Sentieri di Pastorale giovanile
-Generare giovani cristiani nella cultura del desiderio
EAN 9788898080205
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Per scrivere oggi sui giovani e sugli adolescenti occorre tanta passione ed entusiasmo pastorale e una speranza infinita. Per noi adulti rappresentano, in genere, un peso scomodo e un problema ingombrante. Tanto vale continuare a percorrere sentieri di paludante giovanilismo: “bisogna diventare amici dei ragazzi, entrare nel loro mondo, assecondare le loro richieste”.
L’autore del libro, il vescovo di Livorno Simone Giusti, è coraggioso e propone altro. Ci rivela il cuore di un prete e di un vescovo che sugli adolescenti e sui giovani ha investito sempre il meglio di sé. Ai ragazzi crede sul serio, perché non fa sconti sulla verità del tempo che viviamo, sulle inconsistenze che tanta educazione contrabbanda come prodotto genuino. Pensando a loro non ha paura di pensare a Gesù Cristo. Non lo convince la facile persuasione suscitata da promesse alienanti e senza prospettive. Il Vangelo è esigente. Perché Gesù è esigente. Altrimenti come potrebbe essere appagante risposta che inquieta e stimola?
Decifrando le parole chiave del libro, l’autore è riuscito a evidenziare in otto capitoli la figura dell’educatore, chiamato ad assumere la capacità di generare alla fede i ragazzi e condurli all’incontro con il Signore. Generare è accorgersi con stupore di una nuova vita e poi di un’altra e di un’altra ancora. Custodire con delicata premura quella vita.
Nel primo capitolo (Educare nella cultura del desiderio, pp. 9-36) l’autore ha evidenziato l’importanza di ricercare Dio, nella vita di ogni uomo, specialmente tra i giovani: è sempre un evento personale ma necessita di un qualcuno che ponga dei punti interrogativi, che faccia intravedere la luce, dov’è la luce, dov’è il bello, dov’è la gioia: esige l’evangelizzazione. I giovani oggi cercano l’amore ma trovano piacere, cercano l’amore ma trovano un po’ di compagnia, cercano l’amore ma trovano un po’ di solidarietà, ma cercano l’amore! Non si accontentano di surrogati, né di un po’ di eros. Infatti, l’uomo è un assetato d’amore e giammai è sazio d’amore, mai! La persona ha dentro di sé quest’orientamento profondo: un cuore che lo fa infaticabile ricercatore d’amore.
Nel secondo capitolo (Educare tumultuosi, irrequieti, splendidi adolescenti, pp. 37-54) viene messo in evidenza che i giovani, non dormono, sono nottambuli. E anche quando dormono, in ore sfasate, sono sempre vigili e osservatori implacabili della nostra testimonianza. Questo ci fa comprendere che non hanno perso le antenne della fede, ma vivono il distacco dall’universo tradizionale religioso che la Chiesa cattolica rappresenta: clericale e autoreferenziale. Il problema, insomma, non è tanto il fatto che i ragazzi non avrebbero più antenne per ricevere il messaggio evangelico trasmesso dalla chiesa, ma è piuttosto quest’ultima che ha ormai antenne arrugginite, incapace di veicolare ai giovani l’annuncio evangelico. I giovani sono stati definiti la prima generazione incredula, ma forse qualcosa sta cambiando: sono antenne molto sensibili alla fede. Pertanto, occorre usare il linguaggio giusto.
Il terzo capitolo (Educare alla bellezza: com’è bello stare qui Signore, pp. 55-67) evidenzia come il giovane domanda aiuto per definirsi e per elaborare il proprio progetto di vita fondato sui valori, ma non vuol essere destinatario bensì protagonista di questo percorso. Costruisce la propria identità umana e cristiana aprendosi a una rete di rapporti: famiglia, scuola, educatori, sacerdoti. Ecco che entra in gioco la catechesi dove sono protagonisti non solo i ragazzi ma anche i genitori. Gli educatori devono essere capaci nell’aiutare ogni giovane a scoprire le meraviglie della presenza di Dio, educarli a cogliere la sua bellezza, la vita, il senso delle cose. Infatti, solo gli adolescenti che hanno fatto esperienza della bellezza di Dio potranno orientarsi nel mondo e riconoscere il Signore tra mille volti e voci e radicarsi nella fede.
