I conventuali italiani (1557-1670)
-Vicende storiche-Insediamenti e appendici
(Fonti e studi francescani)EAN 9788885155749
In Sicilia i Conventuali Riformati ebbero un numero piuttosto consistente di case o luoghi, e non si capisce perché mai Filippo Cagliola, († 1653), scrivendo la sua storia della Provincia dei Frati Minori Conventuali di Sicilia nel 1644 (quindi nel travagliato periodo della soppressione di questa riforma francescana) abbia solo ricordato alcuni Conventuali riformati di santa vita.
Peraltro, non solo storici francescani del passato (Tossignano, Wadding, Franchini, Benof? ), ma anche scrittori a noi più vicini nel tempo (Parisciani, D’Andrea, Odoardi, Rotolo, Iannelli-Autieri), i quali, rispetto agli antichi, disponevano di mezzi e metodi migliori, hanno condotto la loro ricerca sul tema, tutto sommato, in modo episodico. A riprendere in modo sistematico l’intera questione dell’origine, consistenza e diffusione dei Conventuali Riformati ecco ora intervenire il bibliotecario della Custodia di S. Francesco in Assisi fr. Carlo Bottero con questo suo saggio di laurea. Un’opera prima, dunque, ma frutto già maturo, come appare dall’esposizione della materia, chiara e ordinata; dal metodo assolutamente scienti?co; dal tratta- mento delle fonti, non abbondanti causa la perdita di importanti documenti, ma tutte di prima mano; dal sagace uso d’una ricchissima bibliogra?a.
Essendo il tema per tanti versi legato ai Frati Minori Conventuali l’A. premette nell’ampia Introduzione (I, pp. 17-84) un excursus sul proliferare delle riforme francescane minori, che chiama «Conventualesimo riformato ante litteram»: Clareni “ortodossi”, Villacreziani, Colettani, Martiniani, Amadeiti, Guadalupensi, Puebliti ed altre riforme presenti in Italia e in Europa. Si tratta di gruppi in buona par- te sorti dopo i Frati Minori Osservanti (1368) e da essi provenienti, ma indicati nei documenti come viventi sub Ministris, stante il loro diretto rapporto con il Ministro generale conventuale.
Ci sono indubbiamente in questi gruppi aspetti comuni: pratica rigida della povertà, ricerca della solitudine, poca propensione verso gli studi e via dicendo, ma ci sono anche peculiarità speci? che, ragione per cui l’A. li distingue in tre categorie: gruppi spontanei presenti ?n dagli inizi dell’Ordine e abitanti in luoghi di più severa osservanza, sempre ritenuti dai superiori centri propulsori di riforma; gruppi riformati che, pur vivendo separatamente, non intendono intaccare l’unità dell’Ordine (Colettani, Martiniani, gruppi delle penisola Iberica e di Francesco da Montepulciano); gruppi autonomi, collegati all’Ordine solo in modo estrinseco, al ? ne di garantirsi una protezione contro gli ostacoli posti dall’Osservanza (Clareni “ortodossi”, Villacreziani, Amadeiti, Guadalupensi…). A questi ultimi, per gli stessi motivi, si collegheranno anche i Cappuccini, pur nati dopo l’Ite vos (1517), vale a dire circa 1520 ed approvati nel 1528. Secondo Bottero, i Conventuali Riformati italiani derivano da questi francescani o, come scrive l’A., «appaiono radicati nel contesto del conventualesimo riformato ante litteram, e più in generale delle tradizioni di riforma da sempre presenti nell’Ordine minoritico, presentando molti tratti comuni con riforme precedenti e coeve» (p. 83). Dopo l’introduzione, apprezzabile per la puntigliosa speci?cazione dei tratti distintivi dei singoli gruppi in rapporto con l’OFMConv, non bene avvertita da scrittori francescani recenti, l’A. inizia la trattazione vera e propria che, in base al titolo, distingue in due parti. Nella prima, dedicata alle vicende storiche dei Conventuali Riformati italiani, viene anzitutto precisato che in Italia questa Riforma, i cui aderenti a Napoli erano detti Barbanti, comincia a svilupparsi nel convento di S. Lucia al Monte, fondato nel 1557 e nello stesso anno approvato dal ministro generale Giulio Magnani da Piacenza (pp. 87-88).
