Opere complete vol.21
-Introduzione all'ateismo moderno
EAN 9788889231531
Non si può non accogliere con favore la ripubblicazione nell’edizione critica delle Opere Complete di C. Fabro – curata dal Progetto Cultura Cornelio Fabro dell’Istituto del Verbo Incarnato e promossa dal CNR – di questo titolo apparso in prima edizione nel 1964 e in seconda edizione nel 1969 presso l’Editrice Studium di Roma. Probabilmente Introduzione all’ateismo moderno rappresenta l’opera cardine se non la più importante del pensiero di Fabro, quanto meno della sua interpretazione della modernità, da lui giudicata irredimibilmente atea, rea di aver portato tanto alla negazione di Dio quanto alla dispersione radicale dell’uomo, privato in maniera definitiva di ogni orizzonte di trascendenza e quindi della possibilità di una salvezza già solo da invocare. Certo l’interpretazione di Fabro appare unilaterale, non sempre capace di rendere fino in fondo ragione della complessità del moderno, ma il suo poderoso sforzo speculativo merita di essere attentamente considerato.
Fabro parte dalla constatazione dell’umanesimo radicalmente ateo della contemporaneità come risultato dell’espulsione totale «della trascendenza nei suoi due momenti costitutivi: dell’esistenza di Dio come Primo Principio creatore del mondo (trascendenza metafisica) e della immortalità dell’uomo come persona (trascendenza temporale del singolo)» (12). Un ateismo a più forme (materialista, illuminista, immanentista), non più elitario ma universale, non solo teoretico ma pratico (umanesimo ateo) e positivo, cioè costruttivo (si consideri il momento storico in cui Fabro scrive), per il quale «per salvare l’uomo bisogna eliminare Dio, per poter vivere nel tempo bisogna accantonare l’eternità. È l’ateismo più radicale che vede nella negazione di Dio la condizione fondamentale per salvare l’uomo» (15). Polemicamente e contro la posizione di Maritain e l’interpretazione di Del Noce, Fabro ribadisce che tutto l’ateismo moderno non è l’effetto di un atto di scelta morale (un rifiuto esplicito di Dio) o una opzione originaria di negazione senza prove del soprannaturale, ma una questione teoretica, il collocarsi, sin dal primo passo, della coscienza riflettente nell’impossibilità di poter incontrare e riconoscere il problema di Dio.
All’origine del proteiforme ateismo moderno c’è una sola cosa: il principio di immanenza che fa dell’esse una funzione del cogito (cf.55); per la filosofia moderna «che fonda e qualifica l’essere sul pensiero ovvero a partire dall’atto di coscienza, la negazione di Dio non è affatto contraddittoria in nessun modo, ma costituisce la conclusione essenziale e inevitabile dello stesso principio d’immanenza riportato al suo fondamento. La ragione prima e fondamentale dell’ateismo moderno […] va cercata […] nel primo passo del pensiero. Quando l’inizio è fatto col cogito, con l’atto del pensiero che ha rimosso da sé ogni contenuto di essere, la filosofia ha negato di per sé la sua fondazione nell’essere ed ha posto l’essere alle dipendenze del pensiero, mediato dall’atto del pensiero, comunque poi l’atto di questa mediazione venga concepito dai vari sistemi della filosofia moderna» (67-68). Perciò il pensiero moderno è essenzialmente ateo, perché fondato sul principio d’immanenza il quale «coincide con l’affermazione radicale dell’Io in quanto preclusione ed espulsione di Dio secondo l’intera qualità intenzionale della coscienza» (976). L’inizio del processo – come pure della modernità – è la filosofia di Cartesio (cf.111) che paradossalmente, in contrasto con gli atei, appare una filosofia fondata sul cogito allo scopo di ritrovare stabilmente Dio come fondamento ma che verrà a sua volta accusata di ateismo da parte degli avversari. In un passaggio Fabro esplicita perché il cogito cartesiano e le sue variazioni razionalistiche, ben più del sensismo e del materialismo, hanno creato le condizioni per la cancellazione del sacro e del trascendente: «col cogito il fondamento primo e poi il contenuto della verità della coscienza è trasferito alla coscienza così ch’è l’atto di coscienza e sono le strutture della coscienza […] a fondare la presenza dell’essere […]. Alla metafisica dell’essere è subentrata la metafisica della mente la quale è fatta partire direttamente da sé stessa […], è tolto così alla radice il legame fondante immediato con l’essere e mediato con Dio e d’ora in poi la coscienza si definisce non più per rapporto all’essere ma per rapporto al “fenomeno” di essere di cui essa coscienza è la verità risolvente» (657; cf.anche 975).
