Fabro e l'esistenzialismo
(Quaderni fabriani)EAN 9788889231463
Il testo si inserisce nei Quaderni Fabriani, dei quali costituisce il secondo, e «introduce, accompagna e completa i primi tre volumi che Fabro dedicò alla filosofia dell’esistenza: Introduzione all’Esistenzialismo del 1943, Problemi dell’Esistenzialismo del 1945 e L’Assoluto nell’Esistenzialismo pubblicato nel 1954» (5). L’autore continua poco sotto: «Cronologicamente ci occupiamo del periodo che va dal 1940 alla fine degli anni ’50. Tematicamente la ricerca non include gli studi che prepararono il volume Dall’essere all’esistente (1957)».
In definitiva, le linee guida di questo lavoro sono espresse nei seguenti termini: «Non intendiamo, quindi, proporre uno sguardo retrospettivo o un giudizio a posteriori su questo movimento filosofico, bensì approfondire il lavoro di Fabro, fin dal suo primo incontro con l’esistenzialismo». Al termine di ognuno dei quattro capitoli sono riportati a mo’ di Appendici vari articoli dello stesso C. Fabro (dieci, per la precisione): necessariamente, alcuni risentono di un ambito storico, che può rivestire un interesse ridotto per il lettore attuale, in quanto riferentesi spesso a personaggi, importanti per quel periodo, oggi certo meno attuali; per contro, acquisiscono interesse poiché redatti dal soggetto stesso dello studio in questione. Forse sarebbe stata opportuna una bibliografia finale, pur considerando che le note a fondo pagina possono in parte supplirvi. Da evidenziare, inoltre, la presenza di un utile Indice dei nomi (177-180). Un’interessante sottolineatura la si trova fin dalle prime pagine: «La scoperta di S. Tommaso […] gli aveva fornito i mezzi sufficienti per un approccio fiducioso ed anche ottimista verso qualsiasi forma di pensiero» (7). Un atteggiamento culturale, questo, che andrebbe opportunamente incentivato e che dovrebbe rappresentare l’approccio adeguato per ogni forma di scienza; la quale deve necessariamente essere considerata come reciproca collazione tra i risultati altrui e quelli che il singolo studioso possa personalmente addurre; espressione di un quanto più sereno esame critico, ma anche grato, nei confronti dell’altrui pensiero ed apporti. Perché detti “fiducia” ed “ottimismo” si realizzino è, però, opportuna un’adeguata competenza; come dire che la cultura di ogni ricercatore dovrebbe muoversi non solo in profondità, nel proprio settore d’indagine, ma anche in orizzontale, specie negli ambiti attigui al proprio.
Una postilla: svolgendo uno sguardo sincronico, ma anche diacronico, nel nostro panorama culturale, si deve constatare che la realizzazione accade piuttosto di rado. Altra sottolineatura importante la si trova poco più avanti: «Come metodologia di lavoro [C. Fabro, n. d. r.] fa uso della psicologia sperimentale, della fenomenologia e dell’analisi filosofica. In sottofondo scorre la visione tomista, per la quale la conoscenza del reale è parimenti una conoscenza del concreto» (10). Torna l’importanza rivestita da un approccio quanto più possibile ampio e variegato ad ogni forma di problematica che la ricerca comporti: la stessa speculazione (scienze speculative) non può rimanere priva dell’approccio al reale, che necessariamente va conosciuto.
Come dire: il filosofo non può rimanere avulso dalla conoscenza del concreto (scienze sperimentali), sia pure in maniera necessariamente mediata; ovviamente, analogamente per il cultore di scienze sperimentali, a cui viene chiesta un’adeguata conoscenza dell’ambito speculativo; pena, lo scadere in speculazioni eteree (o, in opposizione, eccessivamente materialistiche), che ben poco potranno addurre a quel “sapere” che non può rimanere parcellizzato in un solo ambito. Anche in merito, va notato che in molte occasioni non si verifica: da ciò una forte penalizzazione delle ricerche svolte; le quali producono o molto meno di quanto potrebbero oppure veri e propri errori di prospettiva. «Fabro vede nell’Esistenzialismo il movimento in grado di opporsi all’Idealismo o, quanto meno, di denunciarne il suo fallimento» (11); e, più avanti: «Il movimento esistenzialista si presentava come una critica ad ogni sistema, soprattutto all’idealismo, appunto perché in quanto sistema aveva perso il contatto con l’essere» (14).