Ed è a Napoli che i Conventuali Riformati ricevono una prima, sebbene approssimativa, ?sionomia giuridica ad opera del vicario generale apostolico Antonio Del?ni e di Pio IV (pp. 99, 104-06). Quanto alla Sicilia, altro nucleo piuttosto consistente dei Conventuali Riformati italiani, l’A. esclude che gli Eremiti di fr. Girolamo Lanza, collocati da Bottero «nell’ambito dell’eremitismo laico d’ispirazione francescana» (p. 128), siano passati al conventualesimo riformato ante litteram; egli ritiene invece che l’incontro con la Riforma sia avvenuto tramite il progressivo accostamento dei Frati Minori Conventuali ai suddetti eremiti che, soppressi nel 1562 (p. 140), erano probabilmente sopravvissuti come terziari dell’OFMConv ? no al 1581/82.
Dobbiamo ritenere che i Conventuali Riformati di Sicilia derivino dal conventualesimo riformato di Napoli? Certo è che i Regesta Ordinis nel 1583 e ancora nel 1587 registrano la presenza in Sicilia di Conventuali Riformati, i quali appaiono in stret- to contatto con i Barbanti di Napoli (pp. 147-48). Segnalati altri gruppi esistenti nelle Marche, Toscana, Umbria, Abruzzo, Padova, l’A. si sofferma sulla bolla di Sisto V, Apostolici muneris del 15 ottobre 1587, importante documento che segna la nascita dei Conventuali Riformati, giacché il papa, riunisce in unico corpo la variegata compagine dei riformati conventuali (frati di vita eremitica, frati dell’Osservanza, terziari, religiosi stretti per voto ad una vita quaresimale, ex eremiti siciliani) sciogliendoli «da qualunque professione o voto»; secondo la bolla sistina, nelle province dove sono presenti, i Conventuali Riformati di- pendono dai loro custodi, ma sono sottoposti all’obbedienza del cardinale protettore dell’Ordine, del ministro generale e dei ministri provinciali conventuali (pp. 161-69).
La narrazione prosegue poi intermezzata dalla presentazione dell’insigne missionario Giovanni Battista Lucarelli che, già Conventuale, si unisce agli Scalzi di Spagna, riuscendo a radunare molti missionari delle varie famiglie francescane in due vivai, Roma e Genova, con l’obiettivo d’andare ad evangelizzare la Cina; ma il progetto, che pure aveva ricevuto il benestare di Sisto V, per accuse malevole da parte di religiosi francescani (non esclusi i Conventuali), i quali non vedevano di buon occhio l’introduzione degli Scalzi in Italia, il progetto fallisce, e da parte sua Sisto V nel dicembre 1589 sopprime gli Scalzi del Lucarelli, aggregandoli ai Conventuali Riformati (pp. 177-78).
Si può dire però che dopo il ponti?cato di Sisto V (1585-90) per questi religiosi inizia la parabola discendente. Molteplici le cause: l’annoso contrasto con i Cappuccini per la simile foggia dell’abito (pp. 188-90); l’avversione del ministro generale Filippo Gesualdi (1593-1601), che intendeva disseminare i Conventuali Riformati nelle varie province, in specie nei conventi principali e di formazione, al ? ne di favorire la riforma nell’Ordine (p. 189); i decreti di riforma del Concilio di Trento sulla vita religiosa, che concedeva anche ai Conventuali la facoltà di possedere in comune, ferma restando la povertà individuale del religioso, decreti codi?cati nelle Costituzioni Piane approvate nel capitolo ?orentino del 1565 (p. 191).
