La prima traduzione italiana di un classico della spiritualità.Una riflessione sulla vita cristiana e sul senso profondo della santità.L'autore guarda a tutti cristiani nel mondo e rivela come la vocazione del monaco non è altro che la vocazione del battezzato, ma vissuta nella dimensione della massima "urgenza".
PREFAZIONE
di Luigi d'Ayala
"Accostando un monaco maturo, non vi trovi qualcosa di sovrumano che ti strabilia e ti provoca vertigini, ma qualcosa di profondamente umano, umile, fonte di serenità e di consolazione. Con tutta la loro vita di ascesi e di ritiro, (i monaci] non si sono allontanati dall'uomo: vi hanno invece fatto ritorno ... Sono diventati veri uomini". Queste parole di un monaco dei nostri giorni, Basilio di Iviron, guida spirituale di uno dei monasteri del Monte Athos, possono servirci a cogliere il cuore di questo libro, in cui l'autore, con lucido acume teologico e insieme con appassionato fervore spirituale, descrive l'itinerario di una vocazione, quella monastica, che nella sua essenza e nel suo scopo non si distingue da quella di ogni cristiano e che, nella misura in cui viene perseguita con autenticità - l'autore ne è convinto - può diventare un segno eloquente per tutti gli uomini; acquista cioè un'autentica rilevanza antropologica.
Louis Bouyer (1913-2004) è stato forse uno dei teologi più importanti del Novecento, sebbene sia probabilmente meno conosciuto di altri al grande pubblico: i suoi lavori hanno contribuito in modo rilevante a quell'opera di ressourcement, ossia di ritorno alle fonti bibliche, liturgiche e patristiche, che fu determinante nella preparazione del concilio Vaticano II.
Fu proprio all'interno di un monastero, nell'abbazia benedettina di Saint-Wandrille, che l'autore si avvicinò alla chiesa cattolica e vi fu formalmente accolto nel 1939, e fu ugualmente là che egli si ritirò al termine della sua carriera teologica. "Non sono diventato monaco, ma ho visto dei monaci", avrebbe potuto ripetere con il grande Macario a giustificazione delle sue parole. E il valore della conoscenza che acquisì in questo ambito è dimostrato dal fatto stesso che una comunità monastica abbia potuto invitarlo a predicare (uno dei giovani che allora ebbero la fortuna di ascoltarlo, Adalbert de Vogúé, a distanza di cinquant'anni riconosceva di averne tratto un frutto duraturo per la sua vita di monaco e di studioso del monachesimo).
Il titolo "Il senso della vita monastica" è già rivelatore. L'autore non descrive qui uno "stato di vita", come si diceva comunemente nella chiesa di quegli anni, ma piuttosto indica il "senso", ovvero la direzione e l'orientamento di un cammino di ricerca di Dio che tende incessantemente all'assimilazione a Cristo, alla progressiva realizzazione di quella "vita in Cristo" di cui parla l'apostolo Paolo: "Per me il vivere è Cristo" (Fil i, 2 i), "Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me" (Gal 2,2o).
Alla fortuna di questo libro - che pure è stata e continua ad essere considerevole - non ha forse giovato l'assunzione di una categoria palesemente "mitica", seppur fondata nella Scrittura e nei padri, come quella di "vita angelica". Premesso che la nozione come tale, nell'economia dell'intera opera, riveste un ruolo tutto sommato modesto, e in ogni caso secondario rispetto a quella, ben più centrale, di assimilazione a Cristo, è forse necessario, per valutare con oggettività il senso profondo del discorso del teologo, non lasciarsi turbare da un linguaggio che oggi ci appare lontano dalla nostra sensibilità, e cercare piuttosto di comprenderne il significato nel quadro dell'impianto più generale della sua visione della vita monastica e dell'idea fondamentale che ne è alla base, quella di "umanesimo escatologico " - idea di cui riconosceva di essere debitore a Clément Lialine (1901-1958), monaco di Chevetogne, a cui la prima edizione del libro è dedicata -. Del resto, il teologo oratoriano per temperamento e formazione era ad uso a un linguaggio di cui conosceva perfettamente l'inattualità e perfino l'anacronismo.. A questo lo induceva non tanto una preferenza aprioristica per ciò che è antico e tradizionale (sebbene egli fosse un raffinato cultore della grande tradizione della chiesa, da lui mai confusa con le piccole tradizioni) né un amore per la polemica fine a se stessa (sebbene la vis polemica animi innegabilmente buona parte dei suoi scritti), quanto piuttosto la convinzione che la fede e la vita cristiana fossero irriducibili alla visione troppo unilaterale e unidimensionale che egli vedeva affermarsi al suo tempo.
