Essere musulmano europeo
(Saggi)EAN 9788881370405
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DETTAGLI DI «Essere musulmano europeo»
Tipo
Libro
Titolo
Essere musulmano europeo
Autore
Ramadan Tariq
Editore
Città Aperta
EAN
9788881370405
Pagine
340
Data
2002
Collana
Saggi
COMMENTI DEI LETTORI A «Essere musulmano europeo»
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Recensioni di riviste specialistiche su «Essere musulmano europeo»
Recensione di Carlo Saccone della rivista Studia Patavina
Il volume che qui presentiamo porta già nel titolo il suo contenuto e la sua ragion d’essere. L’Autore, nipote di Hasan al-Banna’ – negli anni ’20 in Egitto il teorico e fondatore del movimento dei Fratelli musulmani, l’antesignano di tutti i gruppi integralisti islamici odierni- pur senza ripudiare mai apertamente la sua “genealogia” ha mostrato con la sua biografia (è nato in Svizzera, risiede e lavora in Francia) e soprattutto con i suoi numerosi scritti militanti, di avere compiuto una vera conversione a 360° rispetto agli allievi e discepoli dell’augusto e celebre avo. Oggi egli è giustamente guardato come una bandiera e il portavoce forse più coerente di tutta una nuova generazione di musulmani nati in Europa, di seconda terza e oramai persino di quarta generazione, che si propongono semplicemente di essere “cittadini europei di fede musulmana”. T.R. fa parte di organismi governativi francesi e europei preposti allo studio e al governo delle dinamiche dell’immigrazione, svolge una intensissima attività pubblicistica e di studioso dell’ “Islam europeo”.
L’originalità del volume però sta in un aspetto completamente diverso. Tareq Ramadam rifiuta sia il modello assimilazionista alla francese, che partendo dal dogma e dalla prassi dello Stato laico e aconfessionale, propone l’ideale di un cittadino che ha ridotto la fede a fatto puramente privato e intimistico; ma rifiuta altrettanto energicamente lo schema “comunitario” che domina oltremanica e oltreatlantico, ove egli vede il rischio di perpetuare la ghettizzazione degli immigrati di fede musulmana. Tareq Ramadan propone piuttosto ai suoi compagni di fede di affrontare sino in fondo la sfida proposta nel titolo del volume: accettare responsabilmente le regole dello stato di diritto, essere cittadini leali fino in fondo, assumendosi tutti i doveri impliciti nel “patto” che si sottoscrive –entrandovi- con il paese d’accoglienza, senza tuttavia rinunciare minimamente alla propria identità musulmana, né tantomeno nasconderla.
Tareq Ramadan è conscio di tutta una serie di problemi che si pongono per il cittadino immigrato in Europa da paesi di diversa cultura. Ma, è il suo ottimistico messaggio –e qui emerge la sua fede assoluta nella vitalità del messaggio coranico- nelle scritture sacre all’Islam c’è tutto quanto serve ai moderni cittadini europei di fede musulmana per fronteggiare la sfida proposta. Solo, sintetizziamo qui le sue ampie e complesse argomentazioni, esistono due ostacoli non indifferenti. Il primo è costituito dai tanti compagni di fede che hanno eretto una certa lettura delle Scritture a dogma indiscutibile: sono, come si sarà capito, fondamentalisti e integralisti d’ogni risma che –sottolinea T.R. - hanno la singolare tendenza a identificare l’Islam con la Shari’a, ossia la Legge nel senso più riduttivo di regole, precetti e interdizioni così come furono fissati all’epoca del primo Islam.