Se Cartesio è il primo fautore del principio dell’immanenza e il pensiero moderno è l’approfondimento della coerenza atea del cogito (cf.135), il secondo passo verso l’ateismo è rappresentato da Spinoza che ulteriormente declina il principio d’immanenza imprimendogli una direzione che avrà ben più influenza dell’interpretazione cartesiana; Spinoza, alquanto prima di Hegel, ha concepito «il corso del reale secondo il circolo perfetto della ragione, eliminando la contingenza ed affermando la perfetta coincidenza in Dio di libertà e necessità nella creazione e perciò l’appartenenza di Dio al mondo e del mondo a Dio. Il punto è decisivo per afferrare l’equivoco della metafisica immanentistica e quindi del teismo-ateismo dell’idealismo trascendentale e di quello hegeliano in particolare: teismo in superficie e ateismo in profondità» (161).
Segue a questo punto la considerazione dell’empirismo inglese, in particolare del fenomeno del deismo che rappresenta sì la filosofia religiosa dell’illuminismo ma affonda le radici in terra inglese, alimentato dai neoplatonici di Cambridge. Il deismo, secondo Fabro, esprime un momento decisivo nella formazione del mondo moderno e nacque in diretta antitesi con l’ateismo, rivendicando la distinzione netta fra religione naturale e rivelata e la preferenza per la prima, stabilendo la ragione unico fondamento della religione. Il primo autore analizzato è Herbert di Cherbury, strenuo difensore della religione, la quale rientra tra le “notitiae communes” che formano le convinzioni universali del genere umano e sono state infuse da Dio in ogni uomo e in tutti i tempi. In realtà, secondo Fabro, il deismo partito con intenti positivi di difesa della religione contro l’ateismo materialistico e libertino è diventato una tappa verso l’ateismo, non tanto per il contenuto in sé della tesi deista, quanto per il nuovo spirito introdotto, ovvero ricondurre la coscienza religiosa a un sentimento soggettivo dell’uomo. Vengono così analizzati diversi esponenti: Hobbes, Shaftesbury, quindi Locke, Toland, Berkeley, Hume, Clarke.