Proprio per questo, in tutta la sua opera di teologo, a fronte della tendenza a ridurre il cristianesimo alla dimensione mondana e storica - che egli giudicava un tradimento grave del vangelo -, egli fu portato a sottolineare fortemente la dimensione escatologica: una visione troppo ingenuamente ottimista dell'incarnazione di Cristo gli pareva sfociare in una "apoteosi del mondo "6 (e della chiesa "installata" nel mondo), che finiva per dimenticare sia la ferita del peccato da cui Cristo era venuto a guarire l'uomo e il mondo, sia l'orientamento escatologico di tutto il suo insegnamento.
Quando dunque Bouyer parla di "vita angelica" in relazione al monaco, non intende negare il radicamento umano e terreno della vita monastica né tanto esaltarne la purezza.
Del resto, se le parole devono conservare il loro senso - ragiona l'autore - che cos'altro significa l'insegnamento evangelico sulla "rinuncia (ai beni, ai legami, alla propria stessa vita), sul "morire a se stessi", sul "perdere la propria vita" per "trovarla"? Tutto ciò non può essere semplicemente un linguaggio iperbolico e simbolico.
L'autore ha buon gioco nel mostrare come la "lotta" per passare dalla morte alla vita sia una dimensione costante ed essenziale della vita di ogni credente, come dice Paolo, che parla di "buona lotta della fede" (1-Tm 6,12; cf. anche 2Tm 4,7). La fede e la vita cristiana e dunque la vita monastica, implicano sforzo, fatica, continua lotta contro ciò che fuori di noi, ma soprattutto in noi, fa ostacolo, oppone resistenza alla sequela di Cristo e alla sua vita: chi cerca di preservarsi da tutto ciò per paura di soffrire, resterà uno spettatore della vita e ne rimarrà sempre estraneo. Anche qui vale il detto di Gesù: "Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà; ma chi la perderà, la manterrà viva" (Lc 17,33). Non che la nostra lotta possa arrivare a meritarci la salvezza; ma piuttosto si tratta di predisporre tutto affinché il "seme" del Regno possa trovare in noi un cuore integro e buono" (Lc 8,15), cioè ben disposto ad accoglierlo. In questa lotta, che in definitiva è lotta per l'amore (aga'pe) e contro l'idolatria del proprio ego che i padri chiamano philautia, il cristiano e il monaco sono stati preceduti dallo stesso Gesù, che nel suo "esodo" verso il Padre, l'ha combattuta e vinta con la sua fedeltà alla parola di Dio e la sua preghiera, apartire dalle tentazioni nel deserto fino al momento estremo della sua passione e della sua morte in croce.
Questo "lottare" del monaco dietro a Gesù e con Gesù ha appunto come scopo di "entrare nella vita di Gesù", nella sua vita vissuta in obbedienza al Padre e interamente orientata a lui, fino ad arrivare a riconoscerla come "l'ambiente vitale al di fuori del quale non potremmo sussistere": "Gesù Cristo, nostra vita inseparabile", come disse con lapidaria efficacia Ignazio di Antiochia. La vita vissuta da Gesù nel dono di sé, per amore del Padre e degli uomini, è la vera vita aperta come possibilità a ogni uomo: l'autore afferma che "l'umanità si desta alla vita autentica quando smette di esistere solo per sé e decide di esistere unicamente per Cristo e in lui ", e che il monaco ideale, come primizia di questa nuova umanità, è "il monaco che il Cristo ha completamente svuotato del suo io, per prenderne il posto ".
E proprio questa la "rinuncia perfetta" di cui parlava il grande Basilio, che "consiste nel giungere al distacco dalla propria stessa vita e nel ricevere sentenza di morte, così da non riporre più fiducia in se stessi ". A questo servono tutti gli "strumenti" che il monaco ha a sua disposizione e che costituiscono la trama della sua vita quotidiana: conversione, ascesi, preghiera, lectio divina, liturgia, lavoro. L'ascesi, come l'autore afferma in un'altra sua opera, "non mira ad altro che a renderci liberi: liberi di accettare il suo amore, liberi di donarci a lui".
