Sono due testi sacri differenti: uno e' la Bibbia di ebrei e cristiani, l'altro e' il Corano dei musulmani. Fronte a fronte, Bibbia e Corano parlano, spiegano, fanno capire che i ''popoli del Libro'' non hanno affatto lo stesso Libro.
INTRODUZIONE
Molti parlano di “Popoli del libro”. Frase bella, evocativa. Parole cariche di spirito ecumenico, di buona volontà, di dialogo tra fedi. Sono parole di Maometto, riportate dal Corano, e stanno ad indicare ebrei, cristiani e musulmani uniti, appunto, dallo stesso Libro.
Il problema, non piccolo, è che non è così. Nessun Libro unisce ebrei, cristiani e musulmani, per la semplice ragione che Maometto, nel suo Corano, accusa a più riprese, a volte veementemente, ebrei e cristiani di avere falsificato la Bibbia, per non parlare del Vangelo.
Maometto sostiene che siamo gente non del nostro, ma del suo Libro, il Corano, in cui afferma, peraltro, che Abramo non era «né ebreo né cristiano»; Maometto sostiene inoltre che mente chi dice che Gesù Cristo è morto in croce, per citare solo due dei passaggi cruciali che impediscono di credere alla finzione che le tre religioni abbiano lo stesso Libro.
Sono due libri differenti: una è la Bibbia di ebrei e cristiani, l’altro è il Corano dei musulmani, senza rapporti reciproci, se non formali.
Sono anche due concezioni radicalmente differenti di Dio, come una ricca pubblicistica cristiana ha evidenziato. Là dove vi è piena continuità tra il Dio ebraico e quello cristiano, il Dio islamico è altro, a iniziare dal momento della creazione, perché non crea Adamo «a sua immagine e somiglianza».
Nessuna scala di valori, naturalmente. Nessuna pretesa di superiorità della Bibbia rispetto al Corano. Solo la constatazione che nulla o poco hanno a che fare l’una con l’altro, se non i nomi identici dati dal secondo a personaggi ed episodi della Bibbia, radicalmente trasfigurati, sino ad assumere volutamente tutt’altro significato.
Nessuna pretesa, tanto meno, di superiorità del Dio giudaico-cristiano rispetto a quello islamico. Solo la constatazione che l’uno stringe un patto di Alleanza con l’uomo, e lo reitera, mentre l’altro tutto fa, tranne che stringere un’ Alleanza e chiede, appunto, Islam, sottomissione.
Ma non di questo si vuole parlare in queste pagine. Da qui si parte per tentare di indicare una nuova strada di studio, di ricerca, di comprensione reciproca tra eredi della tradizione giudaico-cristiana (quindi anche gli atei, gli illuministi, gli agnostici di oggi) e i musulmani.
Se si prendono in esame, appunto, i brani della Bibbia e la loro trasposizione nel Corano, si nota ben altro, oltre alla loro radicale, totale differenza. Si nota, addirittura a colpo d’occhio, che l’uomo del Corano – non solo il Dio – nulla ha a che fare con quello della Bibbia. È una traccia, questa, stranamente mai seguita, pur essendo, come si vedrà, di una straordinaria fertilità.
Nelle pagine che seguono ci limitiamo ad avviare questa ricerca e indichiamo quanto emerge con più forza: l’uomo del Corano è a due dimensioni, ha l’anima, ma non la psyché, non sa cosa sia quella componente dell’anima che Platone definisce thymòs, quella pulsione irascibile che si appassiona per ciò che la parte razionale dell’anima ritiene vero e giusto, non sa cosa sia il Mito, cosa la pulsione verso Eros e verso Thanatos, non è passato attraverso il rito dionisiaco. È tutt’altro uomo.
Abbiamo preso in esame, e li riportiamo sinotticamente, alcuni tra i principali brani della Bibbia in cui spicca prepotentemente il tema della pulsione di morte e della tormentata scelta tra il bene e il male, a partire dalla creazione di Adamo, passando per Caino e il sacrificio di Isacco. A fianco, abbiamo riportato la versione degli stessi passaggi del Corano. Leggerli, confrontarli tra i due libri dà peso alla ipotesi che regge questa ricerca: la totale, assoluta mancanza di elaborazione del tema della “pulsione di morte”, legata alla elaborazione del Mito, così presente nella Bibbia, fa oggi la differenza, quella più radicale, tra la civiltà erede del giudeo-cristianesimo e quella islamica.
Un’ipotesi rafforzata dalla constatazione che negli ultimi decenni l’Islam ha dato vita a due scismi, quello wahabita-salafita di al Qaida e quello khomeinista, che teorizzano e praticano una vera e propria “Teologia della morte”. Ci stimola l’idea che questi due scismi islamici incentrati sul dovere del martirio – e ribadiamo il termine “scismi” – abbiano molto a che fare con questa mancanza di elaborazione del Mito e della pulsione di morte nel Corano.