Inoltre, nel quarto capitolo (La via mistica per una rinnovata esperienza educativa, pp. 69-84) monsignor Giusti lancia una sfida: si può desiderare, si può amare restando sé stessi, oggi, con gli amici tatuati e malconci, investendo su se stessi a “caro prezzo”, senza essere fotocopie? Agli adolescenti che cercano la bellezza davanti allo specchio, prospetta la bellezza che scaturisce, inebriante e irresistibile, dallo stare con il Signore. Percorrendo con lui un itinerario di spiritualità a portata di mano, se non resta prudentemente chiuso nei cassetti dei preti e degli animatori, per paura che si metta a rischio la propria popolarità agli occhi dei ragazzi.
Nel quinto capitolo (È oggi possibile una pastorale giovanile popolare?, pp. 85-109), il vescovo Simone pone alla comunità educante domande destabilizzanti, offrendo importanti indicazioni: quanto spendiamo sugli animatori? Quanto ci sta a cuore la loro maturità umana e cristiana? Quanto utilizziamo le indicazioni dell’Iniziazione cristiana che ci portano a festeggiare la maturità nella fede degli adolescenti? È importante chiedere ai genitori di partecipare a un appropriato cammino di formazione, parallelo a quello dei loro figli. Inoltre li si aiuterà nel compito educativo coinvolgendo tutta la comunità, specialmente i catechisti, e con il contributo di altri soggetti ecclesiali, come associazioni e movimenti. Inoltre le parrocchie sono chiamate a dedicare per lo più attenzione ai fanciulli: devono passare a una cura più diretta delle famiglie, per sostenere la missione. L’iniziazione cristiana richiede la partecipazione e il coinvolgimento dei genitori come ha ribadito papa Francesco nell’Amoris laetitia. Il coinvolgimento dei genitori nell’iniziazione cristiana dei figli, sia pure con modalità e tempi diverse tra parrocchie, si sta rivelando il frutto più grande e promettente del rinnovamento in atto dell’educazione alla fede delle nuove generazioni. Occorre richiedere ai giovani atteggiamenti che dicono la loro vitale adesione a Cristo e la scelta del loro cuore per Gesù. Soprattutto agli adolescenti affinché chiedendo di celebrare il sacramento della confermazione, esso diventi il tempo della loro prima, piccola, incerta ma consapevole, scelta per Cristo e la sua chiesa. Per realizzarlo è necessario sviluppare un cammino mistagogico che accompagni ogni ragazzo all’incontro con Cristo.
Il sesto capitolo (Animatori motivati e formati, pp. 111-142) focalizza l’attenzione sul ruolo decisivo della parrocchia. Esso è un segno e un luogo rinnovato di evangelizzazione: uno strumento per dire oggi la parola di Dio che salva; per dire ancora, con fermezza, pazienza e simpatia col nostro tempo, le ragioni della fede in Cristo Gesù; per accompagnare ogni persona a scoprire la propria filiazione divina. Inoltre deve essere assillata dal bisogno di avere animatori “motivati e formati”, attraverso un cammino che ha come fondamento l’essere dell’animatore, come consistenza, la spiritualità, come meta l’educare con il cuore di Dio. Ogni animatore è chiamato a percorrere un cammino spirituale personale e comunitario, mettendo al centro della propria vita la Parola, le celebrazioni comunitarie o altre forme di preghiera; deve sentire il bisogno di una guida spirituale che lo affianchi in ogni attimo della sua vita di fede; vivere esperienze forti di formazione (esempi: campi scuola, esperienze di carità, esercizi spirituali); conoscere le realtà dove si opera per ben interagire con i ragazzi.