Con rara intelligenza spirituale l'autore sottolinea poi come al cuore di tutta la vita del monaco vi siano due pratiche fondamentali, la lectio divina e la salmodia, da cui tutto deriva e rifluisce: esse "sono un po' come respirazione ed espirazione, come sistole e diastole del cuore ricreato in lui dallo Spirito. È così che il monaco impara a liberare il suo cuore dai pensieri contrari per lasciar spazio a Gesù, che da una parte, nella lectio, gli parla di Dio dicendogli: "Vieni al Padre!" (le parole udite dal martire Ignazio), e dall'altra parla in lui a Dio attraverso la preghiera dei salmi, facendogli dire: "Ecco io vengo!" (cf. Sal 39,8).
Tutto ciò, di nuovo, non è qualcosa che sia possibile raggiungere una volta per tutte, perché la vita monastica, come la vita cristiana, è un cammino e una corsa che non hanno mai fine. Il monaco è un pellegrino, un profeta silenzioso di cui il mondo e la chiesa hanno bisogno per sentirsi contestati nelle proprie pretese di autosufficienza e di "sistemazione" mondana: per l'autore, come è stato "non si tratta di sancire la superiorità di opportunamente notato, una forma vocazionale sulle altre, ma di tenere aperta la ferita che le segna tutte, e che le mantiene in tensione verso un compimento ancora a venire".
Nella sua ruvida e quasi sfacciatamente provocatoria "inattualità" - che in verità a tratti rischia di diventare un po' troppo compiaciuta - e pur con qualche limite - talune affermazioni, ad esempio quella sul rapporto tra vita anacoretica e cenobitica, richiederebbero di essere sfumate o completate -, questo libro resta nel complesso una delle presentazioni della vita monastica più affascinanti e originali, e allo stesso tempo più saldamente radicate nella grande tradizione; una vera e propria mistagogia di quello che è stato chiamato "il mistero monastico".
Nel variegato quanto spesso evanescente panorama delle "spiritualità al plurale" in cui oggi la vita cristiana (e di conseguenza la vita monastica) rischia di perdere la propria coscienza essenziale di "vita secondo il vangelo" cercando altri fondamenti e giustificazioni al proprio esistere, un libro come questo ha ancora la possibilità di nutrire di cibo solido il monaco e il cristiano che abbiano la volontà di ascoltarne il messaggio in profondità.
PREMESSA
Questo libro si rivolge innanzitutto ai monaci. Vorrebbe semplicemente mostrare loro che la vocazione che hanno nella chiesa non è, e non è mai stata, una vocazione particolare. La vocazione del monaco non è altro che la vocazione del battezzato, ma vissuta nella dimensione, si potrebbe dire, della massima urgenza.
Chiunque si sia "rivestito di Cristo" (cf. Gal 3,27) si è sentito chiamato a cercare Dio, ma il monaco è colui per il quale questa chiamata è divenuta così pressante che la risposta non può essere rimandata a domani. Egli non attende che passi la scena di questo mondo per poter contemplare colui che dimora al di là, ma gli va incontro e, per incontrarlo già fin d'ora, abbandona tutto quello che fa parte di questo mondo.
Ciò significa tuttavia che questo libro si indirizza anche, e nel contempo, a ogni cristiano. Se è vero che l'invito: "Voi dunque siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste" (Mt 5,48) riguarda, in qualche modo, chiunque voglia essere figlio di Dio, si può rovesciare l'affermazione fatta sopra.
In ogni vocazione cristiana vi è il germe di una vocazione monastica che può svilupparsi in misura più o meno grande, e il suo stesso sviluppo può assumere molte forme diverse. Ora, il fatto è che non si può soffocare questo germe senza che con esso venga meno anche il principio della vita in Gesù Cristo.