L’ateismo illuministico sembra derivare, secondo Fabro, dal materialismo sensista della filosofia inglese e soprattutto dalla metafisica spiritualistica di Cartesio con la dissociazione radicale di natura e spirito, conoscenza ed essere, anima e corpo. Il j’accuse del nostro è puntuale e assertorio: «alla concezione rigorosamente meccanicistica che Cartesio ha proposto della natura è seguita, a distanza appena di un secolo, l’espulsione radicale di Dio dal mondo che ha nel meccanicismo delle sue leggi necessarie e delle sue forze insite i principi validi e sufficienti per evolversi e governarsi da sé. […] Si può allora sostenere con ragione che proprio il dualismo metafisico di Cartesio tra res cogitans e res extensa fu il primo passo decisivo verso il naturalismo come materialismo ateo e verso l’idealismo come antropologismo ateo: il mondo cartesiano, come aveva ben visto Pascal, non aveva più bisogno di Dio» (384-385). L’ateismo attraversa e domina le filosofie di La Mettrie, Helvétius, Diderot, D’Holbach, Meslier. Cuore dell’opera è la considerazione dell’idealismo inteso come la forma più compiuta del pensiero moderno, l’espressione teoretica e sistematica più alta del principio d’immanenza, fondata sulla metafisica di Spinoza e l’io penso di Kant, e ancorato nella “diaspora protestante”. Nelle varie tappe dell’affermazione definitiva del principio d’immanenza un significato decisivo è rappresentato dal caso Fichte e dell’accusa rivoltagli di ateismo che gli costò la cattedra a Jena; sulla istanza atea della Wissenschaftlehre si soffermano le pp. 560-574. Sempre avendo come guida le analisi di Jacobi, ci si addentra nella filosofia di Schelling, la seconda figlia della filosofia critica kantiana, presentata – da Jacobi – come uno spinozismo capovolto e trasfigurato, cioè un materialismo ideale. Durissime le considerazioni di Fabro a proposito di Hegel, il quale costituisce il rimando necessario dell’ateismo contemporaneo come radicalizzazione del cogito. Nonostante Hegel proclami e difenda l’esistenza di Dio e afferma il totale accordo tra filosofia e cristianesimo, la sua filosofia è più atea di quanto lo siano il marxismo e l’esistenzialismo. La “profanazione” (cf.593) hegeliana è la riduzione della Trinità ai modi dell’Idea, e la negazione della personalità della Persona divina riduce tutto ad un monismo dello Spirito in cui le tre persone sono momenti dell’Idea assoluta; la mancanza del concetto di personalità libera è un rimprovero fatto anche a Scheleiermacher. Rifacendosi soprattutto alle Lezioni sulla filosofia della religione, Fabro conclude la sua disamina di Hegel scrivendo che «la logica hegeliana costituisce la più radicale mistificazione e profanazione del problema di Dio di tutta la storia del pensiero ed a ragione perciò tutte le forme dell’ateismo contemporaneo si richiamano più o meno direttamente ad Hegel» (600). Portando il principio d’immanenza alla risoluzione del fondamento, Fichte e Hegel sono stati anche i veri fondatori dell’ateismo positivo e costruttivo.
Paradossalmente, da Kant a Hegel mentre viene continuamente affermato Dio come assoluto, Egli viene smarrito come persona trascendente (cf.601). Siamo all’epilogo dell’ambizione del cogito cartesiano, perché il cogitare, l’attuarsi del Geist, si declina come il manifestarsi di Dio stesso all’uomo nella natura e nella storia, ma poiché il Geist si risolve nella presenza dell’attività umana a sé stessa, ecco che la massima affermazione teologica del pensiero moderno coincide con la negazione irrimediabile della trascendenza, dunque con l’ateismo radicale che, a rigore, non comincia certo con Feuerbach. E qui Fabro ritorna alla matrice remota dell’ateismo materialista, ovvero il cogito cartesiano che ha attribuito la priorità di fondamento alla coscienza rispetto all’essere e prende forma compiutamente atea nel trascendentale kantiano (come si era accorto Fichte) che cancella la trascendenza e la personalità di Dio il quale non può essere oggetto di conoscenza. Nel cammino della modernità atea, dopo l’idealismo ed Hegel incontriamo i suoi epigoni, in particolare la sinistra hegeliana. Significativa l’interpretazione che Fabro offre dell’ateismo positivo dell’umanesimo marxista (cf.737-759); in esso egli vede il passo decisivo della “risoluzione” dell’ateismo, che in Marx non è legato affatto alla concezione sociologica ed economica, perché originarie sono la denuncia della trascendenza religiosa come radice di ogni alienazione umana e l’affermazione dell’immanenza come principio di recupero dell’essere umano e alienato. Dunque l’ateismo marxista deriva da una posizione filosofica che assume il principio materialistico innervandolo nella dialettica hegeliana (la tesi dell’origine filosofica del marxismo richiama la posizione anche di Del Noce). Poiché la filosofia delle nazioni moderne si è sviluppata per mutui influssi come un sistema di vasi comunicanti, la tematica dell’Assoluto persiste anche nell’empirismo anglo-americano su cui Fabro si concentra analizzando le figure di James, Bradley, Royce, Whitehead, Dewey.
