La prospettiva ecclesiale nella teologia di Bruno Forte
(Studi teologici) [Copertina in carta]EAN 9788898264988
Sono numerosi gli studi che hanno messo in luce alcuni aspetti della teologia dell’attuale arcivescovo di Chieti e già professore di teologia nella Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale: la cristologia nell’orizzonte della pasqua, la riflessione trinitaria, gli aspetti filosofici e dialogici… Questo libro analizza soprattutto gli aspetti ecclesiologici o, meglio ancora, le “prospettive” ecclesiali che la riflessione teologica di Bruno Forte suggeriscono. Possiamo affermare, senza ombra di dubbio, che l’orizzonte ecclesiologico è la “matrice” della teologia di Forte. L’autore ben evidenzia tutto questo attraverso la parola “prospettiva ecclesiale”. Intendiamo il termine “matrice” nel senso di origine, causa fondamentale, criterio ispiratore. Matrice “ecclesiale” e non solamente “ecclesiologica”, nel senso che la sua teologia si sviluppa e si realizza dentro un vissuto, che è quello ecclesiale (napoletano, meridionale…). D’altra parte, ogni pensiero teologico nasce sempre, è motivato e matura all’interno di un vissuto spirituale e un’esperienza ecclesiale.
Infatti, l’origine della teologia di Forte bisogna ricercarla non solo nella tesi di dottorato (La chiesa e l’eucaristia. Per una ecclesiologia eucaristica alla luce del Vaticano II, 1975). Anzi, tale tesi è lo sviluppo, da un lato, di una riflessione già germinata negli anni precedenti sul rapporto tra chiesa ed eucaristia, e che faceva eco a una rinnovata ecclesiologia postconciliare che recuperava l’aspetto sacramentale-eucaristico su quello giuridico, e dall’altro fa riferimento, ed è quasi un’eco riflessa, di tutto un vissuto ecclesiale che riconduce a due maestri eccezionali. Il primo, nel campo pastorale e nel più ampio contesto del rinnovamento conciliare: il cardinale Corrado Ursi (il cui motto – Grana multa una hostia – richiamava la spiritualità eucaristicoecclesiale, così come la sua azione pastorale è stata fortemente improntata a un’ecclesiologia eucaristica e di comunione), e il secondo è Ciriaco Scanzillo, professore di ecclesiologia e poi vescovo che accompagnò la riforma conciliare con il rinnovamento dell’insegnamento del trattato di ecclesiologia nelle aule della facoltà dove in seguito lo stesso Forte insegnerà (ricordiamo il suo volume La chiesa sacramento di comunione. Commento teologico alla Lumen gentium, 1987). Ma si pensi anche all’amicizia con Max Thurian, cofondatore della Comunità di Taizé e poi presbitero napoletano.
In secondo luogo, la matrice ecclesiologica si manifesta attraverso il senso del “fare teologia” di Forte a servizio della chiesa. Un sapere “critico” quello della teologia, come lo intenderà fin dagli inizi, a servizio della fede e nella fede, ma sempre cum ecclesia: la sua teologia ha, cioè, un forte senso ecclesiale, tale che si svilupperà, come ben mette in luce Gaetano Salvati, soprattutto nel secondo capitolo, oltre che nella tematica dell’ecclesiologia eucaristica, anche nei temi del laicato e dell’ecumenismo (altrettanti poli di grande interesse di un’ecclesiologia non solo scritta a tavolino, ma anche vissuta: sono noti i contributi di Forte su chiesa e laicità, il suo apporto al Convegno ecclesiale di Loreto nel 1985 e il suo impegno ecumenico).
In terzo luogo, la matrice ecclesiale/ecclesiologica della teologia di Bruno Forte si manifesta nell’orizzonte della prassi, in un duplice momento. Il primo, in ordine alla riflessione teologica: la prassi è assunta nella riflessione critica della fede e a essa è orientata. Qui è il teologo professore che emerge. Il secondo, in ordine al ministero: ciò che viene prodotto a livello di riflessione è poi mediato a livello dell’azione pastorale. O, meglio ancora, il vissuto quotidiano viene portato alla riflessione e da essa orientato. Questo accadrà prima a Napoli e poi soprattutto a Chieti, come pastore di quella diocesi.
