Ascoltare la Parola
(Spiritualità biblica) [Libro con legatura cucita]EAN 9788882272678
Rifacendosi al precedente Pregare la Parola, l’opera in cui agli albori dell’esperienza monastica della Comunità di Bose il fondatore descriveva la pratica della meditazione attiva che tanta parte aveva nel suo vissuto, il monaco riprende oggi – dopo quattro decenni di cammino personale, comunitario ed ecclesiale – il tema della lettura orante della Parola che suscita l’incontro con Dio stesso e plasma l’esistenza cristiana. Da un lato ritornando con maggiore incisività sul rapporto determinante tra lectio divina e vita della Chiesa, per evitare gli opposti rischi dello spiritualismo e del fondamentalismo, e dall’altro insistendo sulla Scrittura come luogo dell’incontro con il Dio autentico e vivente, in luogo di una divinità frutto di sogni e proiezioni umane.
Tratto dalla Rivista Il Regno 2009 n. 12
(http://www.ilregno.it)
Può essere superfluo qui indugiare sulla vicenda postconciliare, mondiale e italiana in particolare, del rinnovato e vivificante ascolto della Parola di Dio nella Chiesa cattolica: ben si sa che forse la potenza “performativa” più efficace e diffusa sul popolo di Dio è stata esercitata soprattutto dalle Costituzioni Sacrum Concilium sulla liturgia e Dei Verbum sulla Sacra Scrittura. Lo sviluppo storico dei decenni alle nostre spalle ha poi visto, sul piano teorico, nel nostro Paese una fioritura cospicua e rallegrante di studi biblici, caratterizzati da un sempre più esperto e “scientifico” impiego del metodo storico-critico, accolto con piena cordialità e impegno, e in un primo periodo addirittura sopravvalutato, quasi che la sua applicazione sempre più scaltrita venisse incontro, soddisfacendone plenariamente le esigenze, al ritrovato amore per “la lettera di Dio” agli uomini, codificato nella Bibbia.
Tuttavia, soprattutto laddove pastoralmente – nelle parrocchie sia per fini liturgici (omiletica) sia in direzione catechistica, in gruppi biblici, in “centri di ascolto”, e non da ultimo per la maturazione cristiana dei singoli – si cominciò ad avvertire che quelle trattazioni di alto livello culturale erano limitate a un’esegesi molto rigorosa e munita d’ogni supporto intellettuale che riusciva, da un lato, difficilmente fruibile alla generalità dei credenti, e dall’altro, proprio per i suoi netti confini, era scarsa o priva di nutrimento spirituale, perché non favoriva il colloquio, interpretante ed esistenzialmente applicante del lettore o dell’uditore con il Tu divino che parla nell’oggi della Chiesa e di ciascun fedele, si ricorse a un procedimento di lettura, tradizionale e mai interrotto nei monasteri, la lectio divina illustrata dagli apporti di Padri orientali e occidentali e di autori medievali che ne hanno approfondito i princìpi e ordinato la pratica. Oggi il termine è largamente conosciuto e, in modi diversi, se ne sperimenta la traduzione concreta. Grandi meriti, in questo variegato e non sempre egregio panorama, ha acquisito la Comunità di Bose, con il suo priore Enzo Bianchi, tanto per i contributi alla precisazione dei lineamenti teologico- spirituali, quanto per l’esemplare prassi. Nel volume qui recensito, l’autore ha tesorizzato, in forma rapida, senza eccessi di tecnicismi, in linguaggio diretto e accattivante, il suo diuturno studio e la sua esperienza personale e comunitaria, generosamente elargita in relazioni e con ferenze sulla lectio divina. L’opera è nitidamente suddivisa in due parti: la prima è dedicata a «Bibbia e Spirito» (pp. 9-83), la seconda alla «“Lectio divina” nella Chiesa» (pp. 83-132).
