Dio oggi
-Con lui o senza di lui cambia tutto
EAN 9788882725174
Atti dell’evento internazionale organizzato dal Comitato per il progetto culturale della CEI nel dicembre del 2009 che ha analizzato la relazione tra Dio e il mondo contemporaneo. Suddiviso in quattro sessioni – «Il Dio della fede e della filosofia»; «Il Dio della cultura e della bellezza»; «Dio e le religioni»; «Dio e le scienze» –, ha affrontato il tema non solo attraverso lezioni magistrali, ma anche presentazioni di libri, esecuzioni di brani musicali, esposizioni d’opere d’arte, proiezioni cinematografiche e conversazioni, alle quali hanno partecipato personalità eminenti sia del cosiddetto mondo laico, sia di quello cattolico (cf. Regno-doc. 1,2010,32).
Tratto dalla Rivista Il Regno 2011 n. 4
(http://www.ilregno.it)
Il volume raccoglie «le relazioni tenute nelle quattro sessioni plenarie» (dalla Presentazione di Sergio Belardinelli, p. 7) dell’evento internazionale promosso dal Progetto culturale della Cei dal 10 al 12 dicembre 2009. Come auspica il Messaggio di Benedetto XVI al cardinale Angelo Bagnasco (pp. 9- 11), «l’ampiezza di approccio alla importante tematica […] sarà di stimolo per una più profonda riflessione sul posto che occupa Dio nella cultura e nella vita del nostro tempo» (p. 9).
Mentre alcuni (in questo volume, per esempio, recensiti dal cardinale Angelo Scola) danno per scontata una situazione di “secolarizzazione in atto” (p. 84), non va esclusa, pur nelle ambiguità di una certa persistenza del sacro, una persistenza della domanda su Dio. Il che consente, così, di provare a delineare «le condizioni per il re-incontro tra la domanda religiosa postmoderna e il Dio di Gesù Cristo» (Scola, p. 102). Non caso, in questa prospettiva, mentre la filosofia teoretica continua a occuparsi del tema “Dio”, studiando le condizioni di possibilità del suo esserci, della sua essenza, del suo poter essere conosciuto da una mente umana e detto in categorie culturali, il cardinale Bagnasco ricorda che «soprattutto nel mondo occidentale, la questione di Dio è lasciata fuori dei percorsi abituali della cultura» (p. 14).
Il Dio della rivelazione dell’Esodo, come ricorda l’analisi di Gianfranco Ravasi in questo stesso volume (“Nessuna figura voi vedevate […] solo una voce”, pp. 117-129), essendo qualificato con un nome dinamico, ripreso anche dal Cristo giovanneo, è un Io-Sono che «parla e agisce, interviene giudicando e salvando e tutta la rivelazione ne è l’attestazione » (p. 119). Per ovviare a questa quasi-emarginazione, che sarebbe intervenuta nel postmoderno, e non estromettere di fatto il “soggetto” Dio dalla nostra storia (cf. Introduzione di Andrea Riccardi, p. 28), ecco, dunque, i 14 interventi raccolti nel volume, articolati sul confronto tra Dio della fede e della filosofia (pp. 25- 76, con interventi di Andrea Riccardi, Camillo Ruini, Robert Spaemann); Dio della cultura e della bellezza (pp. 77-129, con interventi di Lorenzo Ornaghi, Angelo Scola, Roger Scruton, Gianfranco Ravasi, Antonio Paolucci); Dio e le religioni (pp. 131-178, con interventi di Francesco Botturi, Rémi Brague, Massimo Cacciari); Dio e le scienze (pp. 179-221, con interventi di Ugo Amaldi, George V. Coyne, Michael Novak, Peter van Inwagen). Per motivi di spazio, ci si sofferma soltanto su alcuni contributi con rilevanza filosofica, lasciando all’approfondimento del lettore gli altri. Il cardinale Ruini, nel suo ampio saggio (Le vie di Dio nella ragione contemporanea, pp. 29-56) precisa l’intento dell’intero evento e non soltanto del suo scritto: dare al problema di Dio una risposta più forte di quella della filosofia, «perché facciamo apertamente riferimento non a un generico concetto di Dio, ma al Dio della nostra tradizione religiosa […] e soprattutto al Dio di Gesù Cristo» (p. 31).
