San Francesco d'Italia
-Santità e identità nazionale
(Sacro/Santo. Nuova serie)EAN 9788883344725
Il «più santo degli italiani, il più italiano dei santi», come lo ebbe a definire Pio XII nel 1939 nel momento in cui lo proclamò assieme a s. Caterina da Siena patrono d’Italia, viene presentato nel vol. per come contribuì al processo dell’unificazione della Penisola. 12 storici si sono cimentati in questa riflessione nel corso del 1o omonimo convegno organizzato dal Centro europeo di studi agiografici presieduto da S. Boesch Gajano, tenutosi a Rieti nel giugno del 2009. Un san Francesco così unitario e allo stesso tempo così plurale da poter raccogliere contemporaneamente sotto il proprio mantello figure come p. Gemelli e san Pio da Pietrelcina. Chiude il testo una postfazione dello storico dell’arte Bruno Toscano.
Tratto dalla Rivista Il Regno 2011 n. 22
(http://www.ilregno.it)
Il volume contiene gli Atti del primo convegno di studio organizzato dal Centro Europeo di Studi Agiografici (C.E.S.A.), tenutosi a Rieti il 12-13 giugno 2009 con la collaborazione del Comune, della Provncia e il finanziamento della locale Fondazione Varrone. Dopo il saluto del presidente del C.E.S.A., Sofia Boesch Gaiano, e delle rispettive autorità cittadine (pp. 7-10), Roberto Rusconi sintetizza nella premessa (pp. 11-17) gli apporti delle relazioni al convegno, inquadrati nelle vicende centrali della prima metà del Novecento (VII centenario della morte di san Francesco, 1926; proclamazione di san Francesco e santa Caterina da Siena a patroni principali d'Italia, 1939) con il loro «forte impatto non soltanto politico e ideologico, ma anche con una profonda influenza culturale» (p. 12), aggiungendo a conferma del connubio tra nazionalismo cattolico e imperialismo fascista dell'epoca una rassegna dei notiziari dei cinegiornali dell'Istituto Luce, pilotati dal regime, riguardanti eventi, volti, luoghi afferenti al mondo francescano. Una postfazione di Bruno Toscano (pp. 269-277) prospetta con finezza le difficoltà di un'interpretazione della figura di san Francesco in una storia «evoluta» dell'arte, aperta cioè all'influenza dei più diversi fattori sociali, politici, ideologici e soprattutto religiosi, come risulta da un problematico studio di Marc Fumaroli sull'arte di Guido Reni, che sarebbe modellata sulle metodiche dell'orazione mentale diffusa dai gesuiti, o di un Caravaggio «cappuccino».
In rapporto al tema del convegno sono fondamentali i primi tre contributi centrati sulla figura del Poverello di Assisi e le celebrazioni del centenario 1926, con le ripercussioni di ordine culturale e politico che aprirono la via ai colloqui tra il Vaticano e lo Stato italiano in vista della Conciliazione, sottoscritta nel 1929 (Daniele Menozzi, Tommaso Caliò, Francesco Torchiani); ad essi è da annettere il quarto sulla progressiva acquisizione della santa di Siena a compatrona, quale rappresentante non solo localistica bensì nazionale della migliore italianità (Anna Scattigno). Seguono due studi sul grande fervore di restauri «medievalizzanti» e di aperture artistiche francescane anche d'avanguardia in Italia e nel Belgio/Olanda tra il 1920 e 1940 (Giovanna Capitelli, Jan de Maeyer), e un terzo di André Vauchez sull'inaspettata fioritura di primo Novecento di studi, riviste, biografie di san Francesco, recupero filologico delle prime «leggende» in terra francese dopo l'avvio pionieristico di Ozanam, Renan, Sabatier nel secondo Ottocento.
