L' intenzionalità erotica e l'azione del corpo in Maurice Merleau-Ponty
(Studi sulla persona e la famiglia)EAN 9788882726003
L’autore, col suo lavoro di dottorato, affronta in modo originale le tematiche del corpo e della sua intenzionalità erotica come pensati dal fenomenologo Merleau-Ponty. Cosa rivela a noi di noi stessi e del nostro destino la percezione erotica? Cosa significa avere un corpo sessuato? Domande che, in un contesto di cultura pansessuale e orientata sempre più a una concezione soggettivistica, isolata e solitaria, mantengono aperti atteggiamenti realistici, che valorizzano il contesto storico, culturale, relazionale dove la sessualità attiva, intreccia e ridefinisce i propri significati grazie all’intenzionalità del soggetto che è strutturalmente aperto all’altro.
Dal confronto con Merleau-Ponty l’autore guadagna due convinzioni. La prima riguarda la concezione del corpo: non è possibile concepirlo in modo duale, astratto, a compartimenti stagni. La seconda concerne il modo di studiare il corpo: non può essere studiato in se stesso ma solo in relazione, perché è un corpo che vive – Leib, non Koerper – in relazione, interagendo con gli altri corpi e con l’ambiente. In tale relazione la dimensione sessuale è l’aspetto costitutivo del corpo. Astrarre il corpo dalla sessualità significa privarlo della possibilità della relazione con sé e con gli altri, proprio perché è la sessualità che abilita a relazioni originarie e originali con l’altro da sé e prima ancora col mondo, in termini generali.
La sessualità del corpo implica una certa maniera di percepire il mondo e l’altro. Anzitutto il corpo è un essere rivolto all’altro, tramite la percezione. Il corpo per natura percepisce secondo la coscienza che è strutturalmente intenzionale, orientata a qualcosa, destinata a unirsi al mondo. Per questo risente della dimensione sessuale come dimensione costitutiva, vocazionale, predisposta a percepire e incontrare l’altro come corpo sessuato, portatore di altra intenzionalità, di significati che contestualizzano l’uso della genitalità e del piacere erotico. Da tale incontro non ogni azione erotica può essere significativa, ma solo quella che tiene conto della realtà del proprio corpo e di quello dell’altro.
L’intenzionalità erotica costituisce la condizione di libertà per la scelta che si definisce sempre nel contesto delle situazioni ambientali, culturali, relazionali, perché la coscienza è sempre coscienza incarnata che ha sempre a che fare con l’ambiguità del dato naturale, mai determinato ma sempre luogo di definizione da parte della libertà situata del soggetto, capace di possibilità originali all’interno di un rapporto intersoggettivo, in cui il senso delle cose è riconosciuto dai soggetti coinvolti e non da essi posto o imposto. L’impostazione di Merleau-Ponty supera una filosofia oggettivistica per evidenziare la struttura relazionale e intenzionale del corpo che obbliga a tener conto della densità intenzionale dell’altro, indissociabile dalla sua situazione concreta.
In tal modo la percezione erotica precede anche la morale cristiana con la sua esigenza intrinseca di andare verso l’altro e di incontrarlo così com’è, per costruire assieme dei comportamenti erotici che siano rispettosi dei soggetti. Per Merleau- Ponty non è concepibile un uso narcisistico della sessualità proprio per la dimensione relazionale della persona umana, chiamata a rispondere a qualcuno che incontra nel mondo attraverso il segno interrogante del suo corpo. Il lavoro di Donegà offre un ottimo percorso nel pensiero di Merleau- Ponty riguardo al corpo sessuato e aiuta a ripensare i temi del corpo, della sessualità e dell’erotismo a partire dai fenomeni, per scoprire in essi delle strutture di significato difficilmente scardinabili da parte di culture riduzionistiche che non servono la libertà umana, ma di fatto l’asservono ad aspetti parziali dell’umano, senza rispettarne la struttura relazionale, anzi contraddicendola, isolando l’eros, fatto invece per la relazione col mondo e con l’altro. Un contributo esigente per rileggere e riordinare un tema delicato e di diretto interesse per tutti.