Neppure le Costituzioni Orvietane (1611), primo corpus legislativo unitario, riusciranno a sollevare le sorti dei Conventuali Riformati. Del resto già nel generalato del Gesualdi erano nati, secondo l’A., «i germi di quella discordia tra l’Ordine e la sua congregazione riformata che diverrà via via più evidente e macroscopica, e porterà nel giro di circa un ventennio ad aperti con?itti, e in?ne alla soppressione urbaniana» (p. 212). Lo stesso ministro generale Giacomo Montanari, prima favorevole ai Conventuali Riformati, deciderà il «ritiro della protezione dell’Ordine nei confronti della congregazione», poiché nel convulso capitolo del 1621 per l’elezione del Custode riformato della Provincia di Roma era stata come scavalcata l’autorità del Superiore maggiore (p. 290).
La situazione diverrà insostenibile sotto il generalato di Felice Franceschini (1625-32), al punto che Urbano VIII emanerà il decreto Sanctissimus in Christo (5-10-1224) (pp. 134-36), primo atto della soppressione, procedendo alla soppressione de?nitiva con il Breve Romanus Pontifex del 6 febbraio 1626 (pp. 349-51). Dopo i decreti ponti? ci di soppressione, i Conventuali Riformati sopravvissero parzialmente, ma non c’erano tra essi ?gure carismatiche di prestigio, capaci di mettersi a capo del movimento e rinvigorirlo dal punto di vista spirituale e organizzativo.
Avrebbe potuto ridar loro vita il p. Carlo Moretti da Finale Modenese (1622-72), personaggio all’altezza di questo compito, ma ormai tra i Conventuali Riformati s’era veri?cato un calo numerico irreversibile (pp. 396-98). Così, non senza l’apporto dello stesso p. Moretti, i religiosi di S. Maria al Monte furono incorporati agli Scalzi o Alcantarini di Spagna (pp. 423-25). Quanti saranno stati in tutto i Conventuali Riformati italiani? Secondo Bottero, la loro consistenza numerica, nel periodo di massimo sviluppo, «deve aver oscillato tra gli 800 e i 1.000» religiosi «con circa 80 insediamenti» (p. 81). La seconda parte dell’opera di Carlo Bottero è dedicata agli Insediamenti dei Conventuali Riformati italiani. L’A. ci ragguaglia su 77 luoghi dispersi nelle va- rie province OFMConv italiane.
È un aspetto particolarmente interessante perché è la prima volta che, sulla base del materiale oggi a disposizione degli studiosi, si raccolgono notizie sugli insediamenti dei luoghi riformati e si raccolgono notizie dei religiosi che li abitarono, in gran parte di santa vita. Certo, su quest’argomento molto resta ancora da chiarire, ma intanto il discorso è già avviato e si potrà approfondire. Qui intendo porgere all’A., per quel che possa valere, un mio tenue contributo, riguardante i Conventuali Riformati ante litteram di Caltagirone (Catania). Secondo Pietro Ridol? da Tossignano il p. M. Giacomo Polizzi avrebbe preso il Locus S. Mariae in? rmorum nel 1570 (p. RHODULPHIUS TOSSIGN., Historiarum…, f. 182r).
Da parte sua il Cagliola attribuisce allo stesso Polizzi la presa del Locus S. Secundi ma, tenendosi sul generico, dice che il suddetto luogo fu preso dal Po- lizzi «post provincialatum» (Ph. CAGLIOLA, Almae Siciliensis…, p. 132). Stando dunque ai citati autori, due sarebbero stati gli insediamenti riformati nella città ca- latina: il Locus S. Mariae in? rmorum, del quale parla il Tossignano, ponendolo al 1570 e il Locus S. Secundi, registrato dal Cagliola, ma senza data. Ho l’impressione che, oltre ad un incrocio di dati, qui siamo in presenza di un caso d’omonimia. A mio parere, il Locus S. Mariae in?rmorum sarebbe da ascrivere ad un p. M. Giacomo Polizzi (senior), preso però non nel 1570, come dice il Tossignano ma, stando al Cagliola, dopo il provincialato del suddetto Polizzi (1548-51), quindi dopo il 1551 e prima del 1558, anno in cui, come riferisce l’A. seguendo il Benof? , il Polizzi muore (I, p. 78, nota 291).