Il ritorno al cogito di Cartesio e alla libertà oltre il naturalismo positivista e la dialettica marxista segue l’esistenzialismo francese e tedesco, la cui ambiguità consiste «soprattutto nella mistificazione aperta e consapevole dell’esistenza kierkegaardiana, tutta ancorata in Dio, che viene annegata nella finitezza della coscienza storica nella linea Kant-Hegel-Nietzsche in Jaspers, Kant-Hegel-Nietzsche-Hölderlin in Heidegger, Cartesio-Hegel-Feuerbach-Marx-Freud in Sartre e nell’irrequieto esistenzialismo francese» (878). Per questo motivo l’esistenzialismo ateo con la dissoluzione dell’essere e della libertà ricondotta alla radicale contingenza del singolo, costituisce più del materialismo dialettico la schiusa definitiva del principio d’immanenza e l’evidenza inoltrepassabile dell’insignificanza dell’essere dell’uomo e del suo destino. In quest’orizzonte scorrono autori come Schopenhauer, Nietzsche. Quest’ultimo, accostato a Hegel, è chiamato dioscuro, dopo Spinoza, dell’ateismo moderno; entrambi, infatti, «si affidano alla “enorme forza del negativo” e perciò proclamano la giustificazione della forza e della violenza e quindi del male come principio propulsore della storia, ambedue intendono superare l’antitesi di vero e di falso per affermare l’uguaglianza o equiparazione della verità e dell’errore» (903). Ampio spazio a Jaspers ed Heidegger come all’esistenzialismo francese. Sono questi gli ultimi autori dell’avventura del pensiero moderno che dopo tre secoli dal cogito è stato riportato a sé stesso nel suo fondamento del nulla (cf.1031). La lezione tragica della modernità deve diventare invito urgente a riportare la libertà all’Essere come atto di tutto ciò che si dà al pensiero.
Certo la lettura che Fabro compie della modernità è una condanna senza appello perché la valenza atea del pensiero moderno non è qualcosa di facoltativo ma di costitutivo ed ogni apertura e concessione alla trascendenza è incomprensibile nell’orizzonte dell’immanenza che definisce lo status in quo del pensiero (cf.1057), nel senso di autofondazione radicale del pensiero in sé stesso. Perciò tutte le forme di teismo apparse nella modernità sono inautentiche e intruse; infatti «solo chi inizia con l’ente e fa leva sull’essere può arrivare all’Assoluto di essere ch’è Dio; chi parte dal fondamento della coscienza, deve finire per lasciarsi risucchiare dalla finitezza intrinseca del suo orizzonte ossia per perdersi nel nulla di essere» (1063). Malgrado le perplessità che restano nell’imponente ipotesi di Fabro, essa merita di essere considerata e riproposta, fosse anche per prenderne le distanze e per paragonarla con altre (secondo me) più condivisibili visioni della modernità, non apocalitticamente segnata solo dall’ateismo quale esito destinale del principio del cogito, dischiudendo così il riconoscimento della possibilità di essere moderni o di ricorrere al moderno senza per questo costringersi all’ateismo e al nichilismo di una libertà e di un pensiero privato dell’essere.
Opportunamente al termine del volume è riportato anche l’indice degli argomenti (cf.1069-1168) che permette di orientarsi meglio nel mare magnum di quest’opera che va considerata, come ripeteva l’autore, una storia speculativa della filosofia.
Tratto dalla rivista Lateranum n.3/2014
(http://www.pul.it)
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