Girolamo Seripando e i vescovi meridionali (1535-1563)
(Ricerche storiche)EAN 9788888321264
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DETTAGLI DI «Girolamo Seripando e i vescovi meridionali (1535-1563)»
Tipo
Libro
Titolo
Girolamo Seripando e i vescovi meridionali (1535-1563)
Autore
Cassese Michele
Editore
Editoriale Scientifica
EAN
9788888321264
Pagine
788
Data
2002
Collana
Ricerche storiche
COMMENTI DEI LETTORI A «Girolamo Seripando e i vescovi meridionali (1535-1563)»
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Recensione di Luigi Sartori della rivista Studia Patavina
Ponderoso frutto di fatica piú che ventennale. Meritava l’autorevole Prefazione (pp. XIX - XXXV) del prof. Gabriele De Rosa, mentore e guida per la realizzazione e la edizione dei due volumi (p. XXXVIII). Questi sottolinea l’importanza dell’attenzione anche agli aspetti pastorali e spirituali, oltre che a quelli teologici, della riforma della chiesa a cui mirava il grande vescovo di Salerno (già Generale degli Agostiniani, poi cardinale, teologo e legato papale al concilio di Trento). De Rosa inserisce il lavoro di Cassese dentro i numerosi e significativi studi sulla figura di tale cosí eminente, direi immensa, personalità, che merita di restare attuale anche per la chiesa dei nostri tempi. Cassese propone a noi l’edizione critica di una messe importante di lettere e di documenti che evidenziano il senso della chiesa sul fronte della cura d’anime. Altri invece si interessa, per esempio, dei testi che qualificano in concreto la predicazione del Seripando. De Rosa, quindi, stimola a una ricostruzione sintetica della figura del grande vescovo ‘tridentino’, il quale precede e prepara, anzi attua in anticipo, le direttive di Trento, non solo sul piano della dottrina, ma anche su quello del rinnovamento della vita ecclesiale. Ma lungo spazio riserva al legame del Seripando con le ‘correnti spirituali’ che tentavano di fermentare la riforma della chiesa; anche perché è lo stesso Cassese che lo fa nella lunga, interessantissima, Introduzione (5 capitoli; senza titolo generale; pp. 1-158), nel Volume I.
Ma vengo direttamente ai contenuti dei due volumi. Non avendo competenza in campo di ricerca storica specifica e di edizioni critiche, anticipo i cenni sul II° volume, e scusandomi della estrema mia brevità. Ci dà i testi delle 233 lettere della corrispondenza intercorsa tra Seripando e i vescovi relativi a vario livello all’Italia meridionale; in piú, a integrazione delle note storiche, la lettera 234 a Paolo IV a qualche mese dalla sua nomina a papa (1555). Si tratta di 476 pagine, mentre il resto è costituito da bibliografia e indici vari. Esprimo solo gioia, e ammirazione per la meticolosa acribia che ha accompagnato la faticosa ricerca ventennale dell’Autore; e ritengo che gli studiosi del suo rango non dovrebbero esitare nel tributargli onore e riconoscenza.
Al I° volume ho già fatto riferimento sopra, dando rilievo alla Prefazione del prof. De Rosa. La Seconda parte (pp. 169-271) ci offre 45 Profili dei rispettivi vescovi meridionali con i quali Seripando ha intrattenuto corrispondenza epistolare. Vale anche per questa seconda parte la dichiarazione della mia incompetenza ma insieme del mio ammirato plauso. Torno perciò alla Prima parte (senza titolo, come si è detto), che ci offre le considerazioni conclusive e di bilancio generale del Cassese stesso. I primi due dei cinque capitoli rivelano la previa azione di ricerca e di reperimento dei testi, e un ragguaglio della critica (filologica, storica, bibliografica) su di essi. Il 3° informa sinteticamente sulla situazione della presenza ed azione pastorale dei vescovi meridionali al tempo in cui entra in scena Seripando; mentre poi il 5°, ed ultimo, conclude delineando il tipo di rapporto che Seripando instaura con tali vescovi, cosí come risulta emergere dal carteggio studiato. Appare quindi singolare il concentrarsi del capitolo 4° solo su un singolo punto specifico, quello del Rapporto con gli ‘Spirituali’ (pp. 69-108; ben 30 pagine!). In realtà si tratta di un discorso di fondo, quello necessario per comprendere l’anima dell’azione, e prima ancora il sotteso progetto di una plausibile concezione cattolica di riforma della chiesa; tutto ciò attingendo da centri vivaci, come: Napoli (con Juan de Valdès), Viterbo (soprattutto con il card. Reginald Pole) e anche il Nord (Venezia: Contarini). Entrando in questo settore, Cassese deve richiamare tanti altri purtroppo tristi problemi del tempo, quanto a rapporti di forza e non sempre del tutto