Spetterebbe invece, come io penso, al p. M. Giacomo Polizzi (junior), anche lui di Caltagirone, forse consangui- neo del precedente, la presa del Locus S. Secundi. Risulta infatti dai Regesta Ordinis che un p. M. Giacomo Polizzi, ad istanza del card. di Pisa (= card. Scipione Rebiba), il 4 novembre 1568 è nominato dal p. generale commissario della Provincia al posto del p. M. Carlo Belleo da Ragusa, eletto dal capitolo nel gennaio precedente (RO 9, f. 27). Sembra opportuno tener presente a questo punto che siamo sotto il ponti?cato di san Pio V (1566-72) il quale, in seguito alla soppressione dei Conventuali in Spagna, giudicando ancora l’Ordine lontano dallo spirito francescano, il 23 luglio 1568 emanò per l’Italia leggi restrittive, tra cui la norma che imponeva alle Province l’elezione d’un Provinciale estraneo alla Provincia (cf. MF 99 [1999] 696-99), ragione per cui il Belleo, eletto appena 9 mesi prima, dovette essere sostituito dal p. Polizzi. Ora, sul commissariato del p. Polizzi, oltre che nei citati RO, un’altra conferma troviamo in p. Girolamo Spalla, il quale nel suo Racconto cronologico sul convento di Erice (Trapani) (Bibl. Com. di Erice, ms. senza segnatura, f. 85v), attingendo da un Rollo oggi perduto, annota che nel 1569 fece la Visita del convento di S. Francesco di Erice «il P. M. Giacomo Politio Visitato- re e Commissario generale».Il Tossignano aveva avuto l’opportunità di visitare la Sicilia, quando nel 1584 predicò il quaresimale a Palermo (RO 17, f. 125v).
Ciò nonostante, la sua notizia del Locus S. Mariae In?rmorum, preso, a suo dire, dal p. Polizzi nel 1570, si dimostra errata. È da pensare invece, a mio parere, che il p. Giacomo Polizzi (junior) abbia fondato, non il Locus S. Mariae In?rmorum, opera del p. M. Polizzi (senior), ma il Locus S. Secundi nel corso del suo breve commissariato (1568-69), giacché nel 1569, risulta eletto il nuovo provinciale di Sicilia nella persona del p. M. Tommaso Calcinelli da Lunano, della Provincia delle Marche (RO 10, f. 140v). Libero quindi dalla gestione commissariale, p. M. Polizzi (junior) si ritira con alcuni con- fratelli nel Locus S. Secundi a far vita contemplativa, austera e penitente, un modo di vivere, che però non piacque al ponte? ce, come scrisse Rocco Pirri (riportato in L. WADDING, Ann. Min. [continuati], a. 1570, n. 23: XX, Ad Claras Aquas 19332, p. 291). È da pensare che s. Pio V non vedesse di buon occhio i frati che s’allontanavano dal convento appartandosi in luoghi solitari, sia pure per vivere più perfettamente la Regola francescana. Desta però meraviglia il fatto che un uomo di Dio come il p. M. Giacomo Polizzi (junior) sia stato ritenuto meritevole d’una sanzione gravissima come la pena dell’esilio dalla sua Provincia. Eppure è così: il 2 (non il 21) gennaio 1570, per ordine del card. Alessandro Crivelli († 1574), viceprotettore dell’Ordine, vengono banditi dalla Sicilia e sottoposti a pene varie i padri maestri Sante Sessa da Messi- na, Vito Pizza da Chiaramonte, Antonio Beschella da Caltagirone, il nostro Giacomo Polizzi e il suo compagno fr. Giuseppe da Licata (RO 9, f. 45v). Ritengo che non sia lontano dal vero l’A., identi?cando questi frati colpiti da gravi sanzioni con i «siciliani di Roma», i quali forse erano venuti nella Città Eterna a perorare presso la S. Sede la causa della riforma nella Provincia.