Avanziamo la tesi che i tanti riferimenti giustamente elegiastici alle vette della civiltà islamica, non hanno senso se riferiti alla modernità. Perché la civiltà islamica si è autodistrutta dal suo interno. Perché non furono i Crociati, o i Mongoli, o i Turchi, a distruggere l’umanesimo islamico, ma il più ortodosso dogmatismo musulmano, il quale annientò un umanesimo musulmano che aveva imparato a frequentare il Mito ed Eros e Thanathos solo nel momento in cui si è ibridato con i popoli di tradizione ellenistico-ebraico-cristiana.
Avanziamo la tesi che la grande civiltà islamica medioevale sia stata solo un’ampia parentesi che lo stesso pensiero islamico ha chiuso, sacrificandola al dogma del Corano Increato, fine di ogni ipotesi di Mito, di interpretazione di ermeneutica, addirittura di gioia nel trattare il Verbo.
Vediamo nella proibizione della stampa del libro, che ha privato il mondo musulmano della circolazione di idee per oltre 350 anni a partire dal 1500, il dato materiale, il simbolo, il monumento negativo di questo percorso a ritroso. Lo strumento di distruzione di un umanesimo musulmano appreso da altre civiltà e con rapidità ripudiato, in nome del dogma. In nome di una religione in cui la Norma, la Legge, ha presto sopravanzato, egemonizzato la Rivelazione.
Ricordiamo che Averroè nulla contò nella civiltà islamica e che questo fu il simbolo della fine della gioia di un pensiero che si nutriva del rapporto tra fede e ragione. Di nuovo, disinteresse per il travaglio sulla Rivelazione, violenza nell’imporre la Norma.
Vediamo, infine, nell’uomo musulmano di oggi che si fa kamikaze e uccide donne e bambini e innocenti, e massacra ebrei come cristiani e musulmani – testimoniando così la sua fede – un lettore formale del Corano, come egli stesso rivendica di essere.
Leggiamo in questi due scismi islamici, in questa teologia della morte, una rottura frontale, drammatica col pensiero musulmano.
Avanziamo l’ipotesi che questo cammino di morte, che questo dirsi islamici per distruggere l’Islam, abbia comunque a che fare con l’uomo delineato nel Corano. Perché la sua fragilità, i suoi limiti, la sua mancanza di spessore, il suo non tormentarsi sul tema della morte, non lo rendono immune dalla penetrazione di uno scisma che fa dell’esaltazione della morte il proprio messaggio.
ESTRATTO DAL PRIMO CAPITOLO
Una diversa umanità
Fronte a fronte, Bibbia e Corano parlano, spiegano, fanno capire che i “popoli del Libro” non hanno affatto lo stesso libro, come tanti cristiani ripetono senza averlo letto. Non solo Allah non si traduce con Dio, ma pure l’Adamo della Bibbia non è neanche lontano parente dell’Adamo del Corano: due uomini che non hanno nulla in comune. Non è necessario essere teologi per comprenderlo leggendo i due libri fronte a fronte, anzi, è meglio non essere teologi. I teologi, infatti, hanno l’ottima abitudine di guardare a Dio, ma spesso, alzando troppo lo sguardo, si dimenticano dell’uomo, scordano che ad una concezione diversa dell’uomo corrisponde una diversa concezione di Dio.
E questo è, appunto, il caso di Islam, ebraismo e cristianesimo.
Se si leggono il Corano e la Bibbia parola per parola, con occhi semplici, di verità, se li si accosta là dove parlano di Dio e dell’uomo, balza agli occhi una differenza radicale, assoluta: innanzitutto, l’uomo di cui ci parla Maometto non è creato a immagine e somiglianza di Dio – come si sa, o si dovrebbe sapere – è quindi tutt’altro rispetto a quello di cui ci parla la Bibbia.
Questa prima, radicale differenza, questa negazione di un Adamo a “immagine e somiglianza di Dio” sviluppa infatti in tutta la grande costruzione teologica musulmana, così come nell’intera civilizzazione islamica, una divaricazione totale con la tradizione greco-romana, con l’ebraismo e con il cristianesimo, perfettamente esposta dal teologo post-conciliare Josef van Ess: «La teologia islamica non conosce il concetto di persona»2. L’uomo islamico non ha infatti la totalità di dimensioni del giudaismo e del cristianesimo che gli deriva dalla sua filiazione divina e non è persona proprio perché – per questo – non può stringere alcun Patto con Dio, può solo sottomettersi, non ha libera scelta.