La filosofia a cui alludono queste pagine è ciò che rifugge l'altezza dell'idea, come riflesso di ciò che viviamo giorno dopo giorno, convinta, al contrario, che sia la vita, in tutte le sue complicate manifestazioni, ad offrire al pensiero il luogo della riflessione e della fatica nell'intelligenza. Questo libro, frutto di una meditazione pensosa su quanto ci accade, dai problemi impellenti posti dalla bioetica alle questioni legate al pensiero femminile e a quello culturale ed ecclesiale, non fa che confermare questo pensiero, quello cioè che sia proprio la vita quotidiana, colma di piccoli gesti e di grandi attese, a costituire il bene che ci abbraccia, anche quando prende la forma di un dolore o di una interrogazione.
INTRODUZIONE
Qualche parola per dar conto del titolo di questo piccolo libro, che raccoglie alcuni tra gli editoriali e gli articoli apparsi nel quotidiano Avvenire dal 1996 sino ad oggi. Filosofia e vita non sempre, nel percorso millenario del pensiero occidentale, si sono incontrate, quasi sempre però a causa di un vizio capitale della speculazione, rivolta soprattutto a guardare dentro se stessa e a tentare, pur con molte disattenzioni, di penetrare fra le pieghe dell’esistenza di tutti i giorni.
Filosofia è diventata perciò sinonimo di pensiero astratto, di disciplina accademica, di fuoriuscita dal contatto con la realtà, come ricordava Platone, raccontando la storia della servetta di Trace che guardando in alto, verso le presunte altezze del sistema, finiva per cadere in un pozzo. Anche se oggi – in pieno clima post-moderno – è certo illusorio voler costruire architetture concettuali stratificate e comprensive della complessità del reale, è pur vero che la filosofia continua a voler porre il suo sigillo teorico sulla storia e sui suoi scompensi, convinta che da sola ha il potere di riordinare la fatticità del reale dentro le maglie del pensiero unico.
Se le cose stessero così, la vita continuerebbe il suo corso in modo autonomo, dando ragione al detto che, nonostante la filosofia, le cose obbediscono alle loro leggi e non badano a quanti, con il naso all’insù, continuano ad illudersi sul suo potere onnicomprensivo. La filosofia, a cui alludono queste pagine, è però di altra natura, quella cioè che rifugge l’altezza dell’idea, come riflesso di ciò che viviamo giorno dopo giorno, convinta al contrario che è la vita, in tutte le sue complicate manifestazioni, ad offrire al pensiero il luogo della riflessione e della fatica dell’intelligenza. Quest’ultima, ancora, non è tanto il patrimonio dei sapienti, quanto la disciplina dei saggi, di coloro i quali, infilando il dito dentro il terreno duro e sconnesso della terra – per dirla con Kierkegaard – desiderano indagare con intelligenza, nel senso dell’intus-legere, del leggere cioè in profondità ciò che solo la vita, dono benedetto e drammatico, continua ogni giorno a manifestare.
Ed un altro strumento si affianca a coloro che credono: la fede cristiana offre infatti una prospettiva allargata per le cose del mondo, anche quando grandi eventi planetari sembrano sopraffarla. Le nostre strette misure sono allora compensate dalla fiducia di Chi è la dismisura, e che prende il volto della grazia e della riconoscenza. In tal modo è possibile procedere con le due ali della ragione e della fede, con la convinzione che non spetta ad alcuno dire l’ultima parola, ma che tocca a tutti soddisfare il dovere della testimonianza.
Un approccio, concepito in tal modo, è segnato dall’umiltà di chi pensa e dalla pazienza difficile di chi tenta di scrivere, di riempire le pagine bianche del foglio che ha dinnanzi, consapevole che la vita sta oltre la scrittura, ma che questa ha il dovere di fissarne l’intensità, il colore e la forza disarmante. Impresa difficile e pericolosa, ma che talvolta ha la funzione di curare con il balsamo della riflessione le tante ferite che la storia personale e sociale ci infligge.
Vista così la filosofia è la medicina dell’anima, parafrasando Maimonide, tenendo anche in debito conto che la crisi, che oggi ci attraversa, passa talvolta dalla pochezza della passione e dalla povertà delle ore, che liberate dall’oppressione del lavoro, sembrano sottomesse alla terribile vacuità di un tempo morto. Persino le parole nascono già intorbidite e, appena pronunciate, si rivoltano contro se stesse, dando la percezione di una crisi che, mancando di fiducia nella visione allargata del mondo, là dove Dio si pone in nostra compagnia, non si fa che moltiplicare le chiacchiere, ma anche perdere tutto il resto.
Né conviene abbandonarsi alla fluida passività del negativo, come molti pensatori post-moderni ci indicano. Non siamo certo immersi nella notte, ma forse non abitiamo neppure nello splendore del giorno: è l’aurora che vogliamo qui evocare – pensando con María Zambrano – come tempo dell’attesa e della luce che progressivamente ci invade e che rompe la solitudine dell’oscurità, aprendoci al calore della compagnia.