Nella prima appare un’ampia contestualizzazione teologica, con l’individuazione dei princìpi; la seconda, declinata invece nei suggerimenti immediati e pastoralmente indirizzati, si esprime in una successione di brevi capitoli («Le stanze e le chiavi», «La lettura spirituale delle Scritture è attuale?», «Parola di Dio e Scritture Sante», «L’unità di tutta la Bibbia» e «L’ascolto»), che propongono una visione limpida della lectio, atta a prevenire talune derive che possono minacciarla oggi, come del resto più volte è avvenuto nella storia della Chiesa: quella fondamentalistica, più o meno accentuata, che si ferma alla lettera che «uccide», mentre lo Spirito «vivifica»; quella soggettivistica – non importa se individuale o di gruppo o di comunità – che fagocita il testo, non rispettandone l’alterità, perché lo assimila a sé, alle proprie precomprensioni o piuttosto ai propri pregiudizi idiosincratici o ideologici; quella culturalistica, storicizzante o estetizzante, dalla quale esula qualsiasi preoccupazione per il coinvolgimento personale che porti alla metánoia, alla conversione autentica. Si ottiene così un recupero salutare di quel processo fondamentalmente duplice di approccio alla locutio Dei, concentrato in essenza nel rapporto con Cristo, Lógos del Padre, rivelatore della divinità: le due strade, o meglio la loro complementarità e la loro fecondazione reciproca nell’ermeneusi, quale si era delineata nell’antichità cristiana, sono appunto l’esegesi filologicamente scrupolosa, nel rispetto dell’alterità dello scritto canonico, coltivata dalla scuola antiochena di Teodoro di Mopsuestia, e l’interpretazione pneumatica, con l’allegorismo, e soprattutto la tipologia, cui si dedicarono i discepoli del grande Origene, nell’àmbito alessandrino.
Perché non riconoscere nella “classica” partizione dei momenti della lectio divina – vale a dire appunto l’attenta, e preferibilmente ripetuta, lettura del testo sacro – (1) la meditatio, lo sforzo mediante tutto l’impegno dell’intelligenza e la valorizzazione delle risorse culturali – storia, sociologia, antropologia culturale, e ovviamente gli strumenti linguistici e filologici – per comprendere il contenuto e l’intento del testo nella sua lontananza dal suo ascoltatore attuale, (2) l’oratio, lo sbocciare e il maturare del dialogo con la voce divina, per coglierne quella che oggi, con un’efficace trasposizione semantica di un termine giuridico, si chiama volentieri l’interpellanza, la chiamata a responsabilità, l’impatto trasformante la vita, e infine (3) la contemplatio, in cui, per così dire, il lettore ripone il sé, così mutato, entro la verità luminosa del piano salvifico, trovandovi una quiete pacificante ma insieme attiva nella risposta dell’adorazione, e quindi dell’esistenza quotidiana? Si esplica in tal modo l’economia eminentemente cristiana dell’incarnazione: il Verbo non irrompe nel mondo umano d’ogni tempo con la pura verticalità del Corano, immediata comunicazione di Allah, né disdegna la confidenza colloquiale, ma, come si è rivelato attraverso la prima umanità dei profeti e del Messia, parimenti traduce il suo dono e l’esigenza ch’esso indica mediante il rinnovarsi, per ciascun credente – e in quanto tale non «libero battitore» e cacciatore di qualsiasi «privata spiegazione», ma inserito nella comunità «convocata» nella Chiesa – del «circolo ermeneutico» (certo con conseguenze ben più esistenzialmente incisive di quanto appaiano nel modello gadameriano).