Il che, ovviamente, pone il problema se si tratti di approccio filosofico stricto sensu o già teologico e, soltanto in seconda battuta, anche filosofico nel senso di approfondimento dei motivi di convenienza razionale di quanto creduto per fede. Secondo Ruini, il riferimento specifico è al fenomeno religioso ebraico e cristiano, senza però escludere anche una riflessione razionale su Dio, circa la quale egli scarta le vie a priori, preferendo, in quanto praticabili oggi, «soltanto percorsi a posteriori, in concreto a partire dall’esistenza di realtà di cui abbiamo esperienza» (pp. 35-36). L’evidente realismo critico – o, come lo chiamava Pasquale Orlando, intellettualismo critico – della scelta speculativa non dovrebbe comportare, però, una ripetizione dei procedimenti metafisici antichi e medievali, anzi, ad avviso del cardinale, «la metafisica oggi deve procedere a una autolimitazione e rigorizzazione, che vadano nettamente al di là di quanto è stato già operato dai grandi metafisici dell’antichità e del medioevo» (p. 55).
La prospettiva è ardita e, forse, più enunciata che provata in queste poche pagine. Certo, i procedimenti teoretici non possono avere la pretesa di dire e conoscere l’Assoluto sotto ogni aspetto, essendo egli, come ricorda anche Ruini, semper maior. Ma è proprio la tradizione filosofica che, da Massimo il Confessore e lo pseudo-Dionigi Areopagita fino a Tommaso d’Aquino e oltre, ha contribuito proprio a balbettare, pur nei limiti delle nostre possibilità conoscitive, qualcosa circa l’eccelso senza limitazione e rigorizzazione. Non a caso, anche il saggio di Cacciari (Il problema del monoteismo, pp. 169-178) ricorda il paradosso di ogni monoteismo: un Dio assoluto che si risolve nella propria autosussistenza, da un lato, e dall’altro in grado svuotarsi, di fare esodo, fino allo svuotamento, all’abbandono di sé e alla morte (p. 172). Solo che, spesso, il monoteismo finisce per essere vissuto come astratto teismo.
Dal canto suo, il saggio di Ruini conduce, poi, a formulare correttamente le domande di fondo, proprie di ogni ricerca filosofica cristianamente orientata: «rispondere non soltanto alla domanda se Dio esista (an Deus sit) ma anche, almeno in misura, alla domanda chi, o che cosa, egli sia (quid Deus sit)» (p. 36). Il che comporta, come precisa l’autore, anche una critica radicale al «principale corso del pensiero moderno e contemporaneo» (pp. 38-39). Modernità, tra l’altro, che è anche scienza galileiana, newtoniana e darwiniana, e più recentemente neocosmologica (con il caso e l’imprevedibilità che diventano fattori importanti quanto il finalismo nell’evoluzione cosmica), come mostra, in questo stesso volume, il saggio di Coyne, già direttore della Specola Vaticana (Dio creatore di un universo in evoluzione, pp. 187-193).
Non a caso, per Coyne, il tema Dio andrebbe compreso, simpateticamente con il moderno, osservando che Dio è il «creatore di un universo dove il fine e il progetto non sono i soli, e neanche i più importanti, fattori, ma dove la spontaneità e l’indeterminismo nell’universo hanno contribuito in modo significativo all’evoluzione di un universo in cui è apparsa la vita» (p. 187). Il che comporta, tra l’altro, che una moderna interpretazione puramente scientifica «dell’evoluzione non costituisce un argomento contro la teologia cristiana, che afferma che Dio è il creatore e colui che mantiene nell’essere l’universo» (dal saggio di Martin A. NOWAK, Dio e l’evoluzione, pp. 195-202, qui 195). Nel dibattito circa l’autocritica cristiana del moderno, rilanciato dall’enciclica Spe salvi di Benedetto XVI, Ruini ritiene si debba praticare non tanto un rifiuto globale del pensiero moderno, «ma solo un suo ri-orientamento, certamente profondo ma anche fecondo e “liberatorio” rispetto alle restrizioni che attualmente il pensiero sta subendo» (p. 39).