I contributi finali sul rapporto di tre eminenti figure di francescani con san Francesco (lo stigmatizzato padre Pio da Pietrelcina, il convertito fondatore dell'Università cattolica padre Agostino Gemelli, il cardinale missionario Guglielmo Massaja) e del loro «sfruttamento» da parte della propaganda fascista o allineamento con la politica in corso completano il volume (Guido Mongini, Maria Bocci, Lucia Ceci). Nel saggio di apertura Cattolicesimo, patria e nazione tra le due guerre mondiali (pp. 19-43), Menozzi insegue le diverse piegature che il concetto di nazionalismo ha subito in Italia, a partire dall'iniziale condanna di un «immoderatus nationis amor» nella prima enciclica di Pio XI nel 1922 e di alcuni scrittori della «Civiltà Cattolica», quale fattore di inimicizia tra i popoli e fomento di guerre fratricide, alla sua progressiva diluizione distintiva tra il nazionalismo sano di un corretto amore di patria e del bene comune e quello «esagerato» o falso che ritorna alla concezione pagana divinizzante la nazione e lo Stato. Contrariamente all'opposizione totale di don Sturzo a ogni forma nazionalistica a motivo della sua natura bellicista e imperialista, diversi cattolici costituirono il Centro Nazionale Italiano allineandosi con la politica e la mistica fascista per la realizzazione del destino di un'Italia faro di civiltà e di fede nel mondo.
In questo ritrovato consenso tra valori cattolici e legislazione fascista si poté svolgere il primo incontro ufficiale tra la Chiesa e lo Stato italiano dopo l'occupazione del 1870, in occasione delle solenni celebrazioni del 4 ottobre 1926 ad Assisi, con la prestigiosa rappresentanza del legato pontificio Rafael Merry del Val e del ministro della Pubblica Istruzione Pietro Fedele, in sostituzione del Duce che si era rifiutato di parteciparvi. Fu appunto in seguito al clima instaurato in quelle giornate assisane che a Roma presero avvio i primi colloqui tra le due parti, sfociati tre anni dopo nella firma dei Patti Lateranensi. Questo avvicinamento del mondo francescano, di vescovi e larga parte del clero al regime per la finalmente raggiunta unità di patria e di fede, non impedì tuttavia a Pio XI di mettere in guardia e di sconfessare in parecchi interventi la deriva totalitaria e imperialista che la cultura e la politica mussoliniana andavano assumendo nel campo educativo e nell'infelice occupazione militare dell'Etiopia (1936), giustificata persino da alti esponenti della gerarchia ecclesiastica. Purtroppo, la morte del pontefice nel febbraio del '39 impedì la pubblicazione della cosiddetta «enciclica nascosta» contro la peste dei nazionalismi e per l'unità del genere umano, redatta proprio mentre al Senato venivano approvate le leggi razziali (1938) e una forzata retorica sulla supremazia della gente italica intorbidava il senso religioso della proclamazione di Francesco e Caterina a patroni d'Italia (1939).
In «Il ritorno di san Francesco». Il culto francescano nell'Italia fascista (pp. 45-65) Caliò concentra la sua attenzione sul «processo di trasformazione delle forme espressive della narrazione agiografica», non soltanto di quella dotta ma anche di quella devozionale, che nel Ventennio ha veicolato istanze ideologiche nell'osmosi tra regime fascista e mondo cattolico con reciproche strumentalizzazioni. Nel pantheon fascista brillavano più alte le figure di Francesco d'Assisi, Caterina da Siena, Giovanni Bosco per la loro spiccata caratteristica d'italianità; al di sotto sfilavano altri esemplari di santi confacenti con il mito della romanità nella nuova religione di Stato, in sintonia con la vivace introduzione del culto liturgico a Cristo Re nel 1925. Il santo di Assisi divenne subito l'emblema della santità nazionale secondo l'icastica definizione dannunziana «del più italiano dei santi, del più santo degli italiani» (1919), della quale si rintraccia qui l'origine storiografica (1857). Inutilmente Pio XI nell'enciclica Rite expiatis per il centenario metteva in guardia dalla riduzione ideologizzata del Poverello di Assisi a pioniere del socialismo o del nazionalismo; l'agiografia francescana di orientamento fascista ne fece un precursore di Mussolini, ripercorrendone i tratti biografici del convertito, del suo istinto guerriero, della tenace sopportazione della sofferenza, in una «ricerca di arditi quanto grotteschi parallelismi» con la personalità del Duce (p. 55).