Enzo Bianchi mostra come lo schema della lectio divina, nella formulazione più coerente – altre suddivisioni dei momenti sono state proposte, con aggiunte di ulteriori specificazioni, recentemente dal card. Carlo Maria Martini, per esempio – in certo modo coincida con la famosa quadripartizione dei sensi della Scrittura, atteggiata nella formula «Littera gesta docet / quid credas allegoria / moralis quid agas / quo tendas anagogia», un distico di Agostino di Dacia, del secolo XIII (p. 89), dove il senso «morale» da altri era enunciato grecamente come tropologia. È però un programma, non un progetto “manageriale”, questo della rivitalizzazione ampiamente ecclesiastica della lectio, che egli espone realisticamente alle sfide del nostro tempo (pp. 115-132). Esso deve affrontare il proposito di una lettura assidua, lontana dalla rapsodicità mediatica della comunicazione nei nostri giorni, disposto a verificare il detto «Divina eloquia cum legente crescunt»; si parano dinanzi difficoltà e ostacoli, anzitutto quello, radicale, perché presume una impossibilità di dedicarsi alla lectio e che l’autore chiama «efficientismo ecclesiale», la molteplicità frammentata di occupazioni pastorali (o para o pseudo tali), che si stipano nel tempo e impediscono l’instaurarsi di quel «silenzio» da cui procede il Lógos; e ancora, inciampo da superare, come conditio sine qua non, è la dilagante ignoranza di fede, delle nozioni essenziali che qualificano anche il puro livello cognitivo di chi si affermi credente; né si può trascurare la difficoltà di leggere con continuità e ponderazione, indotta dalla rapidità e presunta panoramica esaustività dell’informazione mediatica.
Per non dire delle resistenze, talvolta apparentemente invincibili che la mentalità attuale erige contro talune oggettive asperità, contraddizioni o diversità di intenti reperibili nella Bibbia, e specie nell’Antico Testamento, parole e comportamenti in urto con convinzioni scientifiche e morali acquisite nella modernità e nel nostro post-moderno: l’inettitudine a considerare, con l’unità della Scrittura, il coerente assenso al detto per cui «Biblia est sui interpres». Sennonché, in cauda venenum, vi è la finale renitenza nel nostro tempo, in cui tutti ci riconosciamo malati di indecisione etica, patiti di psicologismo autogiustificativo, a trovare ed effettuare una sincera, onesta applicazione alla vita individuale. Il denso volumetto attesta chiarezza d’impostazione, la cui ortodossia nell’enucleare i princìpi risulta ineccepibile; non ci si è qui dilungati su di essi appunto perché da Bianchi sono ben precisati con accuratissime citazioni bibliche e anche tratte dalla letteratura del giudaismo con accortezza da conoscitore e non per moda culturale, e con numerosi riferimenti ai Padri, in particolare Origene, Agostino e Girolamo, nonché a teologi e autori spirituali medioevali. Rimane per altro, al termine di queste righe, una constatazione accompagnata da un interrogativo: l’intero dinamismo della lectio è attivato all’interno della Chiesa nella sua totalità – e non, come prima del Concilio nella segregazione di monasteri, conventi, forse anche canoniche e qualche rara casa di famiglie devote – dal movente della fede che, unica, dona la facoltà e la disponibilità a sormontare gli ostacoli, rende possibile e feconda la perseveranza; ma è la lectio adeguata, in sé e per sé presa, ad aprire l’accesso alla fede ai non credenti? Proporremo loro, d’emblée, questo accostamento kerygmatico al cristianesimo o non auspicheremo, piuttosto, che proprio una coscienziosa prassi della lectio da parte di chi è già fedele, membro del clero, religioso o laico che sia, lo spinga a quell’applicazione integrale alla vita, da cui nasca e si affermi l’impulso alla testimonianza caritativa in primo luogo, e alla koinonía ecclesiale ed evangelizzante, di annuncio, poi, con tutti i sussidi culturali, ivi inclusi quelli filosofici, che concretano l’approccio pre-evangelizzativo?
Tratto dalla rivista Humanitas 64 (4-5/2009) 828-831
(http://www.morcelliana.it/ita/MENU/Le_Riviste/Humanitas)
-
36,00 €→ 34,20 € -
26,00 €→ 24,70 € -
15,00 €→ 14,25 € -
14,50 €→ 13,77 € -
15,00 €→ 14,25 € -
2,90 €→ 2,75 € -
7,00 €→ 6,65 €
-
-
-
-
-
-
1,10 €→ 1,04 € -
3,90 €→ 3,70 € -
-
-
-