"Il libro incontrerà opposizioni e critiche, ma sarà difficile parlare di questi argomenti senza tenerne conto", scrive nella prefazione al volume il cardinale Martini. Gli argomenti sono i più classici, l'esistenza e l'immortalità dell'anima, il suo destino di salvezza o perdizione. Del tutto nuova è invece la trattazione, in cui scienza e filosofia assumono il ruolo di interlocutori privilegiati della teologia, configurando una fondazione del concetto di anima immortale di fronte alla coscienza laica. Criticando alcuni dogmi consolidati, il libro affronta l'interrogativo fondamentale che da sempre inquieta la mente degli uomini: se esiste e come sarà la vita dopo la morte. *** Nel suo ultimo libro Vito Mancuso , docente di Teologia moderna e contemporanea alla Facoltà di Filosofia dell’Università San Raffaele di Milano, espone quello che si può definire un moderno trattato di escatologia. In vari riferimenti sparsi nel corso dell’esposizione, egli concepisce il proprio lavoro come «costruzione di una “teologia laica”, nel senso di rigoroso discorso su Dio, tale da poter sussistere di fronte alla scienza e alla filosofia». Questo «discorso» si sviluppa nel testo, dopo la prefazione del card. Martini, nella quale egli afferma, fra l’altro, «di sentire parecchie discordanze su diversi punti», e un capitolo introduttivo sulle coordinate speculative dell’Autore di circa 50 pagine, in nove capitoli che trattano dell’esistenza dell’anima, della sua origine e immortalità, della salvezza dell’anima, della morte e del giudizio, della terna paradiso/inferno/purgatorio e infine di parusia e giudizio universale. Chiudono una Conclusione e l’indice degli autori citati. Data la mole degli argomenti trattati e lo stile enciclopedico scelto dall’Autore, è praticamente impossibile esporre sinteticamente e commentare le convinzioni, le conclusioni, le proposte, le tirate ironiche e gli stimoli disseminati nel testo . Ci limitiamo qui all’essenziale, col rischio di trascurare cose che possono essere sembrate essenziali all’Autore. Introduzione Nel lungo capitolo introduttivo egli espone uno dopo l’altro i cardini di ciò che intende sviluppare in seguito. In realtà si tratta di un insieme di convinzioni e princìpi in parte decisamente ovvi (quanto alla necessità di aderire alla verità, chi ha mai ammesso che si possa argomentare a partire da falsità o addirittura accettarle?), in parte bisognosi di molti distinguo (sembrerebbe che per l’Autore l’ultima istanza di ogni argomentazione sia l’accordo o almeno il non disaccordo con le scienze positive e ciò è ovviamente discutibile, poiché queste sono in un continuo processo autocorrettivo e spesso non prive di preconcetti e indebite estrapolazioni). Mancuso, seguendo una moda terminologica più del gergo politico e giornalistico che non filosofico, dichiara che il suo referente è la «coscienza laica», intendendo con ciò «la ricerca della verità in sé e per sé» (p. 9). Sarebbe difficile trovare qualche pensatore, dai presocratici a oggi, che abbia un differente concetto di verità: il problema è come si può arrivare alla certezza di aver raggiunto tale verità. Ma forse, come emerge da alcune allusioni, egli è convinto che chi aderisce alla fede cristiana lo faccia tacitando le difficoltà razionali o addirittura senza troppo pensare. L’Autore riassume poi diversi dati e acquisizioni scientifiche relative alla materia, alla sua equivalenza con l’energia, all’evoluzione, che egli ritiene necessario integrare con il concetto di relazione. Diverse volte, in questo capitolo e anche nei seguenti, Mancuso dice di voler essere un pensatore cattolico, un figlio della Chiesa. È perciò assai strano che egli, in un’opera che sostanzialmente vorrebbe essere di teologia, tra le premesse argomentative non faccia alcun riferimento alla metodologia dell’esegesi