L'autore allarga poi l'analisi della figura di Francesco nella cinematografia con i notevoli risultati dei film del 1911 (di Enrico Guazzoni), del 1918 (di Ugo Falena) e di quello più grandioso del centenario uscito nel 1927 (di Giulio Antamoro), lodato con riserva dal francescanista padre Vittorino Facchinetti a motivo dell'inserzione di una componente romantica del tutto estranea alla verità storica e spirituale della vita dell'Assisiate. Di padre Facchinetti viene illustrata la grande capacità di comunicatore e la benemerenza di aver iniziato nel 1926 la prima predicazione religiosa radiofonica imperniata sulla vita di san Francesco, continuata poi nel '29 con le radioconversazioni del cappuccino padre Teodosio da Voltri, sebbene ancora debitrici ai toni del mito fascista. Soltanto dopo il '39, al crudo riaccendersi dei venti di guerra del secondo conflitto mondiale, la figura del santo cominciò «ad essere spogliata dei panni dell'italianità» e di quelli trionfalistici del santo guerriero per essere invocata quale messaggera di pace e di concordia per tutti i popoli della terra. Con una documentazione molto ricca e minuta, nel saggio 4 ottobre 1926. San Francesco, il regime e il centenario (pp. 67-99) Torchiani ripercorre la cronaca e il significato politico degli avvenimenti religiosi e civili salienti svoltisi ad Assisi nel 1926, con il riferimento ai principali attori di quell'intreccio, tra i quali spicca la figura del benemerito sindaco e poi podestà Arnaldo Fortini (1889-1970), sincero cattolico e fascista umbro che mediante l'appoggio di alcuni ministri riuscì a coinvolgere direttamente Mussolini nella preparazione, nel finanziamento, nell'esecuzione e nelle ripercussioni internazionali del centenario francescano.
Nel Consiglio dei ministri del 7 luglio 1925 il Duce dichiarava il 4 ottobre del '26 festa nazionale; con un decreto nell'ottobre successivo destinava la somma di oltre tre milioni di lire per la costruzione del nuovo convitto per gli orfani ospitati nel Sacro Convento (la cui prima pietra fu posta la data fatidica del 28 ottobre), per la manutenzione e il restauro della basilica e dell'intera città di Assisi; il 28 novembre diramava a tutte le rappresentanze all'estero il celebre messaggio che collocava Francesco tra le più grandi glorie date dall'Italia al mondo nella poesia e nelle arti, nella navigazione e nelle scienze, nelle virtù e nella santità; il 12 settembre 1926 approvava la partecipazione ad Assisi del re Vittorio Emanuele III all'inaugurazione della «campana delle laudi»; dal 3 al 6 ottobre seguiva compiacentemente da Roma lo svolgersi delle solenni festività del centenario nelle basiliche e nelle sedi comunali assisane con i relativi discorsi dei rappresentanti ufficiali del Vaticano e del governo, dando subito avvio ai preliminari strettamente privati per la Conciliazione tra il consigliere di Stato Domenico Barone e l'avvocato Francesco Pacelli, nonostante la freddezza e le forti riserve de «L'Osservatore Romano», nonché della «Civiltà Cattolica» sullo stile enfatico, nazionalistico e distorsivo con cui il regime aveva presentato l'umile frate Francesco, la cui santità era un dono universale di amore e di pace, di piena obbedienza e appartenenza alla Chiesa; nel '27, infine, restituiva ai francescani conventuali il convento e l'annesso patrimonio terriero dal 1867 incamerato nel demanio.