Il tema della modernità ritorna a più riprese nel corso di questo volume anche sotto il profilo estetico, a cui rinvia particolarmente la sezione dedicata al trascendentale della bellezza. Anche Brague (La religione e gli dei, pp. 153-167) ritiene che tutto il progetto moderno sia, in definitiva, un progetto «di un’autoposizione dell’uomo, di un “regno dell’uomo”, come diceva Bacone, o di un umanismo “radicale” per dirla con Marx» (p. 163). Solo che il generalizzato rifiuto di trascendenza, che ne sarebbe l’esito, potrebbe conferire a ogni singolo o collettività odierni «il diritto di scegliere la figura del divino che è di suo gradimento » (p. 167), non senza esiti di autodistruzione. Di qui, secondo Ruini, tre possibili percorsi razionali verso Colui col quale o senza il quale tutto cambia: ontologico, ma a posteriori (quindi, non l’unum argumentum di Anselmo) in quanto inizia, come suggerisce Ghislain Lafont, dalla constatazione che esiste qualcosa anziché il nulla; constatazione empirico-razionale, condotto in dialogo con la matematica e la fisica contemporanee; costatazione della capacità che il soggetto umano ha di amareaccogliere- compiere il bene.
Anche Spaemann, nel suo contributo (La ragionevolezza della fede in Dio, pp. 57-76), ribadisce la differenza tra spiegazione scientifica («ricerca di condizioni, non si domanda che cosa è qualcosa e perché è, ma quali sono le condizioni del suo sorgere», p. 59) e spiegazione di fede filosoficamente fondata (colui che crede in Dio, crede «in una fondamentale razionalità della realtà», p. 60). La ricognizione delle principali obiezioni mosse dalla filosofia occidentale da Kant in poi non cancella la traccia di Dio nel mondo, anche se «questa traccia ha la peculiarità di coincidere con il suo scopritore, e dunque di non esistere indipendentemente da lui» (p. 73). Se, come chiosa monsignor Rino Fisichella nelle Conclusioni (pp. 225-236), «Dio oggi non è negato, è sconosciuto» (p. 226), ben vengano libri come questo per ri-orientare in senso cristiano le conoscenze.
Tratto dalla rivista "Asprenas" n. 4/2010
(http://www.pftim.it)
Come evidenziato nello stesso titolo, costituisce il secondo volume del «convegno internazionale “Dio oggi. Con lui o senza di lui cambia tutto”» (quarta di copertina), nel quale sono riportati I Dibattiti ed affronta il tema di Dio da un punto di vista più quotidiano, più familiare. Un tale approccio può far nascere prevenzioni agli amanti di testi ponderosi, con ampie bibliografie e dispendi di note: qui mancano entrambe (bibliografia e note), salvo poche eccezioni.
Gli interventi, troppo numerosi per concedere un’adeguata ampiezza ai temi trattati, sono assai concisi e scorrevoli: adatti ad un vasto pubblico di non specialisti (ma non solo). Va notato l’anteporre ai nomi dei singoli relatori l’eventuale titolo ecclesiastico (es.: Mons.), che fornisce una concezione un po’ retró; per contro, senz’altro utile la concisa presentazione dell’autore all’inizio del singolo intervento. Da notare, invece, un utile ed abbastanza ampio Indice degli argomenti (241-250), che precede l’Indice dei nomi (251-254). Gli argomenti, come accennato, si inseriscono in un orizzonte variegato e sono: Dio nel cinema e nella televisione (11-40), Dio nella letteratura e nella poesia (41-69), Dio e l’anima (71-98), Dio in libreria (99-113), Dio, la vita e la vita umana (115-134), Dio nella musica ieri e oggi (135-152), Dio e la violenza (153-177), Creazione e/o evoluzione (179-209), Dio la storia e la politica (211-239).
Come si evince dall’elenco di cui sopra, forse un po’ lungo, ma utile per un’adeguata panoramica del testo, in questa sede non è possibile esaminare ognuno dei temi, per l’eccessivo spazio che comporterebbe; motivo per cui mi soffermerò soltanto su alcuni. Ciò che mi preme sottolineare è che pur essendo un testo divulgativo e, quindi, diretto al grande pubblico, può essere motivo di interesse anche per utenti più impegnati, date le numerose suggestioni in esso contenute. Dio e l’anima è il terzo dei temi trattati e prende spunto dal volume di G. Canobbio, Il destino dell’anima. Elementi per una teologia, Morcelliana, Brescia 2009; su cui mi soffermerò brevemente, accennando all’intervento tenuto dal suo autore; da evidenziare che anche altri temi prendono spunto da un saggio.