In tal senso anche il giornalismo impegnato, come le pagine di Avvenire, la cui missione è quella di far aprire gli occhi al lettore sulla densità della storia e sulla luce divina che l’avvolge, non ha mai disdegnato di confrontarsi con i piccoli e grandi fatti della vita quotidiana, fonte di senso e appello alla verità, molto più dei discorsi lunghi ed elaborati. La vita di Gesù non è l’esempio eclatante della semplicità dirompente del gesto e della parola lieve e penetrante?
Le parole, le persone e le storie, posti come sottotitolo di questa raccolta, non fanno che confermare questa convinzione e cioè che la vita quotidiana, colma di piccoli gesti e di grandi attese, costituisce il bene che ci abbraccia, anche quando prende la forma di un dolore o di una interrogazione.
Consegno volentieri ai lettori queste pagine, frutto di una meditazione pensosa su quanto ci accade, dai problemi impellenti posti dalla bioetica alle questioni legate al pensiero femminile e a quello culturale ed ecclesiale. Ciò che conta non è l’implacabile giudizio sulla realtà, ma l’affidamento all’umiltà della scrittura, che nessun trattato di filosofia sistematica può restituirci.
Vorrei qui ringraziare Beatrice Rosati, amica e competente editor di questo lavoro che con passione e dedizione ha letto e riletto i molti articoli, selezionandone una parte; a lei va la mia riconoscenza e il mio affetto.
Un grazie particolare a Marco Tarquinio, Direttore di Avvenire, che mi ha permesso di raccogliere dall’archivio del giornale i pezzi che qui integralmente vengono riportati e all’amico Sergio Belardinelli, che ha accolto questo lavoro nella Collana da lui diretta.
Dedico queste pagine alla piccola Anna, che si affaccia ora alla complessità del mondo: che sia per lei luogo ospitale e aperto per fronteggiare le sorprese della vita quotidiana.
ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
Bioetica
DIGNITÀ E RISPETTO NELLA BUONA MEDICINA
È questo uno dei rari casi di un libro che promette molto più di quanto il titolo evochi: Il consenso informato (Edizioni Magi, 2010), infatti, fa riferimento ad una precisa pratica medica, da tempo istituzionalizzata in Italia e fonte di un dibattito bioetico soprattutto legato alle ricadute sul piano giuridico e biopolitico. Le pagine scritte da Paola Binetti alludono invece ad uno scenario ben più ampio e articolato. Il cuore dei problemi fa riferimento ai paradigmi della “Medical Education”, attenta soprattutto a presentare un’articolata opzione antropologica, al cui interno emergono problemi pedagogici, questioni morali, sensibilità esistenziali, richiamo ai mondi valoriali e a quel patrimonio giuridico e filosofico che l’autrice riconosce come essenziali alla pratica medica e a quell’esperienza complessa della malattia, evento-limite che tutti avvolge.
Nel rifiuto dell’approccio segmentato dei vari processi clinico-terapeutici, si accoglie in queste pagine l’idea olistica del vissuto esistenziale aggredito dalla patologia, non solo perché tutto il mondo del malato viene da questa sconvolto, ma anche perché, oltre la presenza necessaria dell’intervento medico, ruotano attorno a lui quella rete degli affetti familiari e amicali che ne segnano il coinvolgimento emotivo e la preoccupazione etica. Da qui la necessità che un simile evento non sia lasciato all’improvvisazione soggettiva del clinico e alle sue capacità empatiche, quanto al bisogno di una formazione professionale che tenga conto della comune umanità che ci avvolge e che va educata a tenere a cuore il bene della salute, più che lo spettro della malattia. I momenti di contatto tra medico e paziente non possono che essere attraversati dalla massima attenzione al bene/diritto della dignità della vita in tutte le sue manifestazioni e dalla virtù etica del rispetto per i mondi valoriali che qui vengono ad intrecciarsi.
Si può facilmente immaginare quale densità possa assumere il “consenso informato” in questa rivoluzione epistemologica della medicina: l’incontro tra medico e paziente si carica di precisi significati esistenziali, dal momento che tutto può concorrere ad una maggiore conoscenza di sé, da parte sia del clinico come del malato, chiamati insieme a guadagnare un nuovo orizzonte di vita che reclama di essere accolto, condiviso e pienamente vissuto. Questo libro non offre semplicistiche ricette, ma allude ad un’esaltante potenzialità, tipica di ogni relazione umana, che si regge comunque e sempre sulla pratica del dare e del ricevere. Come nel semplice gesto di una stretta di mano, di uno sguardo di intesa e di sostegno, di una parola complice e rassicurante, segni necessari e momenti preziosi di apprendistato alla comune umanità.