Tratto dalla rivista "Credere Oggi" n. 5 del 2011
(http://www.credereoggi.it)
Con questo ampio contributo su “percezione” e “intenzionalità” in rapporto alla dimensione erotica «a prescindere dalla morale cristiana» (294), con il quale consegue, nel 2010, il dottorato in Teologia presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per gli Studi su Matrimonio e Famiglia della Pontificia Università Lateranense, il sacerdote (e poeta) don Daniele Donegà – consulente etico del Consultorio Diocesano Familiare e segretario del Vescovo di Adria-Rovigo – cerca «di riflettere e non teorizzare» (13), in un rigoroso e documentato confronto con la vivida (e più volte sottolineata) “ambiguità” della fenomenologia di Maurice Merleau-Ponty, sullo «specifico della percezione erotica» (ibidem), per comprendere se e come questa sia «portatrice di un contributo nuovo nello studio della sessualità umana nella prospettiva dell’azione» (ibidem). Una sessualità, quella su cui punta risolutamente il sacerdote rodigino, né confusa con la genitalità né fruita “a piacimento” – come invece accade nella sessualità “plastica”, o “manipolabile” o inanemente “solipsistica” in cui la cultura contemporanea spesso si inviluppa in movenze disgreganti e divergenti, suggestionanti più che suggestive, tendenti alla citata «mutazione antropologica che Giovanni Paolo II chiamava “un’antropologia alternativa”» (15) –, bensì intesa in quel costitutivo e fortemente responsabilizzante «esplicitarsi della percezione secondo un’intenzionalità» (13) che non si nega al necessario richiamo all’alterità verso cui si orienta la coscienza percettiva quando essa asseconda il processo di umanizzazione, ovvero quando integra, converge e slancia le sue energie nella salutare ed evolvente pienezza dell’essere sé nell’altro da sé, riconoscendo il suo modello più “informante” proprio nella dialettica amorosa per la quale «non ci sono solo significati di ordine biologico, culturali, ma psichici e dunque affettivi che formano una trama integrata che orienta il corpo umano a quel mistero che è l’amore umano nell’incontro erotico con l’altro da sé» (293). Nonostante Merleau-Ponty non abbia trattato esplicitamente i temi dell’intenzionalità erotica e dell’azione sessuale del corpo, è dall’accurato studio “analitico” «secondo il metodo semiotico» (18) dei suoi costanti riferimenti al corpo (disseminati nelle diverse opere) e alla sessualità (in particolare, quella maschile da cui viene implicata quella femminile, in Phénoménologie de la perception) che Donegà estrae e ordina con certosina pazienza tutti i “fili” – inerenti al corpo, al comportamento, alla percezione, alla sessualità, alla natura, alla libertà dell’azione – necessari a una discorsiva tessitura «per una comprensione del corpo nell’attuale contesto culturale» (anche avvalendosi e confrontandosi con altri studiosi del fenomenologo francese, specie per i passaggi più problematici), inserendosi così «umilmente in quest’antro della ricerca per cogliere qualcosa che il filosofo, pur non avendo detto espressamente, può aver lasciato intendere in conformità con quanto ha scritto» (15), dal momento che – come lo stesso Autore dichiara programmaticamente al lettore – «È nella linea della “soggettività incarnata e percipiente la quale incrocia il suo essere più intimo nel chiasma con mondo e con gli altri” che si sviluppa lo specifico dell’intenzionalità erotica che intendiamo affrontare in quanto non ci risulta sia stato oggetto specifico di studio. È qui che per, Merleau-Ponty, la percezione si rivela anche un’etica: “La percezione fonda anche la moralità, che non può consistere nell’adesione privata a certi valori”, ma in un necessario corpo a corpo, quale condizione per passare per l’altro per poter dare rilievo e profondità a se stessi e al mondo di tutti» (ibidem). L’impianto compositivo di questo sostanzioso e, concordiamo, riuscito progetto – giudicato da José Noriega, nella sua breve ma pregnante Prefazione «un capolavoro» (6) – si articola in due parti, a loro volta, suddivise in quattro capitoli. Nella Parte Prima, dal titolo La percezione del corpo, viene sviscerata con pervicace acribia (ma anche poetica sensibilità alle variegate sfumature delle sue articolazioni) la concezione fenomenologica merleau-pontiana «del corpo concreto, del corpo cioè in situazione come una realtà unica e indissociabile non concepibile astrattamente nel pensiero ma nelle sue relazioni concrete con il mondo» (293). Di siffatto “corpo” – «come realtà ambigua o enigmatica» (23), né soggetto né oggetto, secondo Merleau-Ponty, ma «soggettività o visibilità» tramite la coscienza percettiva (ibidem) – l’Autore tratta, nel capitolo primo, la “realtà”, nel secondo, la “carne”, nel terzo, la “percezione” come “luogo dei significati umani”, nel quarto, il suo essere “in relazione con il mondo”. Nella parte seconda, intitolata L’intenzionalità del corpo sessuato – in cui intende esaminare il «corpo come essere sessuato e di conseguenza la valenza dell’intenzionalità erotica in ordine all’agire del corpo sia in generale e sia in particolare nell’azione sessuale» (163) –, i temi del rapporto del corpo sessualmente differenziato nei confronti del suo intorno, dell’incidenza della connotazione sessuale sulla sua strutturale apertura, del desiderio, dell’istinto e della dimensione affettiva, del significato dell’atto sessuale, delle dinamiche della scelta in grado di orientare l’intenzionalità (che richiedono una riflessione sui significati di natura e di libertà) sono tutti esposti, anche qui con un costante riferimento alle fonti, nei quattro capitoli che si succedono come La sessualità del corpo, L’intenzionalità erotica, La libertà e la natura e, da ultimo, L’azione del corpo, che precede il suggello della Conclusione generale. A nostro modesto avviso, il maggiore merito e la principale chiave di lettura di questo studio sull’intenzionalità erotica e sull’azione del corpo sta proprio nel coraggioso porre lo sfavillante palpitio della natura enigmatica e ambigua della “realtà” del corpo a fondamento della sua stessa lettura; di un corpo, cioè (che si arriva a conoscere solo vivendolo), finalmente sottratto all’illusoria “stabilità” sia della meccanica sia della psicologia classica, le quali, in nome di una discutibile cristallizzazione oggettivante finalizzata al suo dominio conoscitivo (ma, di fatto, l’inconfessata premessa del suo svuotamento valoriale), ne mortificano la fiamma vitale, disconoscendone, peraltro, le individuate “originalità”, quando, invece, «il corpo non può essere un oggetto qualsiasi, è un essere chiamato al mondo per entrare in relazione con il mondo. Il corpo non è da vedere, come ci potrebbe avere abituato un certo costume contemporaneo, ma è da vivere» (25). In una società pervasa da istanze culturali le quali – dimentiche che «non basta avere un apparato genitale per assumere posizioni erotiche» (294) – esortano ad un consumo vieppiù sfrenato di una sessualità sostanzialmente autoerotica e narcisistica, disgiunta da una corporeità, al contrario, intrinsecamente e tendenzialmente percepente l’altro da sé (e perciò non decontestualizzabile da quel rapporto reciprocamente informante con l’ambiente in cui si pone), questa scelta si dimostra convincente oltre che persino compatibile con i frutti più maturi della scienza stessa, alla cui porta – e non dimentichiamolo! – pure bussa la vita, imponendole un ripensamento del posizionamento dell’“osservatore” ora esposto all’impetuosa spinta delle più recenti acquisizioni.
Sotto il nome di entanglement, inseparabilità del sistema osservatore-osservato, possibilità che il tempo sia una variabile della quantità di informazione processata, dualità onda-particella, teorie della complessità e autoorganizzazione dei sistemi complessi (il cui grado di entropia è in una relazione inversa a quello di apertura, e quindi di consonanza, con l’ambiente), teoria dei neuroni specchio (che sembra confermare, nella sua indagine sulla molteplicità condivisa, l’intuizione merleau-pontiana che «l’altro da sé suscita una presenza latente che il corpo percepente porta in superficie» [293]), ecc., tutte queste “novità” della scienza evidenziano come l’antinomia non sia una spiacevole conseguenza di un incidente nella conduzione logica dell’indagine scientifica, ma l’ineludibile e biologica espressione del dinamismo della coscienza umana, che si sostanzia di antitesi proprio per quella “bipolarità” del reale stesso di cui il suo cervello è il più evoluto strumento di decrittazione.
Il fatto che questo percorso sia stato compiuto “a prescindere dalla morale cristiana”, come già sottolineato, nulla toglie alla sua assiale presenza, che spontaneamente si presenta alla coscienza del lettore. Come poeta, oltre che come studioso, don Daniele Donegà non ha di certo ignorato la “simultaneità essenziale” e verticalizzante che proietta – nel sempre attuale arco tensivo fra scritto e oralità – il balenio delle puntiformi tracce dell’Eterno nel prosodico andamento dell’esistenza umana.
Tratto dalla rivista Lateranum n.2/2013
(http://www.pul.it)
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