Nella sua Introduzione, I. Sanna, scrive: «la tesi del professor Canobbio è che il concetto dell’anima può ancora oggi salvaguardare la singolare origine e unicità dell’essere umano e rappresentare il necessario presupposto per destinare l’uomo alla vita eterna» (73). La frase va compresa, previo un adeguato approfondimento del termine “anima”, che sia in grado di proiettarlo al di là di una visione grettamente dualista; visione che scinde, e pone sostanzialmente in contrapposizione, anima e corpo. Più avanti, lo stesso I. Sanna, nella sua Replica, pone in guardia nei confronti di «una fisica dell’immortalità» (83). È un tema, però, che non può essere liquidato semplicisticamente; infatti, se v’è un corpo risorto (oltretutto, verità di fede cattolica), questi dovrà possedere caratteristiche, in qualche modo, fisiche. Sottolineo in qualche modo, perché non è possibile specificare meglio, dal momento che le suddette caratteristiche sono da porre in una dimensione diversa dalla nostra; ma comunque non nell’ambito del puro spirito. Come dire che il concetto di cui sopra possiede una doppia chiave di lettura: su un fronte, non si può relegare la dimensione dell’eterno ed in particolar modo quella dello spirito nella dimensione dello sperimentabile, come noi attualmente lo intendiamo, cioè nell’attuale spazio-tempo. Sul fronte opposto, non si può pensare che “l’immortalità” sia affatto priva di ogni dimensione fisicamente intesa, sia pure ovviamente di una fisica diversa da quella che percepiamo costantemente.
In altri termini, sia apre una discussione complessa, in cui le difficoltà superano di gran lunga le certezze; ma non per questo si può rigettare tout court la questione. Un ambito di vera frontiera; la quale, però, ci impone di ripensare paradigmi in passato dati per scontati, ma alla luce degli attuali sviluppi della scienza (sperimentale e di conseguenza anche speculativa) bisognosi di necessari approfondimenti (stravolgimenti?). Nel suo intervento, M. Lenoci pone giustamente in guardia verso superficiali aperture: «Al giorno d’oggi […] la sfida più articolata e argomentativamente più rischiosa proviene dalle neuroscienze» (77). Pongo l’attenzione su quel “più rischiosa”, che rappresenta in qualche modo il sottile, quasi impalpabile, filo rosso sotteso a tutto l’intervento.
Se, anche a motivo del fatto che l’autore insegna Storia della filosofia, si deve porre attenzione a non avventurarsi in sentieri pericolosi con baldanza superficiale; per contro, la scienza si arricchisce proprio dall’esaminare siffatti (pericolosi, ma anche potenzialmente ricchi) territori sconosciuti: il vero uomo di scienza non può esimersi dall’essere un esploratore dell’ignoto; ovviamente, giova ripeterlo, con tutti i rischi che ciò comporta e, quindi, la necessaria attenzione da tributargli. Nell’ambito dello stesso argomento, segue l’intervento del già citato Canobbio, il quale scrive: «L’anima non è intesa […] come un elemento che compone l’essere umano accanto al corpo, ma la vita stessa in quanto protesa verso il Dio della vita in attesa di essere da lui portata alla pienezza» (88).
Il sottoscritto nutre tendenzialmente riserve vero il termine «anima», che facilmente può indurre immagini di tipo dualistico (con una conseguente semplicistica contrapposizione rispetto al corpo); ciononostante accoglie positivamente la definizione di cui sopra, poiché giustamente evidenzia l’intrinseco legame con la sua dimensione fisica. Definizione che potrebbe essere utilizzata per una (eccessivamente?) succinta sintesi del pregevole volume, citato poco sopra. In merito, poi ai rischi, a cui ha fatto riferimento Lenoci, può essere interessante rilevare che detto volume si apra con il capitolo Uno sguardo alle provocazioni, del quale il primo paragrafo si intitola proprio Anima o cervello?. Il quinto argomento è aperto da G. Ferrara, il quale afferma: «Attraverso il sacrificio del Verbo incarnato, nell’idea che la morte sia stata sconfitta, nell’idea che il peccato possa essere riscattato, è evidente che la vita ottiene un significato molto più ampio del semplice bios» (118); frase rilevante, tanto più che lo stesso poco sotto precisa: «Lo dico non essendo all’interno delle mura della Chiesa».