L’intento dei cinque era certo dei migliori, se non che per accedere a Roma urgeva il permesso della Curia generale, di cui i cinque frati, forse a ragion veduta, fecero a meno, cadendo nel reato di disobbedienza (cf. I, p. 149). Pronta quindi la punizione. Già il 1° gennaio 1570 il p. generale aveva scritto «al Treviso il caso di Siciliani di Roma il pericolo nel quale si trova la Sicilia per li demeriti nostri» (RO 11, f. 40r). Il «Treviso» corrisponde al p. M. Marcantonio Corsi da Treviso († 1572), non ad un cardinale, come supposto (cf. I, p. 149, nt. 122). Pare fosse membro del S. Uf?cio, giacché uno dei malcapitati, il p. M. Vito (non Girolamo) Pizza da Chiaramonte, il 22 gennaio 1570 si trova «in prigione al Santo per conto dell’Inquisizione» (G. LUISETTO, OFMConv [a cura]), Archivio Sartori I, n. 481, Padova 1983, p. 1038b).
Sono d’accordo con l’A. nel ritenere che i cinque frati così gravemente puniti, non erano «delinquenti comuni» (I, p. 150), ma religiosi animati dal desiderio d’una vita più perfetta. Del resto, non solo il p. M. Sante Sessa, come nota l’A. (ibid.), ma anche il p. M. Giacomo Polizzi fu pienamente riabilitato. Con il consenso dello stesso card. Crivelli, assieme al suo socio fr. Salvatore da Licata, il p. M. Giacomo Polizzi il 29 ottobre 1572 veniva infatti prosciolto dalle accuse e dall’esilio dalla Provincia, tornando ad essere idoneo a tutti gli uf? ci e dignità della Religione (RO 9, f. 182r). In conclusione, se si accetta la morte del p. M. Giacomo Polizzi nel 1558, è necessario pensare ad un suo omonimo in carne ed ossa, perché dai RO risulta un p. M. Giacomo Polizzi da Caltagirone Commissario di Sicilia nel 1568-69, ed ancora in vita nell’ottobre 1572. Di conseguenza, due dovrebbero essere i luoghi riformati ante litteram a Caltagirone.
Super?uo però dire che la mia è solo un’ipotesi, habet quindi timorem de opposito, pronta a cedere il posto, e si troveranno, a nuovi elementi certi e incontrovertibili. Ma è tempo di concludere. Tra gli altri pregi dell’opera di Carlo Bottero sono da rilevare anche il cospicuo numero delle appendici con documenti di prima ma- no (pp. 613-786), l’accurata lista delle fonti e studi (pp. 787-865), il prezioso indice onomastico (pp. 869-79). Vogliamo augurare all’autore degli imponenti due volumi in presentazione, di continuare a sviluppare ed approfondire quest’impor- tante pagina di storia francescana, rimanendo ancora quasi sconosciuto l’apporto dato dal conventualesimo riformato alla rinascita dell’Ordine dei Minori Conventuali in seguito alla separazione del 1517, alla soppressione in Spagna e ad altre angustie in Italia e altrove: apporto bene?co ed innegabile, almeno ?nché questa riforma rimase ancorata alla radice da cui era germinata.
Tratto dalla rivista "Miscellanea Francescana" n.III-IV/2010
(www.seraphicum.it)
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