La costruzione del mito fascista di un Francesco quale «santo nazionale» con gli annessi avvicinamenti alla Chiesa di Roma irritò, tra gli altri, il filosofo Giovanni Gentile, il quale su «Educazione fascista» attaccò duramente il ministro Fedele per «la crescente subalternità del fascismo alla Chiesa e lo stravolgimento in senso clericale della sua riforma scolastica» (p. 99); ma il vecchio Fortini, una dozzina d'anni dopo (nel 1939), ricordava ancora a Mussolini il centenario francescano come «il clima storico nel quale fiorì la Conciliazione, nonostante l'opposizione degli uomini del vecchio mondo massone e anticlericale, che vedevano a grandi passi il crollo del loro edificio tarlato» (p. 98). Il centenario francescano aveva creato qualche fastidio anche tra le file cattoliche, soprattutto in quelle legate alla spiritualità domenicana, alla robusta speculazione di Tommaso d'Aquino e alla figura di santa Caterina da Siena, che manifestavano un crescente disappunto a motivo dell'estetismo e del sentimentalismo romantico con cui veniva presentata la vita di san Francesco.
Anna Scattigno in Decoro della patria: Caterina da Siena patrona d'Italia (pp. 101-141) documenta copiosamente il crescente interesse di studi e di movimenti spirituali (= i cosiddetti caterinati) che il 18 giugno 1939 sfociarono nella proclamazione della mistica senese a compatrona d'Italia da parte di Pio XII. Dall'ottocentesca edizione del Tommaseo delle Lettere della santa alle molteplici riprese nel Novecento assieme al Dialogo, la vita, il pensiero e l'opera di Caterina a sostegno della Chiesa e del papato vennero sempre più diffusi e rilanciati per merito di notevoli studiosi (Piero Misciatelli, Federigo Tozzi, Giovanni Joergensen, Tommaso Gallarati Scotti, Arrigo Levasti, Mario Felice Bianchi, ecc.), di teologi domenicani, di uomini politici (in particolare Emilio Bodrero) che dalla circoscritta devozione civica senese l'imposero all'ammirazione della nazione. Con un piccolo scotto al regime vennero accentuati i tratti della sua romanità e italianità, della sua forza guerriera per la fede e per il papato, della sua modernità di donna impegnata per la giustizia nella società del suo tempo. Nel clima fervido della Conciliazione, il magistero e la sintesi cateriniana di contemplazione e prassi, di nazione e universalità cristiana, vennero sempre meglio diffusi in molte città italiane mediante conferenze, lezioni nelle scuole, associazioni varie, ecc., sicché nel '39 apparve pienamente matura la proposta di Caterina patrona non solo delle giovani italiane, bensì dell'Italia tutta.
Com'era da attendersi, coltivando una rigorosa metodologia, i relatori si sono attenuti a una lettura della santità e del fenomeno della pietà e della devozione popolare ai santi entro la nuda griglia degli accadimenti storici e degli interessi socio-politici del tempo; purtroppo questo ristretto angolo di visuale non permette di cogliere la natura propria, vale a dire l'essenza profonda della santità cristiana, la piena conformazione di un'anima alla vita di Cristo, né di percepire l'intima risonanza dell'animo credente del devoto che si rivolge con fede al santo che ama: ma l'agiografia non dovrebbe disattendere queste ulteriori dimensioni intime e spirituali. Vorrei segnalare che nella nota 27 di p. 152 la cappella di San Francesco dipinta dall'Oppi, nella basilica di Sant'Antonio a Padova, è confusa con quella successiva austro-ungarica di San Leopoldo, mentre la statua in bronzo sull'altare è opera di Aurelio Mistruzzi. Infine, è raccomandabile agli studiosi di scrivere Antonio di Padova, non da Padova (come si legge qui, con irritazione dei portoghesi), essendo egli nato a Lisbona (1195 circa).
Tratto dalla Rivista "Il Santo. Rivista francescana di storia dottrina arte" LII, 2012, fasc. 1-2
(http://www.centrostudiantoniani.it)
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Raimondo Carlo Meloni il 6 marzo 2021 alle 21:34 ha scritto:
Non mi è piaciuto troppo vago e ripetitivo nell'esposizione. Forse sono troppo ignorante e "basso" culturalmente per capirlo.