A. Schiavone lancia una seria considerazione, pur se palese gli occhi di tutti: «Noi ci troviamo da quasi novant’anni in una situazione di stallo del grande pensiero dell’Occidente» (124), evidenziando che: «Da […] gli anni 20 del Novecento, l’Occidente non si è più interrogato a fondo su se stesso e sui propri fondamenti» (124-125). Dopo alcune ulteriori considerazioni, afferma: «è il momento di una interpretazione radicale […] del “date a Cesare quel che è di Cesare [ecc.] le religioni monoteiste e, quindi, anche il Cristianesimo, hanno una intrinseca vocazione politica» (127). Quelle sopra riportate, ed altre, sono provocazioni dal grande peso specifico: sulle quali sarebbe davvero opportuno riflettere con impegno. Degno di interesse l’intervento, pur molto conciso, di E. Berti: Disponibilità o indisponibilità della vita (129-132), con taglio prevalentemente etico; il quale inizia precisando: «Benché io sia credente, ritengo che la vita […] umana sia un valore talmente importante e fondamentale, che la sua difesa non può essere fatta dipendere dall’adesione ad una confessione religiosa» (129). Ne segue: «non condivido la contrapposizione […] nel dibattito bioetico, specialmente italiano, tra bioetica laica e bioetica cattolica» (130); il sottoscritto aderisce in pieno a quanto sopra, sottolineando che la questione sia sostanzialmente artefatta: se la bioetica assurge al valore di scienza, sarebbe come affermare che vi sia una matematica, o una fisica, laica ed una cattolica; pur se, ovviamente, la questione non può essere liquidata con una battuta.
Accennando, poi, all’importanza della vita umana, il nostro scrive: «mentre sul rifiuto dell’aborto non ho alcuna incertezza, per quanto riguarda la fine della vita ho qualche problema. Anche ammettendo che la vita sia un dono di Dio, non v’è dubbio che in una certa misura colui che la possiede […] ne può disporre» (132). A differenza della precedente, non me la sento di sposare del tutto questa affermazione; però, è innegabile che meriti un’adeguata riflessione e disamina, in quanto tutt’altro che banale. Il penultimo tema viene introdotto da F. Facchini, il quale, citando la Gaudium et spes, al n. 36, scrive: «“le realtà profane e le realtà della fede hanno origine dal medesimo Dio”, quindi non potrà esserci un reale contrasto» (181). Fermo restando che in tale frase il Concilio Vaticano II cita il Vaticano I, il testo conciliare continua: «A questo proposito ci sia concesso di deplorare certi atteggiamenti mentali, che talvolta non sono mancati nemmeno tra i cristiani, derivati dal non avere sufficientemente percepito la legittima autonomia della scienza» e poco dopo fa esplicito riferimento, in nota, al caso G. Galilei.
È evidente quanto ci si debba tenere distanti dai due pericolosi scogli di Scilla e Cariddi, costituiti dall’assolutizzazione della sola scienza, ma anche della sola visione religiosa: purtroppo, anche oggi sono tutt’altro che inesistenti posizioni che ad essi sono assimilabili. D. Alexander, autore del libro avente lo stesso titolo dell’intervento Creazione o evoluzione. Dobbiamo scegliere?, scrive: «le grandi teorie della scienza, spesso possono essere avvolte da diverse credenze ideologiche e metafisiche – credenze che vanno ben oltre la scienza» (183). E, più avanti specifica: «la dottrina cristiana [della creazione, n. d. r.] non si focalizza sulle origini, ma sull’ontologia, sul perché c’è qualcosa invece del nulla» (185), proseguendo: «evoluzione […] non è una filosofia […] la teoria dell’evoluzione è la migliore spiegazione scientifica che abbiamo sulle origini di tutta la diversità biologica di questo pianeta» (185-186).
Continua, inoltre: «L’impressione, quindi, è che il processo evolutivo […] sia compatibile con l’idea di un Dio che ha intenzioni e propositi per il mondo» (188), adducendo quattro prove in merito. Chiarisce, sia pure con le inevitabili restrizioni del ridotto spazio a sua disposizione, come in realtà non vi sia alcuna antinomia tra “creazione” ed “evoluzione”. Il testo che abbiamo presentato indica un ampio spettro di tracce stimolanti per un pubblico molto variegato, per gamma di interessi e per profondità di preparazione.
Tratto dalla rivista Lateranum n. 3/2012
(http://www.pul.it)
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