Nel settimo capitolo (Educare con esperienze di fede, pp. 143-164) l’autore mette in evidenza che non esiste crescita nella fede senza esperienza di fede, da vivere nei contesti nuovi, attraverso una comunicazione comprensibile, attuale, anche “spregiudicata”, purché si annunci il Vangelo di Gesù morto e risorto. È importante proporre ai giovani un’esperienza di incontro personale con Cristo e la sua chiesa. Se c’è uno sforzo da compiere nell’attuale struttura pastorale delle parrocchie, è quello di uscire dall’occasionalità della proposta sacramentale, per approdare a un organico processo di crescita che miri a formare nei soggetti l’auspicata mentalità di fede e una vera relazione tra fede e vita, senza separatismi e senza visioni contradditorie. Si tratta di una nuova iniziazione, che superi i limiti della ripetizione tradizionale dei riti e si collochi come un’autentica proposta di coinvolgimento per più anni, fino alla presa di coscienza personale di che cosa sia il cristianesimo e di come vivere responsabilmente la sua visione di vita nella propria storia umana.
Infatti, la mancanza di un apprendistato di vita cristiana impedisce di far emergere la serietà del processo di crescita nella fede e l’immagine di una chiesa, madre di uomini responsabili. Perciò tale cammino è nello stesso tempo unico per tutti, ma differenziato nei membri, tenendo conto delle età e delle condizioni particolari dei singoli. Ciò significa che esiste all’interno della comunità ecclesiale una reciprocità nel cammino di fede: gli adulti sono chiamati a diventare fanciulli secondo l’appello del Vangelo; i fanciulli sono chiamati a diventare adulti nella fede, fino a essere testimoni, lo Spirito rende adulti, e capaci nel testimoniare Gesù Cristo agli altri.
Pertanto, riflettere sull’educare con il cuore di Dio è necessariamente riflettere sulla spiritualità. Riflettere sulla spiritualità è quindi ragionare intorno al tema dell’identità personale. Possedere una spiritualità cristiana è avere un’identità personale “risignificata” attorno a Gesù Cristo. Ovvero una persona è “uomo spirituale”, quando inizia a conoscere il cuore di Dio, ricomprende e riorganizza la sua vita a partire dalla decisione totale per Gesù Cristo e per la sua causa. Come ci ricorda San Giovanni Paolo II, nella Redemptoris missio, “la fede si accresce donandola”, è far maturare e arricchire la propria identità.
Nell’ultimo capitolo (L’educazione necessita di un progetto educativo e di pazienza, pp. 165-185) l’autore definisce con chiarezza il profilo dell’educatore. Egli deve essere capace di comprendere due verità importanti: la fede è un dono di Dio ma la risposta di fede dell’uomo a Dio ha bisogno di educazione, necessita di essere aiutata a svilupparsi e a farsi piena, consapevole, sempre più coinvolgente. Inoltre deve avere coraggio nell’annunciare l’amore del Padre per tutti i suoi figli. Tale verità della fede gli permetterà di non cercare mai nessuna diretta gratificazione dal servizio che svolge, ma lo condurrà a non strumentalizzare i ragazzi per suoi secondi fini, lo orienterà a promuovere pienamente le personalità dei ragazzi e a non voler mai farne esseri a sua immagine e somiglianza: non è lui il modello ma Cristo.
Un educatore può dirsi veramente tale solo quando ha fatto incontrare i suoi ragazzi con Gesù. Solo se incontrato e sperimentato come persona unica, significativa e imperdibile, potrà nascere una sequela Christi. E quando li avremo condotti al Signore occorre lasciare che lui parli, lui agisca; lui sa dove condurre ciascuno, lui è il vero educatore, lui solo conosce la strada di tutti. Dopo aver iniziato a sperimentare l’incontro con Cristo i giovani sono invitati a essere apostoli della gioia donando quanto lui gratuitamente ha dato a loro (entusiasmo, speranza, capacità d’iniziativa, gioia, innocenza, fede, bontà, amore…), e testimoni viventi di Cristo tra i compagni vincendo le seduzioni ingannevoli dei sensi, dell’orgoglio, dell’egoismo, dell’odio. Inoltre hanno il compito di creare occasioni per annunciare, parlare esplicitamente di Gesù affinché egli sia conosciuto e non dimenticato. Infine non devono limitare la loro azione alla parrocchia ma aprirsi ed espandersi ovunque per raggiungere i coetanei più soli e lontani e per essere, nei vari ambienti, presenza di Cristo. Ma per realizzare tutto ciò i ragazzi hanno bisogno di modelli culturali e concreti stili di vita. Questa è certamente fondata sulla relazione ma, a completamento dell’opera educativa, necessita di figure reali in cui identificarsi o a cui riferirsi per uscire dall’indistinto del desiderio o dell’ideale.