Se questo libro ha un'ambizione, è di mostrare che non vi è umanesimo integrale che non sia radicalmente escatologico. Naturalmente il cristiano deve amare il mondo, nel senso in cui sta scritto nel Vangelo di Giovanni che "Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito" (Gv 3,16). Ma questo non significa che l'aspirazione del cristiano sia quella di "sistemarsi" nel mondo utilizzando il vangelo a questo scopo. Un'interpretazione del genere sarebbe il più ridicolo e nel contempo il più scandaloso dei paradossi. Piuttosto, il cristiano deve aspirare a salvare il mondo salvando in primo luogo se stesso. "Il Signore è vicino: passi questo mondo e venga il Regno!" (cf. Fil 4,4; i C or 7,29-31; Lc i i ,I): la sincerità con la quale ripeteremo queste parole dei primi cristiani sarà la prova dell'autenticità del nostro cristianesimo.
E assai probabile che dichiarazioni preliminari come queste risultino sconcertanti per molti cristiani di oggi. Meglio così: è per scuoterli dal loro sogno dorato che scrivo. Siamo in molti, nella nostra generazione, a essere cresciuti nell'illusione che, accanto all'ascesi negativa, crocifiggente, dei secoli passati, ci fosse spazio anche per un'ascesi positiva, costruttiva, che non rigetti nulla di questo mondo ma consacri tutto alla gloria di Dio. Ma l'esperienza della vita, e più di ogni altra quella del ministero sacerdotale, trova piena conferma nella Scrittura e nella tradizione, e mostra come tale illusione non sia che una tentazione, la prima e più elementare delle tentazioni che il diavolo ha cercato di esercitare sul Signore. Come tutte le tentazioni, si fonda sulla menzogna legata a un errore preliminare. Sul fatto che il cristiano debba tendere a un'universale consacrazione di se stesso e del mondo, la quale sfocia in una gioia che non viene meno, non vi è dubbio. Ma la via che conduce a questo è appunto la croce, e non ve n'è un'altra. Se questo libro riuscisse a convincere qualcuno che non esiste cristianesimo senza lacrime, esso avrebbe realizzato pienamente l'intento dell'autore.
ESTRATTO DAL PRIMO CAPITOLO
CERCARE DIO
Che senso ha la vita monastica? Questione fondamentale. Chi abbraccia la vita monastica si incammina per una via. Impegnarvisi senza sapere dove porta sarebbe come andarsi a cacciare in un vicolo cieco. M quid venisti?'. Se il monaco non si pone costantemente tale domanda, o se non è capace di dare una risposta che sia espressione di tutto il suo essere, la sua fatica è vana: secondo la parola dell'apostolo Paolo, egli lotta "come chi batte l'aria" (1Cor 9,26).
Si noti che si possono dare risposte molto differenti tra loro, nessuna delle quali completamente sprovvista di una parte, più o meno ampia, di verità. Ma nessuna coglie l'essenziale finché non si arriva a quella che è la risposta per eccellenza. E fintanto che si resta a quel livello preliminare, il monachesimo rimane come una pianta che non ha radici profonde: può offrire foglie, forse qualche fiore, ma non frutti, e alla fine secca e cade. Oppure, peggio ancora, secca sul posto; ma continua a occupare la sua posizione, inutilmente. Allora vive una duplice disarmonia: non raggiunge il suo fine nella chiesa, e lo dissimula fingendo di averne un altro.
La risposta che generalmente viene data alla domanda è forse ancora la meno lontana dalla verità. Ma la aggira più che affrontarla.
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paolo conti il 13 agosto 2014 alle 09:28 ha scritto:
Scopro oggi con gioia che è possibile leggere anche in italiano questa perla di Louis Bouyer. E' uno dei due libri più importanti per il mio "risveglio", senza il quale non avrei capito in che senso e in che modo il Cristianesimo è "medicina divina", e non avrei smesso di "scacciare Satana con Satana".
Padre Devis Rocco il 7 febbraio 2015 alle 12:56 ha scritto:
È un autore poco conosciuto dalla gente ma Bouyer è davvero un conoscitore fine della vita dell'uomo in genere e di quella monastica in particolare.
Colpisce che dal titolo si avvince tutto il suo lungo e non semplice itinerario di analisi del monachesimo: esso più che uno "status" è un movimento in divenire... Credo che questo basti per invitare ad acquistare questo libro fondamentale per la propria crescita umana e spirituale a prescindere dal essere o meno monaco.
Padre francesco guglietta il 12 novembre 2018 alle 22:34 ha scritto:
un grande autore! un grande tema! un libro prezioso che esplora il valore spirituale del monachesimo nella Chiesa e nel mondo di oggi. Sono volumi preziosi che danno respiro all'anima, alla mente e al cuore...