L’attenzione che pone nei confronti del suddetto movimento filosofico ben si coniuga con la sua formazione poliedrica, alimentata da adeguati approfondimenti in entrambi gli ambiti della scienza: speculativo e sperimentale. Ad onor del vero, si dovrebbe fare qualche sottolineatura in merito; d’altra parte, come chiaramente evidenziato sopra, il volume in questione analizza solo le opere inerenti un primo arco di tempo del nostro (Fabro); inoltre, lo spazio a mia disposizione impone una necessaria limitatezza. Per contro egli non ignora i limiti che il suddetto Esistenzialismo possiede; ma ciò non gli impedisce di apprezzarne i valori ed i potenziali positivi sviluppi. A questo proposito, per lui di fondamentale importanza è stato l’incontro con S. Kierkegaard, riconosciuto iniziatore del movimento in questione, avvenuto intorno al 1940, e che ha ampliato sempre più, per tutto il corso della sua vita. Da tener presente quanto lo stesso Fabro scrive: «L’opera del Kierkegaard ha due aspetti, uno filosofico, l’altro religioso, i quali però sono strettamente connessi» (25); in qualche modo, il filosofo danese gli era particolarmente vicino proprio in quanto mosso da quella duplice passione, simile alla sua. Anticipo quanto riportato più avanti: «Kierkegaard, pur essendo presente in tanti studi sull’Esistenzialismo, non è colto nella sua essenza» (54); il nostro si adoprerà molto per facilitare la suddetta conoscenza, fin nel tradurre una così vasta parte delle opere dell’autore danese. Ed a p. 96, si legge: «il Nostro conclude che quanto c’è di più valido nell’Esistenzialismo lo si trova nei temi esistenziali nel suo fondatore […] Kierkegaard».
A p. 47, è riportato: «Fabro espone la sua teoria sull’originalità della nozione tomista di partecipazione. Una dottrina che non è solo sintesi di classicismo e cristianesimo, ma anche la più adatta per aprire un confronto e un dialogo con la filosofia moderna» e, poco sotto, dello stesso Fabro: «anche per S. Tommaso le due zone dell’essere, il mondo e lo spirito, sono intercomunicanti, dominate da leggi similari e facenti capo ad un unico Principio». Può sembrare una riflessione ormai nota, ma in realtà andrebbe, e seriamente, approfondita; poiché, troppo spesso, un’incomprensione di fondo in merito sta a fondamento di tanti malintesi anche attuali; malintesi che non di rado tendono a contrapporre concezioni, le quali in realtà contrapposte non sono: purtroppo, però, coniugare risulta inevitabilmente più arduo dell’opporre.
Fabro non accoglie tutto l’Esistenzialismo, tant’è vero che nelle pp. 97-101 sono riportate delle critiche mosse ad alcuni suoi adepti; per contro, evidenzia pure talune valide intuizioni di colui che, a buon diritto, può essere considerato il suo fondatore, S. Kierkegaard; a tale proposito molto chiare ed interessanti le pp. 122-123, tratte da un suo articolo su Il significato dell’Esistenzialismo. L’ultimo capitolo riguarda l’Esistenzialismo Teologico (125-134) ed in merito E.C. Fontana scrive: «“Esistenzialismo teologico” è un’espressione che ha molteplici significati […] ma la usiamo soprattutto perché mostra la dimensione ultima del problema esistenziale: il rapporto con l’assoluto» (125). È una parte che meriterebbe un ulteriore ampliamento, pur evidenziando che i titoli dei rispettivi paragrafi risultano un’ottima traccia per successivi possibili sviluppi.
Cito solo: «Il dubbio che viene spontaneo riguarda l’ambiguità che accompagna tutti i temi dell’esistenza. […] Questa scelta risponde alla dipendenza filiale degli esistenzialismi dalle precedenti filosofie idealiste» (128). Si inserisce lo stesso Fabro: «è religiosa la filosofia, perché, svolgendo se stessa nella penetrazione del suo oggetto, fa zampillare nella coscienza il bisogno del divino […] se si deve parlare di Esistenzialismo teologico in senso preciso, a me sembra che uno soltanto lo possa rivendicare: Kierkegaard» (131-132). Quest’ultime (troppo) poche parole, sopra riportate, danno il senso della motivazione per cui il nostro si sia tanto interessato alla filosofia: in essa ha trovato lo stimolo per approfondire il suo interesse per le cose di Dio.
Inoltre, in quella sua ricerca, l’incontro con il grande danese non poteva non avvicinarlo a lui ed al movimento, che da lui ha tratto spunto; non si può non notare che allorquando le motivazioni profonde (di S. Kierkegaard) sono venute meno in alcuni (tutti?) i suoi seguaci, Fabro si è posto in posizione critica nei loro confronti. In definitiva, un testo degno di interesse; senza dubbio utile per approfondire il pensiero del noto filosofo italiano a cui è dedicato, come per altro chiaramente indicato fin dalle prime battute.
Tratto dalla rivista Lateranum n. 3/2012
(http://www.pul.it)
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