sociale. Da questa ultima fondazione cristologica dell'agire sociale deriva anche la necessaria legittimazione della politica (significativi, al riguardo, alcuni riferimenti al pensiero di Giuseppe Lazzati), dal momento che essa, e le istituzioni nelle quali si esprime, non è un «male necessario» ma una via attraverso la quale attuare valori, come la solidarietà e la giustizia, che rendono più piena e più ricca la stessa umanità.
Proprio a questo riguardo - in ordine, cioè, alla natura e ai fini della politica - si pone una serie di problemi (affrontati in particolare nel capitolo su «La responsabilità sociale del cri¬stiano» che a nostro avviso ha in questa opera un'importanza centra¬le), che chiamano in causa il difficile e controverso rapporto fra etica e politica. In quale misura, infatti, i valori dei quali i cristiani sono portatori possono essere concretamente tradotti in scelte politiche? Quale è, in concreto, lo spazio per la mediazione e quali sono i «valori non negoziabili», per riprendere un'espressione oggi frequentemente adottata sia in testi del ma¬gistero ecclesiastico sia nel dibattito politico? A giudizio di Manzone esistono indubbiamente alcuni valori da considerarsi, sul piano oggettivo, «assoluti»; ma non sempre la politica, sulla ba¬se della realtà di fatto all'interno della quale si muove, può rea¬lizzarli appieno: spetta dunque alla stessa politica «la responsa¬bile ricerca delle mediazioni (leggi, istituzioni), che incarnano nella situazione concreta e via via specifica e mutevole questi principî e valori per raggiungere il massimo bene possibile» (p. 309). «L'idea del ‘massimo bene possibile' - aggiunge l'autore, esclude sia il minimalismo di chi indebolisce la forza normativa dei principî in nome dell'urgenza, sia il massimalismo di chi per amore dei principî ne pretende l'applicazione meccanica» (p. 309).
Si aprono qui ampi spazi per una coscienza cristiana che, alla luce del magistero della Chiesa, deve sapersi misurare con la concretezza della storia, tenendo sempre presente il neces¬sario rapporto tra fini e mezzi: cultura della mediazione come «cultura della responsabilità», si potrebbe affermare alla luce delle note posizioni di Max Weber (non a caso autore fra i più citati da Manzone), che nulla ha a che fare con una «cultura della compromissione».
Importanti anche le fini pagine che Manzone dedica ad un tema solitamente rimesso quasi soltanto ai sociologi e ha invece una precisa rilevanza etica, quello cioè dell'«etica di ruolo», ove si analizza la vita della persona nella concreta rete di relazioni che essa instaura e che possono essere fondate ora sulla fiducia ora sulla ostilità, ora sulla logica del possesso, ora sulla logica del dono (pp. 486 ss.). Centrale diventa, in questa prospettiva, la «esperienza della prossimità», traduzione operativa del grande messaggio evangelico sul «prossimo» e che lo trasforma in uno stile di vita caratterizzato dall'instaurazione con l'altro di rapporti amicali, di fiducia, di comunanza di destino: atteggiamenti, questi, di difficile attuazione nel contesto di una economia di mercato fortemente competitiva ma posti al fon¬damento di una «teologia sociale» che - nota Manzone - «smaschera sia l'illusione di una coincidenza fra istanza morale e regole so¬ciali... sia l'illusione di una separazione che porta a confinare la morale nell'ambito privato» (p. 515). Le istanze morali, in questa linea, vengono chiamate ad incarnarsi in un sistema di re¬lazioni interpersonali sottratte alle pura logica del bilanciamento dei diritti e dei doveri.
In conclusione, quella della Chiesa appare a Manzone non soltanto una funzione evangelizzatrice ma anche (ed insieme) una «missione sociale» in vista di una vera e propria «evangelizzazione della società» (p. 522); espressione, questa, un poco ardita e per certi aspetti discutibile (il centro del messaggio evangelico è rappresentato dal cambiamento dei cuori, più che delle strutture delle società) ma che, correttamente intesa, rappresenta la logica conclusione del discorso in precedenza condotto. Forse più che di «evangelizzazione della società» si potrebbe parlare di umanizza¬zione delle strutture, in modo da renderle sempre più conformi a quegli ideali di giustizia ai quali del resto l'autore in pre¬cedenza, ed in più luoghi, aveva fatto riferimento. In ogni mo¬do, al di là dell'una o dell'altra espressione, appare difficilmente contestabile la tesi dell'autore, secondo la quale spetta alla Chiesa non soltanto l'annunzio della salvezza ma anche una sorta di «profezia civile», incentrata essenzialmente sulla pro¬posizione, e per quanto possibile sulla realizzazione, della ca¬tegoria di «prossimità» (p. 529). Trasformare l'indifferenza, la lontananza, a volte la conflittualità e l'inimicizia, fra gli uo¬mini in autentica «prossimità» è in questo senso il maggior ser¬vizio - appunto la «profezia» - che la Chiesa può rendere alla società. È questa, in sostanza, la conclusione di questo libro sotto molti aspetti originale, opera matura di un attento studioso della realtà sociale.
Se - anche in vista di futuri sviluppi della ricerca - ulteriori apporti a questo quadro di insieme potranno provenire dall'autore e da quanti si porranno in direzione dell'approfondi¬mento della complessa categoria di «teologia sociale», essi po¬tranno venire esplorando alcuni aspetti del problema rimasti qui un poco in ombra.
In primo luogo, pur nell'ampiezza dei riferimenti, potrebbe essere utile una maggiore attenzione alle dinamiche della storia. Il passaggio dal «messaggio biblico» (cap. 5) all'attualità lascia in ombra il complesso percorso che, da Agostino a Tommaso d'Aquino a Rosmini, per fare soltanto alcuni nomi, ha caratterizzato il rapporto, spesso aspramente conflittuale, fra Cristianesimo e strutture politiche. In questa stessa linea, i non pochi rife¬rimenti alla teologia protestante (da Cullmann a Ricoeur) potreb¬bero essere arricchiti dall'utilizzo di autori come Bonhoeffer e Tillich; nello stesso tempo meriterebbe di essere considerata anche la tradizione ortodossa più recente che, da Soloviev a Berdiaev, si è a lungo interro¬gata sul rapporto Cristianesimo-società.
In secondo luogo meriterebbe di essere maggiormente messo a fuoco il problema della laicità (e del laicato). Manzone sfiora soltanto questo tema e preferisce parlare di «impegno del cristiano» o di «responsabilità del cristiano», ma - senza riprodurre antiche ed ormai superate separatezze - la specificità del servizio laicale alla società avrebbe potuto essere oggetto di un qualche approfondimento.
Queste notazioni nulla tolgono al valore di un'opera che mostra come la nuova generazione di studiosi del pensiero sociale della Chiesa sia ormai intellettualmente bene attrezzata e in grado di offrire significativi contributi all'autocoscienza di una Chiesa chiamata - secondo le parole dell'autore - a ricordare che «la valenza critica della ‘giustizia del Regno' non può tradursi nella forma di un'impossibile utopia cristiana, ma deve concretarsi innanzitutto nella forma del richiamo per ogni uomo alla coscienza della ‘giustizia più grande'» (p. 563).
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2008, nr. 3
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)
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