A quest’iniziale matrice ecclesiale/ecclesiologica della riflessione teologica di Forte, che farà da cornice e sfondo di tutta la sua produzione teologica, si aggiungerà, poi, un “punto di vista focale” fortemente cristologico e trinitario. Qui sarà importante l’esperienza di Tübingen e l’incontro con Walter Kasper e Jürgen Moltmann, oltre che, in genere, con l’afflato che caratterizzava quella scuola. L’indirizzo della scuola tedesca di Tübingen è stato sintetizzato in tre prospettive: l’ecclesialità della teologia, la sua scientificità (la storicità della rivelazione) e l’apertura al mondo. Salvati dice bene quando afferma che Forte «a Tübingen scopre il tema della storia» (p. 36). La scuola tedesca era infatti orientata tutta a scoprire e riflettere sul problema del rapporto tra storia e salvezza e ne aveva cercato la soluzione nella storicità della rivelazione. E continua: «Il “senso della storia”, maturato in Germania, porta il nostro professore a considerare Gesù il centro del mondo e l’inizio di una nuova direzione della storia. Gesù non è più considerato, come nel primo Barth, una tangente che non tocca mai il mondo. Egli “veste” la storia umana di divino. Seguendo questo nuovo programma teologico, Forte ripensa la teologia secondo uno schema che sarà presente in tutte le sue opere: “la storia trinitaria di Dio si fa presente in modo unico e pieno alla storia degli uomini, e questa entra nella storia umana”» (p. 37). Si assiste, dunque, nella teologia di Forte a una sua convergenza cristologico-trinitaria. Questo è l’aspetto, a suo tempo più originale della sua riflessione, che venne salutato con favore con la pubblicazione della sua cristologia (Gesù di Nazaret. Storia di Dio, Dio della storia, 1981).
Bruno Forte ha declinato il “criterio di ecclesialità” della sua teologia soprattutto in riferimento alla meridionalità e, dunque, a una contestualizzazione precisa. Così egli scrive: «L’ecclesialità della teologia meridionale si offre nel forte legame che essa ha sempre testimoniato tra la riflessione critica della fede e il vissuto spirituale e pastorale: il senso di responsabilità nei confronti del popolo di Dio si è unito nei grandi maestri all’esperienza umile e adorante del Mistero e alla passione del servizio e dell’annuncio. Questo profondo radicamento ecclesiale ed esperienziale si è coniugato alla continua attenzione al rigore scientifico, all’impegno attivo, serio, perseverante dell’intelligenza; fin da quando l’Aquinate assunse l’epistemologia aristotelica nella fondazione dello statuto critico della teologia, il primato dell’ascolto del Dio vivo è stato vissuto unitamente all’impiego di tutte le risorse della ragione. Questa duplice fedeltà al Dio che si rivela e all’intelligenza dell’uomo che a lui si apre costituisce oggi più che mai un compito e una sfida, cui non è possibile sottrarsi, proprio di fronte alle seduzioni del cosiddetto “pensiero debole”, che spesso tradisce soltanto debolezza del pensiero e perfino abdicazione della ragione» (La teologia nel Sud d’Italia, in Asprenas 43 [1996] 191). Tale criterio dell’ecclesialità ci pare potersi sviluppare in tre punti nella teologia di Forte. Nei primi due seguiamo il dettato dell’autore del volume che presentiamo, nell’ultimo integriamo, a nostro giudizio, tale prospettiva. Il primo punto riguarda l’ethos ecclesiale, che è ethos sacramentale. Non è autentica una riflessione teologica se non nasce dalla prassi e a essa è orientata. Afferma molto bene Salvati: «La riflessione sulla ecclesia de Trinitate conduce Forte a pensare una ecclesia ex hominibus. Nell’evento dell’incarnazione, la Trinità ha scelto la chiesa quale luogo e strumento di salvezza, convocandola, inabitandola e inviandola ad gentes. La chiesa, chiamata dal Padre, redenta dal