biblica e a quella propria della teologia cattolica. Sulle conseguenze di questa mancanza torneremo in seguito. Le ultime pagine del primo capitolo possono qui essere tralasciate sia perché difficilmente riassumibili, sia perché le necessarie critiche saranno più evidenti nelle loro conseguenze sui singoli argomenti trattati in seguito. L’«anima spirituale» Nei capitoli seguenti l’Autore espone le sue convinzioni sugli argomenti classici relativi all’anima e al suo destino finale. Innanzitutto, sempre attingendo ad autori del passato a partire dagli antichi egizi fino al recente Catechismo della Chiesa Cattolica, egli si dichiara apertis verbis per l’esistenza dell’anima spirituale nell’uomo arrivato a maturità. Va detto tuttavia che con il termine «anima spirituale» egli intende molte cose, ci pare, più legate a concetti come energia, relazione, libertà, creatività e così via, legati cioè più alla materia, o ai sensi o ancora conseguenze della presenza nell’uomo della dimensione spirituale. Molte osservazioni, derivanti dai più disparati settori della vita, sono condivisibili, altre oscure dal punto di vista concettuale. Quello che però stupisce è la completa assenza di argomenti veri e propri che dimostrino l’esistenza di quella realtà che in tutta la tradizione cristiana si è chiamata anima o spirito. Ovviamente ogni dimostrazione vale all’interno di un sistema logico predefinito; ma poiché, come si è detto, Mancuso non dichiara le sue coordinate logiche, non è possibile giudicarne le asserzioni. È ovvio che la pura assimilazione alle scienze fisico-chimiche contemporanee non potrà mai essere sufficiente allo scopo, poiché il loro oggetto formale sono i dati materiali sensibili e osservabili. Nella sistemazione classica del cattolicesimo la dimostrazione dell’esistenza dell’anima spirituale era demandata alla filosofia, quale ancilla theologiae. Dall’ovvia esistenza nell’uomo dell’intellezione e del conseguente giudizio, che sono operazioni non materiali, ma spirituali, si deduceva la necessità di un principio immateriale nell’uomo, poiché la materia non è capace di operazioni non materiali. Il supporto logico-argomentativo era dato dall’ontologia aristotelico-tomista. Quanto invece alle argomentazioni di Mancuso, non è difficile immaginare che un lettore non digiuno di logica e di filosofia le trovi vaghe e poetiche . Quanto poi al momento dell’infusione dell’anima razionale nel corpo, l’Autore, in buona sostanza, pare far sua la teoria delle formae viales, che la filosofia scolastica aveva ereditato da Aristotele, come conseguenza dell’assioma che ogni forma ha bisogno di una materia adeguatamente preparata a riceverla. Tale teoria però, oltre che per difficoltà teoretiche, è stata abbandonata dalla Chiesa cattolica, perché le operazioni vitali, vegetative e sensibili, per sostenere le quali si invocava la presenza nel feto di un’anima soltanto vegetativa e in seguito soltanto sensibile, possono essere tranquillamente attribuite fin dall’inizio all’(unica) anima razionale, come si fa in seguito nell’esistenza umana matura. A nostro parere l’applicazione dell’assioma sopra ricordato non conduce ad alcuna conclusione sicura, poiché la sproporzione ontologica dell’anima spirituale è totale nei confronti di qualsiasi tipo di materia; non è questione cioè di gradi. Su questo tema stupisce infine il silenzio di Mancuso in merito a tutta quella serie ormai ricchissima di studi sulla fisiologia del cervello per appurare se vi siano operazioni umane non spiegabili con le sole proprietà neurologiche . Notiamo infine che diverse volte nel corso dell’esposizione Mancuso attribuisce alla dottrina ecclesiale l’idea che per essa l’anima sia una sostanza, cosa assolutamente erronea: il famoso asserto per cui l’anima è forma (substantialis) corporis significa che essa non è una