Riuscire a far leggere la vita di un santo, per di piu' filosofo quale Agostino, come un saggio biografico che avvince, non stanca e, al tempo stesso, comunicarne pensiero , spiritualita', riflessione teologica, e' il miracolo che riesce a fare questo libro. Il segreto di Papini sta nel ''taglio'' dato all'argomento, cui si unisce la capacita' narrativa, l'attualizzazione della materia che fa sentire nell'oggi l'opera del protagonista, la partecipazione appassionata alla sua vita di peccatore, di convertito e finalmente di pellegrino in viaggio verso l'Assoluto.
ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
Il Sant’Agostino di Giovanni Papini
di Carlo Lapucci
Dopo essere stato uno dei protagonisti culturali della prima metà del secolo scorso Giovanni Papini (1881-1956) è oggi una voce in sordina. L’importanza storica che ha avuto e gl’indubbi talenti, in certi casi straordinari, non ne hanno consentito l’archiviazione come è stato invece per altri intellettuali del suo tempo. Così ha sentenziato Jorge Luis Borges: «Sospetto che Papini sia stato immeritatamente dimenticato».
Nato come uomo controcorrente, dissacratore, ateo, antiaccademico, ribelle, anarcoide neppure nel Sessantotto i giovani lo riconobbero come un possibile precursore, tale era stato il suo tradimento entrando, sia pure a modo suo, nell’ufficialità. Era comunque un individualista e nessun movimento del dopoguerra poteva trovarlo utile.
Più ancora hanno pesato, soprattutto negli ultimi anni della sua vita, i compromessi col Regime, tanto più che, a differenza di molti altri, non si tuffò nelle acque salutari che potevano anche redimerlo.
In realtà oggi Papini appare come una figura a sé stante, irriducibile a una precisa categoria, tanto egocentrico da pensare che le istituzioni avessero più bisogno di lui che non il contrario. Di fatto il fascismo non lo accolse subito con entusiasmo nella sua Accademia; il cattolicesimo se lo trovò combattente al proprio fianco, ma a sparare dove piaceva a lui e non sempre dalla parte giusta.
Meglio vederlo come esponente dello smarrimento di un’epoca: era un uomo che al di là dell’ostentata sicurezza, avvertiva l’imminente frana che stava preparando la storia, e inconsciamente cercò appoggio nelle istituzioni forti. Eppure sentiva fittizia ogni soluzione, perché la febbre era in tutto il mondo. Che non è se non incertezza essere in successione ateo, pragmatista, nazionalista, vociano, futurista, cattolico in odore d’eresia?
Ma è questa irrequietezza la chiave nella quale va letto oggi Papini: i difetti sono gl’ingredienti di cui è fatta una personalità singolarissima e tutta italiana con l’ansia di trovare, scoprire, distruggere, rinnovare. La sua nota più vera, sopra i giochi di prestigio di cui era maestro, è il disagio con il quale avvertiva che il mondo tragicamente stava cambiando pelle. La crisi della fede che scontiamo oggi già è anticipata nelle pagine delle Memorie di Dio che scrive a trent’anni. Dio e il Male sono i temi del suo tormento e della sua meditazione, anche se condotta in piazza e con un notevole compiacimento, e questo binomio non lo abbandonerà mai.
Uomo di polemica e di critica, con tutti i difetti del polemista sarcastico, orgoglioso e mai soddisfatto, anche se disordinatamente, ha contribuito allo svecchiamento di un’Italia ancora piccola e conformista, combattendo le sterili conventicole letterarie dei santoni della cultura fondata sulle parole lontane dai fatti. Vediamo oggi quanta ragione avesse nell’infrangere l’opaca serra letteraria del crocianesimo per più ragioni morto e sepolto. Le Stroncature sono un libro vivo da non dimenticare, perché la cifra più felice di Papini è il paradosso.
Sono i suoi grandi difetti, vissuti spregiudicatamente, ma coraggiosamente, che gli hanno permesso di essere Papini: qualcosa che dovrebbe far capitolo a parte nella storia della letteratura. Gli hanno consentito di scrivere libri di risonanza mondiale come la Storia di Cristo e Un uomo finito; di animare riviste che hanno rinnovato l’asfittico ambiente culturale italiano e d’aver lasciato pagine memorabili da rintracciare in un’opera vasta e caotica, a volte estemporanea e non equilibrata per qualità e valore.