Figlio e santificata dallo Spirito, ha il compito di annunciare e realizzare nel tempo una fraternità d’amore. È convocata a testimoniare la fede nell’Eterno; a rendere ragione, cioè, della verità di una nuova antropologia, “che è insieme dono e conquista, liberazione e dramma”: mistero di Dio che ha avuto tempo per l’uomo» (p. 107). Per Forte, vivere l’esperienza di chiesa significa «uscire dalle proprie solitudini e andare incontro a tutti; evangelizzare rispettando le opinioni di ciascuno e amando tutti […]. Vivere l’esperienza di ecclesialità significa testimoniare al mondo che Gesù di Nazaret è l’unico modello, libero e liberante, per un’antropologia dell’incontro con l’altrove, che non annienta l’uomo e il suo desiderio dell’Eterno: ma dona identità, pienezza di vita» (ivi). Perciò, «la libera e gratuita autocomunicazione del Dio trinitario all’uomo […] viene a compiersi nella chiesa attraverso delle mediazioni che sono necessariamente storiche. L’Eterno che si fa storia consente al qui e ora della condizione umana di diventare dimora di Dio. L’insieme delle mediazioni storiche è l’economia sacramentale» (p. 114).
Il secondo riguarda la dimensione pastorale. L’attenzione alla prassi e al rinnovamento pastorale è messa in luce negli spunti che l’autore offre nelle pagine iniziali (cf. pp. 45ss), leggendo non solo le introduzioni ai suoi saggi, dove risalta la ricerca del dialogo con l’altro ma anche la profonda passione per l’uomo. L’ecclesialità, perciò, acquista una specifica tensione, quella pastorale. Come afferma Salvati, e come concorda anche lo stesso Forte nella Prefazione, l’impianto della sua opera teologica non cambia con la nomina ad arcivescovo di Chieti: «Il mistero trinitario-ecclesiale è ora attualizzato nella pienezza del sacerdozio, nelle attività pastorali e nella preghiera […] con una responsabilità maggiore» (p. 9). Qui si dovrebbero leggere le altre opere e gli altri scritti che nel tempo Bruno Forte ha prodotto in quanto vescovo, ma anche tutta la sua produzione teologica che affianca il servizio alla chiesa universale per l’importante compito ricoperto al Sinodo dei Vescovi, sia per ciò che riguarda la famiglia che i giovani, la vocazione e il discernimento, argomento del prossimo Sinodo.
Infine, e siamo al terzo punto, Forte ha inteso sempre più declinare la propria riflessione teologica nell’orizzonte ecclesiale quanto più ampio del dialogo con i non credenti. Perciò, la sua teologia è tesa sempre a incontrare l’altro per suscitare nel suo cuore la profonda nostalgia di Dio. Se per Forte il credente è colui che continuamente si converte a Dio, colui che continuamente gli consegna il cuore, cominciando ogni giorno, in modo nuovo, la lotta per credere, sperare e amare (egli ama dire che “il credente è un ateo che ogni giorno si sforza di cominciare a credere”), il non credente è colui che pure vive la lotta del credere perché, pur avendo cercato, non ha trovato e patisce il dolore dell’assenza di Dio. Il non credente pensoso (intelligente) è colui che dice il “no” alla negligenza della fede, il “no” alla fede indolente, statica e abitudinaria, fatta di intolleranze comode, che si difende condannando perché non sa vivere la sofferenza d’amore. Perciò, il non credente pensoso (non negligente e non prigioniero di pregiudizi ideologici) non potrà non avvertire il dolore dell’assenza, non potrà non mettersi in ascolto di chi fa esperienza dell’invisibile Presenza e se ne lascia totalmente segnare. Ecco, allora, il senso di un dialogo vero e autentico con le ragioni della non credenza che un sapere teologico fortemente caratterizzato ecclesialmente deve saper mettere in atto.
Tratto dalla rivista "Aprenas" n. 2-4/2017
(http://www.pftim.it)
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