Liturgia, arte e mestiere
(Liturgia e vita) [Libro con legatura cucita]EAN 9788882273378
Il primo pregio di questa pubblicazione è la Prefazione. Per quel che dichiara e soprattutto perché non è di quelle presentazioni obbligate, scialbe, presuntuose, insipide (non di rado anche di molto clero ed episcopato italiano). Il vescovo di Tolosa, mons. Robert Le Gall, benedettino, fa una presentazione «anomala», anche con note che non citano soltanto il magistero!
Inizia la sua Prefazione: «Non si può entrare – ci vuole una soglia o limine – nelle sante Scritture né nella santa liturgia se non si è almeno un po’ poeti» (p. 5). E poi spiega il titolo di arte di questo libro con la poesia, intesa come «fare» (dal greco poieo), compiere un’opera, un lavoro, così come il fare e compiere l’opera creatrice e salvifica di Dio, ma anche della liturgia come opera: «Di fatto la liturgia è un’“opera”, dato che questa parola, secondo la sua origine greca significa “opera del popolo” o anche “opera per il popolo”, un duplice significato che viene reso bene dall’espressione opus Dei, diffusa dalla Regola di Benedetto nel V sec.: la liturgia è l’opera, l’attività o il lavoro che Dio fa a beneficio del suo popolo che è la Chiesa. Allo stesso tempo, è l’opera, l’attività o il lavoro che il popolo fa per il suo Dio» (p. 6).
E poi annuncia lo scritto dell’Autore: «Lasciamo ora padre François Cassingena- Trévedy intessere le parole che ci offre, per entrare a nostra volta in questo poema della santa liturgia, nel gioco e nella danza che orchestrano i cantici dell’Agnello» (p. 9). Questa la Prefazione, che rispecchia la dedica «a tutti quelli che hanno a cura l’Opera». Poi l’Introduzione dell’Autore, monaco dell’abbazia di Saint Martin di Ligugé in Francia, docente di Liturgia presso l’Institut catholique di Parigi. E qui primeggia in filigrana la figura di padre M.-A. Couturier, «promotore della famosa rivista L’art sacré, che si rivelava a sua volta, nel campo dell’estetica, un profeta incontestato, il cui spirito radicale continua a porci degli interrogativi essenziali, nonché a renderci esigenti, anzitutto con noi stessi» come lo era padre Couturier «la cui dirittura, generatrice di chiarezza, era il principio, semplice e immediato, del suo comportamento personale che ancora oggi ci segna con il tocco dell’assoluto» (D. de Menil, cit. in nota 1 a p. 13).
Lo stile è colloquiale, quasi parole strappate alla taciturnitas (intesa come quel tacere che ha il pudore del parlare) «essenziale all’arte liturgica, così come lo è alla ritualità liturgica e come lo è alla Parola stessa nei suoi rapporti con noi» (p. 60), perché «non per l’abbondanza della parole saremo esauditi» (Regola di san Benedetto 20,3, p. 185). Queste pagine meritano una lettura. Pagine che rispondono bene a problemi reali (e fittizi) di parroci e altri che devono ospitare nella bellezza dell’opus Dei i fedeli (e non solo quelli domenicali). L’Autore rileva questi problemi e li contestualizza in una logica di estetica liturgica che più che essere allegoria è anagogia, cioè non esibisce contenuti religiosi, quanto significa il significato, si fa origine e fine dell’agire liturgico.
È rappresentativo del modus operandi dell’Autore quanto qui di seguito riportiamo: «In pratica, diciamo che l’arte liturgica serve la liturgia sotto due punti di vista. Anzitutto, essa l’asseconda nella sua prospettiva mistagogica: l’arredo, il vasellame, le vetrate, la musica sono concepiti come una preparazione evangelica, una catechesi, una “manuduzione” efficace e discreta verso il mistero. L’espressione artistica diviene qui “pedagogia” stabile e permanente, alla sua maniera, essa è iniziazione cristiana. Poi […] l’arte liturgica asseconda la liturgia nella sua dimensione pastorale: spazio, arredo, musica sono sempre al servizio di una pastorale sacramentale e l’arte, qualsiasi arte, non sarebbe liturgica se disturbasse o occultasse l’azione sacramentale in tutto ciò che essa ha di pratico e di pastorale» (p. 117).