La biografia d’Agostino
Questa biografia di Sant’Agostino può aver soddisfatto il suo bisogno di una visione capace di dare risposta all’instabilità, all’incertezza, all’inquietudine, all’ansia di sanare il conflitto tra Dio e il Male, di trovare finalmente una verità che risolvesse il dissidio del quale era fatta la sua anima, ma temo che il Santo d’Ippona abbia spostato la lotta dal mondo all’interno del suo spirito.
Comunque riuscire a far leggere la vita d’un Santo, per di più filosofo quale Agostino, come un saggio biografico che avvince, non stanca e, al tempo stesso, comunicarne pensiero, spiritualità, riflessione teologica, è il miracolo che riesce a fare questo libro. Non che nella vita del Santo manchino elementi tali da catturare l’attenzione anche di un lettore un po’ disattento, ma il fatto singolare è che gran parte della sua vita il vescovo d’Ippona l’ha trascorsa scrivendo e l’interessante della sua esistenza sta sì nella sua esperienza umana, ma soprattutto nei suoi scritti.
Affrontando la lettura quindi si deve tener conto di questa singolare difficoltà presentata dall’argomento, non superando la quale, il libro poteva diventare non una biografia come questa, ma un arido resoconto degli scritti, interessante solo per coloro che hanno confidenza con il pensiero e la filosofia.
Papini aveva una particolare capacità per scrivere biografie e molte hanno avuto grande successo a cominciare dalla propria, Un uomo finito. Il suo segreto principale sta nel “taglio” che egli riesce a dare al soggetto, vale a dire: la prospettiva da cui guardare gli avvenimenti, e soprattutto la selezione delle parti significative nell’immenso insieme dei fatti e dei dati. Se si unisce a questo la capacità narrativa, la partecipazione appassionata alla vita, l’attualizzazione della materia che fa sentire nell’oggi l’opera del protagonista, la biografia acquista il coinvolgimento del romanzo. Naturalmente può trattarsi di rigorosa ricostruzione di un corso di eventi, come di rielaborazione d’un materiale raccolto dalla dimensione più fantastica o leggendaria, come gli è accaduto ne I testimoni della Passione.
Tono generale
Una cosa che si nota al primo incontro con questa opera è una certa enfasi papiniana, una abbondanza di termini, sovente sinonimi, un fraseggio ridondante fino a rasentare l’ipertrofia, in più il gusto di trattare la lingua nelle sue regole con una certa creatività, insieme a una tendenza a elaborare anche termini più espressivi da parole preesistenti. A volte la manipolazione è felice e il testo se ne avvantaggia in espressività e vivacità; a volte invece l’operazione risulta un po’ artificiosa o pleonastica, non necessaria o fatta per gusto d’originalità che attualmente rivela tutto il peso dei suoi anni, dal momento che si sono affievoliti quei movimenti letterari come il futurismo che incoraggiavano per tale strada.
Tuttavia questo salire a volte sopra le righe è un po’ il prezzo che Papini paga alla sua irruenza, al suo coinvolgimento personale nel personaggio e alla sua capacità di trascinare il lettore in una vicenda che si svolge tra l’immanente e il trascendente, il tempo e l’eterno, la dannazione e la salvezza, il narratore e il protagonista della storia.
Infatti, nel raccontare la storia di Agostino, Papini ripercorre la propria di peccatore, di convertito e di pellegrino verso la Gerusalemme Celeste. Il Santo d’Ippona è il modello eccelso della sua vicenda che è sì più modesta, ma perfettamente corrispondente all’esempio. Ambedue nella gioventù seguono strade errate. Ambedue sono intellettuali e trovano la salvezza attraverso la mente, il pensiero, la riflessione: il miglior corredo a questa lettura, se la si vede dalla prospettiva dello scrittore, sarebbero le pagine dell’opera della conversione papiniana: Un uomo finito.