Il testo in esame costituisce il nono Quaderno di Filosofia (Nuova serie), realizzato dalla Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, Sezione S. Tommaso d’Aquino – Napoli, ed è costituito da sei contributi, che saranno brevemente presi in esame; si differenziano notevolmente per mole; entrando nello specifico, i primi due risultano assai più ponderosi dei successivi. Gli argomenti appaiono essere variegati, pur legati da un filo rosso che verte sul concetto di natura; toccano temi attuali inerenti alla bioetica, in particolare sul piano teoretico. Il volume non presenta bibliografia finale, neppure per i singoli interventi, come per altro è frequente in pubblicazioni analoghe; vi si può ovviare con quella riportata nelle note.
La finalità dei suddetti quaderni intende «presentare ad un più vasto pubblico le riflessioni di docenti e collaboratori nell’orizzonte dei rapporti tra neuroscienze, bioetica e antropologia cristiana» (p. 5); però, è implicitamente richiesta una buona preparazione nel settore, in mancanza della quale la lettura risulterà di non facile comprensione. Per contro, sono “quaderni” universitari e, quindi, verosimilmente rivolti a studenti e studiosi di quell’ambito; ovviamente, in contrasto con quanto affermato nella citazione di cui sopra.
Il primo contributo: P. Giustiniani, Bioetica cattolica e bioetica laica. Nessun problema? (pp. 11-54); esamina un argomento di notevole attualità ed interesse. Presenta una bibliografia aggiornata, ovviamente in nota, su di un argomento oggi molto dibattuto. Purtroppo, il linguaggio utilizzato risulta essere di non facile comprensione, specie per i non addetti ai lavori, ma di ciò è stato già detto poco sopra. Il contributo può essere sommariamente suddiviso in due parti: la prima, in cui l’autore affronta il tema della modernità e della laicità, ad essa collegata, prendendo spunto da alcuni testi e sviluppandone talune considerazioni. La seconda parte (a grandi linee, partendo dal sesto paragrafo) risulta essere assai più stimolante, con riflessioni sui motivi di contrasto tra i sostenitori delle due diverse posizioni. In definitiva, sarebbe davvero auspicabile, come presentato in forma interrogativa nell’ultimo paragrafo, che ci si orientasse verso «una bioetica senz’aggettivi».
Troppo spesso il conflitto tra i due aggettivi in questione (“cattolica” e “laica”) si pone piuttosto su un piano di contrapposizione ideologica (ed in quanto tale scarsamente scientifica), che non su quello della comune ricerca della verità; la quale dovrebbe invece caratterizzare la scienza in quanto tale. Infine, giustamente l’autore sottolinea che «il vero motivo di tensione [consiste nella] configurazione che della “persona”, espressione di una “natura umana”, si riuscirà a elaborare da parte delle ancora troppo antitetiche prospettive bioetiche» (p. 54). Il secondo contributo: R. Gallinaro, Il concetto di “natura” fra normatività etica e fondazione teoretica (pp. 57-114); è il più ampio e presenta una ricerca interessante sul concetto di “natura”, dalle origini greche, fino ad oggi; epoca in cui vari studiosi sollevano difficoltà nei suoi confronti.
L’autore fa notare «che una certa ambiguità semantica […] è precocemente presente sin dai primi utilizzi di cui si ha notizia. […] La natura (physis), nasce in quanto concetto ritenuto capace di esprimere il principio dinamico dell’identità di tutto ciò che esiste» (pp. 63-64); ma rapidamente «è stata interpretata, in primo luogo, come la costituzione delle cose […] in secondo luogo, come quel principio dinamico» (p. 64). Quindi, pone giustamente in risalto la tensione che, all’interno di quella nozione, si estrinseca tra una concezione statica ed una dinamica, quest’ultima certamente più adeguata alla sensibilità moderna; naturalmente, senza con ciò voler ignorare l’importanza che la suddetta staticità comporti a livello ontologico.
Come dire che le due dimensioni non si elidono a vicenda, bensì sono entrambe necessarie ed, in qualche modo, sono l’una strutturale all’altra. Per cui «natura è simultaneamente l’energia immanente di ciò che nasce e cresce ma anche l’identità dell’ente maturato in questo moto d’essere. Essa accoglie e sintetizza il tempo dispiegato (aion), l’insorgenza presente del tempo raccolto (kairos), attraverso lo scorrere del tempo a fasi successive (kronos)» (p. 67). Esposizione sintetica e ricca di profonde suggestioni, capaci di ulteriori sviluppi ed approfondimenti nell’ambito di un concetto, non di rado tarpato nelle sue davvero grandi possibilità. Non sarà proprio nella suddetta riduttiva visione di una nozione dalla portata, invece, così vasta, che si possono scovare le radici di quell’odierna scarsa fiducia riposta nel termine “natura”?