sostanza bensì un principium entis; la sostanza è la persona umana . L’origine dell’anima Il testo poi presenta tutto un capitolo (30 pagine) sul problema dell’origine dell’anima. Nonostante il tentativo di distanziarsi anche in questo punto dalle concezioni tradizionali (di cui egli cita tutta una serie), Mancuso in buona sostanza concorda con la dottrina ecclesiale praticamente in tutto, fatta eccezione per l’affermazione che l’anima umana viene creata direttamente da Dio. In proposito va ricordato che tale dottrina non è mai stata definita come dogma di fede; i manuali le danno la qualifica di theologice certa. L’Autore lo ammette, benché non spieghi esattamente il significato di questa nota theologica . La conseguenza di questo fatto è che la dottrina contraria (in questo caso che i genitori trasmettono l’anima al concepito) è accettabile laddove si riesca a dimostrare che le argomentazioni razionali che conducono alla necessità del suo contrario non tengono. Orbene non ci pare che questo riesca all’Autore, ma che anzi quelle classiche siano ancora valide , aggiungendo comunque che l’asserto per cui le anime sono create direttamente da Dio ha anche la funzione di sottolineare che ciò che nasce (con una fenomenologia molto varia e addirittura a volte casuale) in realtà è sempre qualcosa di per sé direttamente voluto da Dio, destinato a dialogare con lui e che quindi non rappresenta mai un progetto solamente storico o fattuale, ma eterno. Mancuso sfrutta qui una sua ricorrente convinzione che lo spirito, in quanto energia, possa derivare dalla materia e contesta l’opposizione classica tra spirito e materia, per cui l’una è il contrario dell’altra. Non è il caso di ribadire questa concezione che, una volta capiti i termini, è ovvia; il problema è che qui, e per tutto il libro, l’Autore opera con un concetto di spirito che non è quello di cui parla tutta la tradizione cristiana. Affermare infatti che esso è energia e appellarsi alla fisica einsteiniana è un’idea perlomeno bizzarra . Come può una realtà estesa, misurabile e presente anche nelle cose e negli animali, essere spirituale? D’altronde Mancuso aveva dichiarato nelle premesse la sua incondizionata adesione al pensiero evolutivo e a Teilhard de Chardin. Citando poi come esempio il noto manuale di Flick e Alszeghy, egli sostiene che nell’argomentazione tradizionale ci sarebbe un circolo vizioso; ma perlomeno nell’edizione finale di tale manuale tutto ciò è affatto assente: l’immortalità dell’anima è detta naturale fin dall’inizio, anche se ovviamente voluta da Dio e quindi, dicono i due dogmatici, può essere creata soltanto da Dio. Foriera di gravi conseguenze etiche è l’affermazione che «non c’è più (nel caso di una vita colpita da una grave malattia o da senilità acuta) l’anima razionale-spirituale» (p. 107): è chiaro che Mancuso confonde la facoltà con il suo esercizio . Immortalità e salvezza dell’anima Il quarto capitolo, di 40 pagine, è dedicato all’immortalità dell’anima. Affastellando citazioni e bons mots (a volte poco pertinenti) di pensatori e scienziati dell’antichità, del Medioevo e moderni, Mancuso arriva alla conclusione che per l’immortalità dell’anima non esistono prove (p. 123 e passim). Senza analizzare i motivi del dogma, egli si sofferma sull’esistenza o meno di un Dio personale e su problemi derivanti dalla domanda spontanea di perennità innata nell’uomo. La definizione, ribadita in tutto il corso del testo, dell’anima come energia impedisce di capire il senso delle dimostrazioni classiche e delle numerose conferme bibliche concernenti l’immortalità dello spirito umano. Non è qui il caso di contestare singole affermazioni del testo, che procede veramente a ruota libera . L’Autore ritiene necessario dedicare poi il quinto capitolo, di 37 pagine, al tema della salvezza dell’anima. Innanzitutto