Scienza e fede
Scienza e fede camminano su strade distinte, si occupano di realtà su piani diversi. La fede ha come oggetto di riferimento Dio, una realtà che sfugge di sua natura a qualsiasi presa autonoma dell'intelletto umano; la fede conosce quindi il suo oggetto solo nella misura in cui si rivela gratuitamente all'uomo. La scienza invece si occupa delle realtà del mondo fenomenico, un mondo di cui facciamo parte (per questo siamo noi stessi oggetto, oltre che soggetto, della ricerca scientifica). Questo mondo è accessibile alla ricerca umana, ma non può dirci molto poco riguardo a quello che è il significato e il destino ultimo della nostra vita, anche se la ragione può pervenire a una certa conoscenza di Dio anche per via naturale. La scienza poi - a meno di oltrepassare il suo ambito di ricerca - è tale da non poter fondare se stessa (e, a tale scopo, abbisogna della riflessione della filosofia e della teologia). Radicalmente diversi sono anche i metodi di indagine: la scienza è governata dall'ubbidienza alla realtà del mondo, quindi dalla sua esplorazione, dall'elaborazione di ipotesi esplicative sempre in qualche modo provvisorie, e poi dalla verifica (o eventualmente dalla falsificazione) sperimentale. Questa radicale distinzione di oggetto e di metodo dovrebbe precludere al sapere scientifico ogni incursione nel campo della fede, e ai testimoni e maestri della fede qualsiasi presa di posizione di carattere scientifico. La separazione dei campi tra il sapere scientifico e quello religioso non è qualcosa di facile e di garantito una volta per tutte. La fede è sempre chiamata, per un verso, a un compito di vigilanza nei confronti di un sapere tendenzialmente totalitario, come di fatto è quello della scienza; per un altro verso, è pronta ad accogliere della scienza le conquiste che procurano un maggior bene per l'uomo. Il problema si pone anzitutto per gli uomini di scienza; ma, a partire da loro tocca in qualche modo ogni credente, che deve vivere la sua fede in un mondo così profondamente segnato, negli ultimi quattro secoli, dalle vicende scientifiche. Va detto anzitutto che ogni uomo di scienza è chiamato, dalla realtà stessa delle cose, ad assumere una sua personale posizione nei confronti della fede religiosa: questa presa di posizione lo riguarda in quanto uomo, prima che in quanto uomo di scienza. Nella vita concreta delle persone (e gli scienziati non fanno eccezione) una vera neutralità nei confronti della fede è difficile: una qualsiasi forma di neutralità equivarrebbe in realtà a un rifiuto.
Ma lo scienziato non può scaricare una simile presa di posizione univocamente sulla sua professione di scienziato; essa è il prodotto di una sua scelta libera, sia pure di una libertà condizionata dalla sua globale personalità. Gli scienziati seri e onesti, così come i maestri autorevoli della fede, si attengono in genere all'impegno di questa separazione di campi e di reciproca non interferenza.
Ci sono stati e ci sono anche oggi scienziati profondamente credenti (si pensi a Galileo, Faraday, Pasteur, Enrico Levi). E se pure con forme di religiosità anche assai diverse, magari più nebulose, A. S. Eddingyon, J. Jeans ed Einstein. Noti ricercatori come J. G. Mendel (fondatore della genetica), il geologo italiano A. Stoppani, il paleontologo P. Teilhard de Chardin o il fisico atomico J. Polinghorn furono (o sono) membri del clero rispettivamente cattolico e anglicano.
Ma ci sono stati e ci sono tuttora scienziati non credenti: naturalmente non avrebbe senso il fare un confronto numerico tra i rappresentanti delle due posizioni. Anche perché a determinare scelte di vita così diverse non è stata e non è normalmente la scienza in se stessa, bensì ci sono altre istanze di natura più esistenziale, sia pratiche che teoretiche, legate alla formazione, alle esperienze personali e al clima culturale del mondo in cui vivevano o vivono.
Ma lo scienziato non può scaricare una simile presa di posizione univocamente sulla sua professione di scienziato; essa è il prodotto di una sua scelta libera, sia pure di una libertà condizionata dalla sua globale personalità. Gli scienziati seri e onesti, così come i maestri autorevoli della fede, si attengono in genere all'impegno di questa separazione di campi e di reciproca non interferenza.
Ci sono stati e ci sono anche oggi scienziati profondamente credenti (si pensi a Galileo, Faraday, Pasteur, Enrico Levi). E se pure con forme di religiosità anche assai diverse, magari più nebulose, A. S. Eddingyon, J. Jeans ed Einstein. Noti ricercatori come J. G. Mendel (fondatore della genetica), il geologo italiano A. Stoppani, il paleontologo P. Teilhard de Chardin o il fisico atomico J. Polinghorn furono (o sono) membri del clero rispettivamente cattolico e anglicano.
Ma ci sono stati e ci sono tuttora scienziati non credenti: naturalmente non avrebbe senso il fare un confronto numerico tra i rappresentanti delle due posizioni. Anche perché a determinare scelte di vita così diverse non è stata e non è normalmente la scienza in se stessa, bensì ci sono altre istanze di natura più esistenziale, sia pratiche che teoretiche, legate alla formazione, alle esperienze personali e al clima culturale del mondo in cui vivevano o vivono.
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