L’ultimo paragrafo, laddove l’autore «[azzarda] una [sua] personale rilettura della coppia di concetti di physis e di legge naturale» (p. 99), purtroppo, risulta meno chiaro. Il terzo contributo: R. Sinno, Scienza e tecnologia nell’azione dell’uomo nella natura (pp. 117-129); il grande sviluppo della tecnologia, nel nostro tempo, comporta un mutato rapporto, anche in confronto con il passato relativamente prossimo, della scienza con la natura. A seguito di quanto già osservato, nel contributo precedente, l’autore scrive: «Il lento processo di separazione, della scienza rispetto alla natura, prende origine dal momento in cui si è affermato il concetto di una sua univoca decifrazione, attraverso la comprensione delle leggi universali che la regolano» (p. 119).
Ne deriva la necessità di adeguate disposizioni circa l’utilizzo delle possibilità che la ricerca odierna ci mette a disposizione, al fine di evitarne, su un fronte, il soffocamento oppure, sul fronte opposto, il dominio incontrastato. Il quarto contributo: M. Farisco, Ancora l’umano dopo l’uomo? (pp. 133-152), affronta essenzialmente problemi legati alla concezione del cosiddetto Posthuman, nell’epoca del dominio della tecnica; terminando, nell’ultimo paragrafo, con una serie di domande, una delle quali dètta, per rimanere nell’alveo in cui è inserito il volume: «è oggi ancora possibile parlare di “natura umana”?». Il quinto contributo: F. Del Pizzo, Profili biopolitici della bioetica (pp. 155-176); in cui si prendono in considerazione le inevitabili ricadute della bioetica sulla politica.
L’autore pone in luce «l’esigenza di una riflessione normativa sulle questioni pratiche» (p. 155) ed evidenzia che «pur mantenendo ferma la prospettiva del giudizio morale, la biopolitica sposta il discorso sui fondamenti dell’ordinamento politico-giuridico, in chiave bíosociale» (pp. 155-156). A tale proposito, il secondo paragrafo porta il titolo: «La biopolica dai fatti ai valori?»; il richiamo ad una sempre maggiore attenzione ai valori, in un mondo in cui la tecnica può facilmente prendere il sopravvento, risulta essere quanto mai importante ed attuale. Il sesto contributo: C. Punzo, Discutere di bioetica in prospettiva femminile (pp. 179-194); senza nulla togliere alla «prospettiva femminile», è la parte che, per taluni versi, meno si inserisce nel quadro generale dell’opera; in quanto se è vero che la dimensione femminile non può essere ignorata, e ben fa l’autrice a porlo in evidenza, è altrettanto vero che il concetto di natura non può essere declinato in termini elusivamente né maschili né femminili.
Detto ciò, si deve evidenziare che vi sono spunti degni di interesse; quale, ad esempio, la giusta sottolineatura «che mentre si moltiplicano le possibilità di comunicazione in tutte le forme, non si registra una crescita parallela della comunicazione effettiva e della cordiale intesa tra le persone e le Istituzioni» (p. 183). La “comunicazione” reale,ed anche affettiva, a cui l’autrice in qualche modo introduce, costituisce un fattore per nulla marginale nell’affrontare, e risolvere, molti quesiti sul fronte bioetico: quesiti che affondano le loro radici in una distanza tra persone reali, concrete, vive. Si deve sottolineare che le suddette “Istituzioni” debbono necessariamente far capo ad altre persone; infatti, se si fa riferimento magari ad un ministero, esso non è un oggetto, ma una struttura costituita da esseri umani, che hanno (avrebbero?) per funzione proprio l’occuparsi di altri esseri umani: come loro, più bisognosi di loro.
Ad esempio, quanta parte della questione dell’eutanasia, con tutto ciò che ruota attorno a questo termine, si fonda su un rifiuto del sano nei confronti del malato, di fatto non curabile? Evidentemente l’argomento sarebbe vasto e sicuramente eccessivo per questa sede, ma il testo in questione può essere occasione di riflessione in merito.
Tratto dalla rivista Lateranum n.2/2011
(http://www.pul.it)
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