dichiara che tutti i contenuti veicolati dal dogma del peccato originale devono essere riformulati o abbandonati; concretamente Mancuso ritiene corretto parlare soltanto di «peccato del mondo». Prescindendo praticamente dalla teologia paolina, ma ricorrendo a Platone, Anassimandro e Bonhoeffer egli ritiene di dover «rifondare» fede e tradizioni (p. 168). Cercando allora di rispondere alla domanda se dobbiamo ancora essere salvati e se sì, da cosa e come, l’Autore spiega «da noi stessi e dalla vita disordinata (nel senso di sottoposta all’entropia)» (p. 173). Quanto al come, egli proclama che «non è la religione che salva: […] non sono i sacramenti, la Messa, i rosari, i pellegrinaggi, le indulgenze, la Bibbia» (p. 176), e oltre «non c’è alcuna esigenza di credere nella sua [cioè di Gesù] resurrezione dai morti per essere salvi» (p. 183). È ovvio che siamo agli antipodi di ciò che Paolo afferma in 1 Cor 15 e in molti altri passi. Il sesto capitolo, di 18 pagine, è dedicato a «Morte e giudizio». Anche qui Mancuso, sulla base di rudimentali richiami biblici (tra i quali manca il testo principale Gn 2,17; 3,19) definisce i dati tradizionali come contraddittori (cfr p. 189); quanto alla valenza della morte egli, in buona sostanza, va catalogato tra coloro che negano la reale problematicità della morte degli umani , posizione difforme dalla dogmatica cattolica. Sul criterio del giudizio dopo la morte, Mancuso invece di ricordare la classica formula paolina della fides caritate formata preferisce appoggiarsi a Platone, Marc’Aurelio, Pascal, Kant e Simone Weil. I quattro capitoli seguenti, più sintetici dei precedenti, riguardano paradiso, inferno, purgatorio, e parusia e giudizio universale. Anche per il paradiso, la visione beatifica e la risurrezione dei corpi l’Autore compie una completa «demitizzazione», sempre argomentando da alcuni suoi assiomi non ulteriormente discussi quali l’identità tra spirito e materia, la concezione dell’anima come energia e l’eterna validità delle leggi fisiche. Egli stabilisce perciò che la distinzione tra immortalità dell’anima e risurrezione dei corpi è «del tutto infondata» (p. 223), che la concezione per cui le anime dei defunti vivono «un letargo simile alla morte» sarebbe «oggi maggioritaria tra i teologi e ancor più tra i biblisti» (p. 214) e che «la convinzione che nessun intelletto creato può vedere l’essenza di Dio [è] la peggiore delle eresie» (p. 219), che «la credenza della risurrezione della carne appare nella sua inconsistenza fisica e teologica» (p. 225) e così via. Non è qui possibile commentare questa congerie di affermazioni anche perché le argomentazioni ora sono oscure, ora soltanto accennate sulla base di citazioni, di convinzioni e frasi di pensatori di ogni epoca. Ci limitiamo a segnalare che, in contesto escatologico, il termine «eternità» ha due significati assai diversi, soltanto analogici: se si parla di quella di Dio, essa implica l’assenza di ogni successione e di ogni distinzione tra essenza e operazioni , mentre per gli altri esseri spirituali il termine implica la perennità de iure, non solo de facto, ma non esclude la successione temporale e questo risolve alcune antinomie che Mancuso crede di rintracciare nella dogmatica cattolica . Nonostante il profluvio di autori citati, pare che Mancuso non conosca la letteratura collegata al concetto di «risurrezione nella morte», che è la più recente querelle di carattere escatologico in campo cattolico . Venendo poi a parlare dell’inferno, Mancuso dedica praticamente tutto il capitolo (ben 35 pagine) alla confutazione del dogma dell’eternità dello stesso. Anche qui, saltando da Agostino a Tommaso fino a von Balthasar, egli approda alla lapidaria affermazione per cui «parlare di eternità dell’Inferno è una contraddizione assoluta» (p. 263), oltre che poco evangelico. Si