E va dato merito all’Autore che in questa arte liturgia evoca sempre la musica e i musicisti (anche contemporanei dello spessore di O. Messiaen) riconoscendone il loro diritto di cittadinanza liturgica. Pregevoli le pagine […] Il canto liturgico [quello vero, evidentemente] è semplicemente l’epifania sonora del “mistero avvolto nel silenzio per secoli eterni” (Rm 16,25)» (p. 114) in cui anche l’eco è «risposta del silenzio alla parola […] che nella Pentecoste riceve il volume di risonanza che le è consono» (p. 117) perché «è tutta la liturgia che vive, che si muove, che procede secondo un principio ritmico – respiratorio bisognerebbe dire – di alternanza di cui la salmodia antifonata è l’esercizio più comune e l’illustrazione più ovvia» (pp. 122-123). L’arte e il mestiere della liturgia è nel «pensare lo statuto dell’arte in liturgia che è ben altra cosa dal porsi una semplice questione di organizzarne e di arredamento» (p. 155) – e l’Autore lo fa nel suo ultimo capitolo – mediante la questione fondamentale: «Qual è il ruolo della bellezza nella liturgia della nuova alleanza? Qual è il ruolo della bellezza nella nuova economia? » (p. 155).
La risposa è posta in tre dimensioni nell’ultimo capitolo. Dimensioni precedute da un postulato: «“Nudum Christum sequi”: mentre Israele ha il tempio e i greci gli idoli, il cristianesimo manifesta fin dalla nascita la sua nudità» (p. 156). Le tre dimensioni sono quelle del «fondamento cosmologico, cristologico ed ecclesiologico»: «La possibilità e la legittimità di un’arte liturgica cristiana poggiano allo stesso tempo su una cosmologia, un cristologia e un’ecclesiologia» (pp. 158ss). Ottimo testo di studio e di esame per corsi di liturgia, di arte e architettura liturgica. Anzi un testo scritto bene (se già nella traduzione si resta affascinati, ancora di più probabilmente nel suo originale francese charmant, poetico, anche nel senso di creare parole nuove per cose nuove), affabulante, sintetico, chiaro, aperto, avventuroso, stigmatizzante, coraggioso, evocativo, sospeso… Per esempio: «La liturgia è anche un’arte di spaziare il tempo. Il tempo liturgico non è un tempo univoco come quello mondano, usato e funzionale: è un tempo ritmato, neumato, prendendo a prestito questa metafora dal registro del canto gregoriano che è a sua volta un’arte di miniare il tempo e di riempirlo» (p. 110); oppure come anche le ultime parole della pubblicazione: «L’unica firma dell’arte, in liturgia, è la nube» (p. 177).
Effetti linguistici e poetici di un metodo «non certo cartesiano (e come potrebbe esserlo in simili materie)? Ma con il metodo sperimentale, intuitivo, meditativo, impressionista, circolare: soprattutto omogeneo con l’oggetto che ci interessa, semplicemente un metodo di tipo artistico, di cui la liturgia è l’indice di bellezza più sicuro al mondo» (p. 18). Parole coraggiose sono testimoniate dall’Autore non solo davanti a un certo modo di mettere in croce la liturgia, ma anche davanti a una laicità che si opacizza della sua sacralità: «La Chiesa non è riducibile a un museo delle belle arti. È quanto mai opportuno ridirlo in questo nostro contesto attuale, di fronte ai maneggi felpati di una certa politica di pianificazione sottile che si ingegna a disinnescare il fenomeno cristiano facendolo passare per un semplice oggetto di curiosità storica» (p. 173) e artistica.
Queste sono pagine di un testo da «imporre» allo studio (per poi esaminarli) di tutti i parroci e loro collaboratori soprattutto quando hanno la presunzione di «abbellire» la «loro» chiesa a prescindere dalla liturgia, operando senza arte né mestiere. Dopo aver letto queste pagine, si comincia a comprendere che la vera opera d’arte è quella della propria e comune santificazione grazie all’opus Dei e all’opus populi Dei per la gloria di Dio stesso. Come insegnava il maestro R. Guardini: «La serietà della liturgia» è anche nel considera che «la liturgia è arte divenuta vita». E pensare che questa pubblicazione – come dichiara l’Autore – ha il suo «principale luogo di nascita e il suo primo ambiente in cui esso vive, in un corso universitario – un “corso congiunto” – tenuto agli studenti dell’Institut supérieur de liturgie assieme agli studenti dell’Institut des arts sacrés (Institut catholique di Parigi)». Se così fosse anche per tanti nostri corsi accademici!
Tratto da "Rivista Liturgica" n. 4/2012
(http://www.rivistaliturgica.it)
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Studente Salvatore De Pasquale il 2 maggio 2012 alle 21:10 ha scritto:
Impregnato dello spirito benedettino, questo libro risulta straordinario per quanti volessero veramente riscoprire l'importanza della sacralità della Liturgia. Pieno di spunti per la riflessione personale circa il nostro modo di vivere la Liturgia.