consoni con un genuino spirito evangelico; perfino tra membri della stessa gerarchia ecclesiastica, e fino a toccare il papa Carafa (Paolo IV, 1555-1559); e con l’effetto di produrre qualche ‘vittima’, tra cui il card. Pole, al quale era legato per stima e grandissima amicizia il Seripando, cosí da indurre questi ad attenersi ad una prudenza quale oggi, almeno a me (a noi?) pare eccessiva, di stampo rigidamente piú politico e diplomatico che non di fede. Comunque, i veri gloriosi ‘spirituali’ di quel tempo (intendo riferirmi ai nomi sopra citati) rappresentano il dono di un momento splendido e ricco almeno di speranze e di progetti di chiesa rinnovata, e a noi stessi di oggi offrono uno specchio sul quale verificare le nostre speranze attuali. Ritengo pertanto che, anche solo tenendo presenti tali sottolineature, il lavoro di Cassese costituisce un contributo di inestimabile valore. Il Seripando non era dunque un ‘isolato’, afferma Cassese; non un sognatore, dico io; e perciò dona conforto a coloro che oggi forse sono ritenuti dei sognatori solo perché coltivano proposte e progetti o per una chiesa che sia piú evangelica, o per un mondo umano in cui in futuro nessuna guerra sia a priori legittimata, ecc. Ma Cassese insiste pure sul fatto che l’impegno di Seripando per una chiesa piú ‘spirituale’ non lo porta a fughe verso uno spiritualismo aereo e che spedisce fuori dalla realtà. Anzi, a costo di forti sofferenze (talora a motivo di altrui sospetti e di interpretazioni negative e ingiuste circa la posizione dell’amico Pole), egli ha sempre sostenuto che lo Spirito Santo fa rispettare ed amare anche le legittime istituzioni e funzioni della chiesa.
Concludo con alcune questioni che sono sorte in me leggendo il lavoro di Cassese. Sono certo che egli non mi darebbe risposta adeguata, se si ponesse a complemento del suo lavoro, e cioè a motivo della coerenza con il suo carattere di ricerca scientifica. Del resto è lui stesso che, nel suo testo, ha sollevato interrogativi analoghi a quelli che io ora gli propongo, e vi ha risposto appunto con la nota riserva di chi lavora da storico serio e rigoroso; cioè ha fatto appello ai dati soltanto ‘espliciti’ da lui raccolti: ‘allo stato attuale dei documenti – cosí egli si esprime – non è possibile dare una risposta’ (pp. 108 e 158). Ebbene: sí, le affermazioni esplicite gli danno ragione in quanto ricercatore scientifico. Ma io sono teologo speculativo, e tendo anche ad ‘esplicitare l’implicito’, a valorizzare anche le vie dell’‘analogia’, e quindi a rintracciare un senso finale, talora piú ricco e sintetico, che deriva dai contesti ma soprattutto dal vissuto. Ecco allora alcuni interrogativi che mi sono nati dopo aver letto le riflessioni conclusive, sue e del prof. De Rosa. L’autocensura (pp. 94ss) e gli altri segni di quella che ho indicato come ‘prudenza eccessiva e troppo diplomatica’, rappresentano o no un limite? o esiste una ragione che li legittima? Ad esempio: il fatto di aver maturato (già da Generale degli Agostiniani, e poi da Vescovo realmente pastore e ‘residenziale’ (come lui proponeva fosse legge da approvare nel Concilio…: riteneva ‘de jure divino’ l’impegno della ‘residenzialità’!, pp. 32, 110) un forte senso di responsabilità e di predilezione per la ‘via media’ tra estremismi. Inoltre, quanto influiva su di lui il fatto che anche Lutero fosse stato un agostiniano? ne derivavano dei freni alla sua libertà e al suo ardimento? Inoltre: come interpretare quella sua proposta (o forse solo predisposizione?) di includere nella riforma anche la ‘purgatio dogmatum’ (p. 84)? Quest’ultimo punto (‘purificare i dogmi’) oggi è enormemente interessante; la teologia, in particolare quella ecumenica, assume sempre di piú la qualificazione di ’ermeneutica’, ed induce quindi a distinguere nelle dottrine ciò che è ‘sostanza’ di verità immutabile da ciò che sono ‘forme storiche di espressione’, cosí da spingere verso sempre nuova ed anche variegata inculturazione… Ma il succo del lavoro del prof. Michele Cassese sta nell’avere evidenziato (modernissimo frutto! mi sento legittimato a dirlo) la qualifica di ‘pastoralità ’, intendendo questa – da impegnato per la riforma della chiesa – soprattutto come recupero del primato della Predicazione (ossia della Parola di Dio) e del modello della vita della/ primitiva chiesa apostolica… Questa nota di ‘pastoralità’ viene cosí ad aggiungersi alle altre che onorano anche la teologia del Seripando, oltre che la sua azione e la sua vita; perciò anche per questo egli merita il titolo di ‘insigne maestro di teologia’. Ed è modello attuale; perché, col Vaticano II, concilio ‘pastorale’, è anche la teologia nella sua globalità che deve configurarsi, sulla linea di S. Agostino, come scienza che pensa amando ed operando, e che non solo dona verità a guida di chi ama e opera ma anche e soprattutto attinge verità da chi ama e opera.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2005, nr. 1