tratta dunque di scegliere tra apocatastasi e annichilazione dei reprobi: dopo aver a lungo esposto il pensiero di P. Florenskij, egli resta, per così dire, anceps, dopo aver fatto un peana dell’antinomia annunciata. Il lettore noterà la mancanza di analisi delle numerose affermazioni del Nuovo Testamento, con l’introduzione di errori teologici anche non lievi . Precisiamo qui, se fosse necessario, che la dottrina dell’apocatastasi, oltre che sempre condannata dal Magistero, è anche insostenibile fintantoché si vuol mantenere la reale libertà di ogni essere spirituale anche di fronte all’appello di Dio. Dopo aver definito il purgatorio «una salutare invenzione», Mancuso afferma che l’unica modalità che gli appare «razionalmente legittima» è di concentrarlo nell’istante della morte (p. 279). La parusia infine è da lui definita come maggiormente bisognosa di essere ripensata (cfr p. 289). In definitiva il testo sostiene che non ci sarà alcun ritorno del Gesù glorioso; le frasi corrispondenti del Nuovo Testamento sono errori di Gesù e di Paolo. Per Mancuso è semplice anche spiegare perché «Dio non è mai intervenuto direttamente nella storia» e perché «non tutta la bibbia è parola di Dio»! Conclusione Se per teologia si intende la riflessione dell’intelletto umano illuminato dalla fede sulla Sacra Scrittura e sulle definizioni della Chiesa, allora il nostro giudizio complessivo su questa opera non può che essere negativo. L’assenza quasi totale di una teologia biblica e della recente letteratura teologica non italiana, oltre all’assunzione più o meno esplicita di numerose premesse filosoficamente erronee o perlomeno fantasiose, conduce l’Autore a negare o perlomeno svuotare di significato circa una dozzina di dogmi della Chiesa cattolica. A fronte di una relativa povertà di dati autenticamente teologici, la tecnica di accumulare citazioni da tutto lo scibile umano, oltre al rischio di distorcerne il senso reale ai propri fini poiché esse fanno parte di assetti logici a volte del tutto diversi, non corrisponde affatto alla metodologia teologica tradizionale . In realtà non è facile neanche elencare tutte le matrici che Mancuso alterna e assomma nel corso dell’esposizione (platonismo, razionalismo gnostico, scientismo, eclettismo e così via): quello che comunque domina è il razionalismo convinto che di realtà di cui non si ha alcuna percezione sensibile o decisamente soprannaturali si possa discettare in analogia con le scienze fisico-biologiche. Nel contesto di notevolissima confusione sulla religione e la Chiesa tipica della cultura mediatica contemporanea, questo testo ci sembra che contribuisca ad aumentare tale confusione. L’Autore dichiara la sua disponibilità ad essere corretto: ma ciò, dato lo stile non sistematico e velleitario delle sue affermazioni, non è facile, poiché si può confutare soltanto ciò che è organicamente formulato al di dentro di un preciso assetto epistemologico. (Dal commento scritto da padre Corrado Marucci S.I., docente di Esegesi al Pontificio Istituto Orientale, e apparso sulla rivista “La Civiltà Cattolica”)
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Giampiero il 14 marzo 2008 alle 01:05 ha scritto:
Va riconosciuto a Mancuso che egli in più di qualche punto si discosta dalla dottrina ufficiale della Chiesa e non manca di criticare alcuni dei pilastri del cristianesimo tradizionale (come ad esempio la nozione di peccato, a proposito del quale sostiene che ce n’è propriamente solo uno che meriti l’Inferno: «la bestemmia contro lo Spirito», p. 232), e non si può non apprezzarlo quando, a proposito di Giordano Bruno, scrive: «Bruciandolo sul rogo, la mia Chiesa ha tolto all’Occidente la possibilità di fondare il senso della giustizia e del bene sull’ordine naturale. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti» (p. 20).