Oggi la spinta educativa non è scontata in nessun ambiente, è piuttosto una scelta cosciente. Una comunità che non si rende abitabile agli adolescenti è la negazione dell’educazione. Il primo passo, infatti, sta nel restituire all’adolescente il sentirsi di casa. È importante iniziare seriamente i cammini di fede. Alla radice di tutto ciò deve stare la convinzione della presenza operante di Dio nell’impegno educativo, che ce la fa percepire come paternità. La professione della pedagogia di Dio ci anima: egli vuol condividere la sua vita con i giovani. Con loro vuol diffondere il suo Regno tra gli uomini. E la certezza che in loro Dio ha posto germi di vita nuova, ci spinge a renderli consapevoli di tale ricchezza e a farci compagni di viaggio, perché in tutti si possa sviluppare la vita in pienezza.
Inoltre ogni ragazzo sente l’esigenza di essere accompagnato con un’altra persona per farsi aiutare, ascoltare e chiarire i propri dubbi. Questo mira a rendere il giovane capace di vivere non sola la relazione con l’accompagnatore ma anche quella con sé, con gli altri, con Dio e con la realtà intera come evento educativo-formativo. Pertanto si deve aprire e far venir fuori quel mondo spesso caotico che batte dentro con le sue ambizioni e frustrazioni, di confessare la verità dei sentimenti. È un cammino di crescita nella luce dello Spirito, dove non posso mettermi delle maschere e pormi di fronte la persona che mi accompagna nella menzogna. È fondamentale che ogni giovane, impari a scrutarsi e non abbia paura di riconoscere i suoi sentimenti e le reali motivazioni del suo agire; egli deve prepararsi a ogni incontro con un esame di coscienza in cui evidenziare i problemi e un quadro realistico di sé, così da poter offrire una collaborazione reale nell’interesse della sua crescita, in modo da aiutarlo, durante la sua maturazione, a essere capace di discernere, scoprire il progetto che Dio ha riservato su ciascuno di loro.
A conclusione di quanto racconta monsignor Giusti sul profilo dell’educatore, risulta evidente che incontrare i giovani oggi solo nelle classiche riunioni settimanali non basta. I campi parrocchiali sono disseminati di adolescenti “morti di noia”, per nulla incantati dal “nostro Gesù”, sempre lo stesso.
Occorre, pertanto, narrare la fede ai giovani con un linguaggio modulato, in una comunicazione di amicizia, la quale diviene sempre più una comunicazione di spirito, dove abbondano i segni della comunione. Questo significa curare le dinamiche di gruppo; avere a cuore che la relazione educativa educatore-ragazzo, educatore-gruppo, sia positiva; avere il coraggio continuo di mettersi in discussione; coltivare il senso di appartenenza al gruppo, dove tutti debbono sentirsi parte viva ed essenziale; vivere esperienze educative capaci di far vibrare i ragazzi, idonee a parlare al loro cuore e alla loro intelligenza, anche a livello simbolico come quello della natura, della solitudine, del servizio dei poveri, della vita comune, della creatività, della responsabilità, dell’amore vissuto in un clima di preghiera; preoccuparsi che la comunicazione della fede non abbia un solo destinatario, il gruppo, ma con esso i singoli ragazzi; abilitare i ragazzi alla missione cioè nel comunicare agli altri l’esperienza di aver incontrato l’Amore nella propria vita.
Tratto dalla rivista "Aprenas" n. 1-2/2018
(http://www.pftim.it)
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