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
Ma vengo direttamente ai contenuti dei due volumi. Non avendo competenza in campo di ricerca storica specifica e di edizioni critiche, anticipo i cenni sul II° volume, e scusandomi della estrema mia brevità. Ci dà i testi delle 233 lettere della corrispondenza intercorsa tra Seripando e i vescovi relativi a vario livello all’Italia meridionale; in piú, a integrazione delle note storiche, la lettera 234 a Paolo IV a qualche mese dalla sua nomina a papa (1555). Si tratta di 476 pagine, mentre il resto è costituito da bibliografia e indici vari. Esprimo solo gioia, e ammirazione per la meticolosa acribia che ha accompagnato la faticosa ricerca ventennale dell’Autore; e ritengo che gli studiosi del suo rango non dovrebbero esitare nel tributargli onore e riconoscenza.
Al I° volume ho già fatto riferimento sopra, dando rilievo alla Prefazione del prof. De Rosa. La Seconda parte (pp. 169-271) ci offre 45 Profili dei rispettivi vescovi meridionali con i quali Seripando ha intrattenuto corrispondenza epistolare. Vale anche per questa seconda parte la dichiarazione della mia incompetenza ma insieme del mio ammirato plauso. Torno perciò alla Prima parte (senza titolo, come si è detto), che ci offre le considerazioni conclusive e di bilancio generale del Cassese stesso. I primi due dei cinque capitoli rivelano la previa azione di ricerca e di reperimento dei testi, e un ragguaglio della critica (filologica, storica, bibliografica) su di essi. Il 3° informa sinteticamente sulla situazione della presenza ed azione pastorale dei vescovi meridionali al tempo in cui entra in scena Seripando; mentre poi il 5°, ed ultimo, conclude delineando il tipo di rapporto che Seripando instaura con tali vescovi, cosí come risulta emergere dal carteggio studiato. Appare quindi singolare il concentrarsi del capitolo 4° solo su un singolo punto specifico, quello del Rapporto con gli ‘Spirituali’ (pp. 69-108; ben 30 pagine!). In realtà si tratta di un discorso di fondo, quello necessario per comprendere l’anima dell’azione, e prima ancora il sotteso progetto di una plausibile concezione cattolica di riforma della chiesa; tutto ciò attingendo da centri vivaci, come: Napoli (con Juan de Valdès), Viterbo (soprattutto con il card. Reginald Pole) e anche il Nord (Venezia: Contarini). Entrando in questo settore, Cassese deve richiamare tanti altri purtroppo tristi problemi del tempo, quanto a rapporti di forza e non sempre del tutto consoni con un genuino spirito evangelico; perfino tra membri della stessa gerarchia ecclesiastica, e fino a toccare il papa Carafa (Paolo IV, 1555-1559); e con l’effetto di produrre qualche ‘vittima’, tra cui il card. Pole, al quale era legato per stima e grandissima amicizia il Seripando, cosí da indurre questi ad attenersi ad una prudenza quale oggi, almeno a me (a noi?) pare eccessiva, di stampo rigidamente piú politico e diplomatico che non di fede. Comunque, i veri gloriosi ‘spirituali’ di quel tempo (intendo riferirmi ai nomi sopra citati) rappresentano il dono di un momento splendido e ricco almeno di speranze e di progetti di chiesa rinnovata, e a noi stessi di oggi offrono uno specchio sul quale verificare le nostre speranze attuali. Ritengo pertanto che, anche solo tenendo presenti tali sottolineature, il lavoro di Cassese costituisce un contributo di inestimabile valore. Il Seripando non era dunque un ‘isolato’, afferma Cassese; non un sognatore, dico io; e perciò dona conforto a coloro che oggi forse sono ritenuti dei sognatori solo perché coltivano proposte e progetti o per una chiesa che sia piú evangelica, o per un mondo umano in cui in futuro nessuna guerra sia a priori legittimata, ecc. Ma Cassese insiste pure sul fatto che l’impegno di Seripando per una chiesa piú ‘spirituale’ non lo porta a fughe verso uno spiritualismo aereo e che spedisce fuori dalla realtà. Anzi, a costo di forti sofferenze (talora a motivo di altrui sospetti e di interpretazioni negative e ingiuste circa la posizione dell’amico Pole), egli ha sempre sostenuto che lo Spirito Santo fa rispettare ed amare anche le legittime istituzioni e funzioni della chiesa.