DARIO PORCARO, dariush194@vodafone.it il 24 settembre 2011 alle 23:21 ha scritto:
Un tempo le dispute teologiche venivano bruscamente zittite immolando il colpevole su pire d'acero, oggi per fortuna, dei propri convincimenti se ne può discutere, riflettere e ragionevolmente argomentare. Un merito a Mancuso va dato super partes, finalmente si torna a parlare di cristianesimo togliendo la troppa polvere che lo ha appesantito e sotto qualche aspetto opacizzato.
Ivano Imparato il 28 giugno 2012 alle 18:21 ha scritto:
Io dico solo una cosa: come siamo rovinati...
se ci sono ancora cattolici che seguono questo tipo, e che gli comprano anche libri... veramente siamo in piena crisi!!!
Tocca pregare e digiunare...e anche tanto!
Maurizio il 12 gennaio 2013 alle 01:34 ha scritto:
Non capisco come sia possibile che una persona scriva un libro come questo e altri gli diano ancora il permesso d'insegnare(?) teologia moderna e contemporanea alla Facoltà di Filosofia dell’Università San Raffaele di Milano. Mi chiedo in che dio crede... lui, e anche quelli che gli fanno lo stipendio.
Evitate di legarvi a questa schiera.
Padre Maurizio Picchedda il 19 febbraio 2013 alle 22:41 ha scritto:
Non ho ancora finito di leggere il libro,ma ad un primo pregiudizio iniziale è subentrata una piacevole scoperta: nonostante l'autore critichi alcuni pilastri della fede cristiana, noto che lo guida un vero desiderio di scoprire la verità. Apprezzo la sua sincerità. Mette in evidenza certe perplessità che molti cristiani hanno su certi dogmi. Discuterne fa solo bene. Ora continuo la lettura...
Al Da il 21 febbraio 2013 alle 15:57 ha scritto:
Un libro da cui stare moolto alla larga. In un panorama confuso che rischia di annacquare e dissipare la vera Fede professata dalla Santa Romana Chiesa, non è il caso di annoverare questo tronfio e autoreferenziale volume tra opere cattoliche di ben altro spessore sia culturale che spirituale. L'autore, è bene chiarirlo, è solo formalmente un cristiano cattolico. Quanto sostiene e insegna contraddice il Magistero e strumentalizza la Parola di Dio. Una libreria cattolica non può, con la banale scusa di favorire il pluralismo delle opinioni, esporre i fedeli e i lettori al rischio di essere ingannevolmente fuorviati dalla Verità di cui non sono depositari i singoli fedeli ma solo la Santa Madre Chiesa nella persona del Successore dell'Apostolo Pietro. VOTO: INQUALIFICABILE in quanto non cattolico
Padre Maurizio Picchedda il 22 marzo 2013 alle 22:34 ha scritto:
Finito.Deludente nell'insieme. I suoi contro dogmi non sono per niente convicenti. La sua teologia mi sembra superficiale e non fonda un bel nulla. Onestamente la sua irrisione per S. Agostino mi sebra eccessiva. Un pò di umiltà da parte dell'autore non guasterebbe. Mi tengo i miei dogmi e rimando al mittente la sua impostazione teologica, poco, per non dire per nulla convincente... Tanto fumo e niente arrosto.
Sarah Reali il 27 giugno 2022 alle 16:33 ha scritto:
Vito Mancuso mi piace molto come intellettuale. È un teologo non sempre allineato con la teologia ufficiale, proprio per questo è interessante da leggere. Offre una prospettiva diversa sulle questioni teologiche, fa molto riflettere. Il suo pensiero sull'anima spazia dal pensiero classico greco alla teologia cristiana.