Concludo con alcune questioni che sono sorte in me leggendo il lavoro di Cassese. Sono certo che egli non mi darebbe risposta adeguata, se si ponesse a complemento del suo lavoro, e cioè a motivo della coerenza con il suo carattere di ricerca scientifica. Del resto è lui stesso che, nel suo testo, ha sollevato interrogativi analoghi a quelli che io ora gli propongo, e vi ha risposto appunto con la nota riserva di chi lavora da storico serio e rigoroso; cioè ha fatto appello ai dati soltanto ‘espliciti’ da lui raccolti: ‘allo stato attuale dei documenti – cosí egli si esprime – non è possibile dare una risposta’ (pp. 108 e 158). Ebbene: sí, le affermazioni esplicite gli danno ragione in quanto ricercatore scientifico. Ma io sono teologo speculativo, e tendo anche ad ‘esplicitare l’implicito’, a valorizzare anche le vie dell’‘analogia’, e quindi a rintracciare un senso finale, talora piú ricco e sintetico, che deriva dai contesti ma soprattutto dal vissuto. Ecco allora alcuni interrogativi che mi sono nati dopo aver letto le riflessioni conclusive, sue e del prof. De Rosa. L’autocensura (pp. 94ss) e gli altri segni di quella che ho indicato come ‘prudenza eccessiva e troppo diplomatica’, rappresentano o no un limite? o esiste una ragione che li legittima? Ad esempio: il fatto di aver maturato (già da Generale degli Agostiniani, e poi da Vescovo realmente pastore e ‘residenziale’ (come lui proponeva fosse legge da approvare nel Concilio…: riteneva ‘de jure divino’ l’impegno della ‘residenzialità’!, pp. 32, 110) un forte senso di responsabilità e di predilezione per la ‘via media’ tra estremismi. Inoltre, quanto influiva su di lui il fatto che anche Lutero fosse stato un agostiniano? ne derivavano dei freni alla sua libertà e al suo ardimento? Inoltre: come interpretare quella sua proposta (o forse solo predisposizione?) di includere nella riforma anche la ‘purgatio dogmatum’ (p. 84)? Quest’ultimo punto (‘purificare i dogmi’) oggi è enormemente interessante; la teologia, in particolare quella ecumenica, assume sempre di piú la qualificazione di ’ermeneutica’, ed induce quindi a distinguere nelle dottrine ciò che è ‘sostanza’ di verità immutabile da ciò che sono ‘forme storiche di espressione’, cosí da spingere verso sempre nuova ed anche variegata inculturazione… Ma il succo del lavoro del prof. Michele Cassese sta nell’avere evidenziato (modernissimo frutto! mi sento legittimato a dirlo) la qualifica di ‘pastoralità ’, intendendo questa – da impegnato per la riforma della chiesa – soprattutto come recupero del primato della Predicazione (ossia della Parola di Dio) e del modello della vita della/ primitiva chiesa apostolica… Questa nota di ‘pastoralità’ viene cosí ad aggiungersi alle altre che onorano anche la teologia del Seripando, oltre che la sua azione e la sua vita; perciò anche per questo egli merita il titolo di ‘insigne maestro di teologia’. Ed è modello attuale; perché, col Vaticano II, concilio ‘pastorale’, è anche la teologia nella sua globalità che deve configurarsi, sulla linea di S. Agostino, come scienza che pensa amando ed operando, e che non solo dona verità a guida di chi ama e opera ma anche e soprattutto attinge verità da chi ama e opera.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2005, nr. 1
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
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