Qui l’A. è molto netto: “Restare ancorati alle prescrizioni stabilite dai sapienti del IX secolo, per quanto grandi e rispettabili siano stati, o rifiutare di tenere conto dell’evoluzione storica, sarebbe, sicuramente, tradire gli insegnamenti dell’Islam” (p. 130) T.R. ricorda opportunamente che il significato primo, etimologico, di shari’a è “la via”, che in essa le regole e le norme legali sono solo una parte: la fede, la virtù, l’approfondimento interiore in senso mistico o spirituale sono altrettanti elementi essenziali della shari’a, ovvero della “via” che conduce la creatura all’incontro con il suo Signore e Creatore. Ora –egli denuncia- proprio l’aspetto spirituale tende a venire sistematicamente ignorato dai sedicenti propagandisti del “Vero Islam”. Soprattutto costoro, ricorda T.R., dimenticano che in ogni tempo i giuristi dell’Islam si sono sforzati di studiare e adattare il messaggio del Corano alle circostanze e alla società, né mai alcuna delle classiche grandi scuole di diritto si sognò mai di avocare a sé l’ultima parola in materia di interpretazione. Ecco, qui siamo al punto centrale e al secondo ostacolo da superare. Tariq Ramadan, riprendendo la migliore tradizione riformista ottocentesca, individua nella necessità di elaborare un nuovo diritto islamico - adatto ai bisogni e alle nuove situazioni in cui vivono i cittadini musulmani europei - il grande compito che sta di fronte a intellettuali e dottori di cui egli, implicitamente, si propone come punto di riferimento. E ciò non resta solo un proposito. La parte preponderante del volume - certamente un altro aspetto di grande interesse - è costituita in sintesi da un manuale di diritto islamico ispirato a queste nuove esigenze, in cui l’A. si sforza, spesso con argomenti sottili ed esposti con brillante dialettica, di proporre un “metodo” di rilettura delle fonti alla luce del nuovo soggetto - il cittadino europeo di fede musulmana - cui questo sforzo è dedicato. Dicevamo interessante, perché questa parte ci permette di vedere il faqih (giurista musulmano) all’opera, quasi “dal vivo”. L’A. scende volentieri ad esaminare anche la casistica più ardua. Notevole mi sembra l’affermazione che i doveri scaturenti dalla cittadinanza non possono in nessun caso essere messi in questione o “traditi” in base all’appartenenza religiosa: al cittadino musulmano è al massimo consentito, praticamente negli stessi casi che riguarderebbero anche il cittadino cristiano, di ricorrere all’obiezione di coscienza. Le associazioni dei dottori e giuristi musulmani operanti in Europa sono invitate, sull’esempio di quelle già operative in Gran Bretagna e altri paesi, a studiare a fondo i vari diritti nazionali europei per vedere di elaborare, paese per paese, caso per caso, le soluzioni appropriate, nell’osservanza incondizionata della sovranità del paese ospite e dei principi dello stato di diritto: “La regola è il rispetto del quadro legale nazionale e la volontà di cercare per ognuno dei punti del diritto apparentemente in contrasto con i principi islamici, la soluzione più soddisfacente dal punto di vista islamico o, almeno, la meno peggiore” (p. 165).
Un intellettuale musulmano dunque impegnato senza riserve a dare nuove prospettive ai musulmani europei dentro la società europea cui essi sono chiamati, da cittadini e da musulmani, a partecipare pienamente e con fiducia. Un compito che richiederà ai musulmani europei una convinta, intensa, lunga - in prospettiva ultradecennale - mobilitazione di ogni energia intellettuale e morale.
Ma Tareq Ramadan è pure un musulmano credente e “militante” che - e forse qui emerge ancora la sua “genealogia”- pensa all’Islam come ad un impegno forte, dentro la società e nel mondo. Al musulmano, egli afferma, compete il dovere di shahada, di prestare cioé “testimonianza” (questo il significato del termine”) dell’unicità di Dio e dei valori trascendenti in una società che tende drammaticamente a scordarsene. Non è un caso, egli afferma, che i musulmani si trovino oggi in Europa e in Occidente, al centro dell’impero della società opulenta e consumistica. Dalla caratteristica di “universalità del messaggio coranico”, e dalla derivante “responsabilità dei musulmani di esserne testimoni con la loro vita e le loro azioni”, discende un programma che va ben oltre i problemi più contingenti degli immigrati in Europa: “…il profeta ci ha insegnato che il mondo intero è una moschea… Ciò significa che i musulmani che vivono in Europa, individui e comunità dei diversi paesi, non solo possono viverci, ma hanno una grande responsabilità: devono fornire alla società in cui vivono una testimonianza fondata sulla fede, la spiritualità, i valori, il senso del limite e il costante impegno umano e sociale” (p. 208). Alla vecchia e consunta opposizione Dar al-Islam/Dar al-Harb (casa dell’Islam/Casa del Conflitto), T.R. oppone l’idea che l’Occidente sia ora la nuova Dar al-Da’wa (casa dell’Appello [a Dio]), ovvero la terra in cui i musulmani devono incessantemente testimoniare il Trascendente, come aveva fatto tenacemente Maometto nella ostile Mecca, dominata da una casta di ricchi e arroganti mercanti sordi al messaggio di Dio.
Come si vede, in conclusione, un messaggio tutt’altro che quietista e rinunciatario, ma anche lontano mille miglia dalle grossolanità e dagli orrori della deriva integralista. Se “essere musulmano europeo” è la sfida che T.R. rivolge ai suoi correligionari, l’Europa come nuova Dar al-Da’wa è chiaramente una sfida diversa con cui, c’è da scommettere, anche i cristiani europei avranno occasione di confrontarsi nei prossimi decenni.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2005, nr. 1
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
L’originalità del volume però sta in un aspetto completamente diverso. Tareq Ramadam rifiuta sia il modello assimilazionista alla francese, che partendo dal dogma e dalla prassi dello Stato laico e aconfessionale, propone l’ideale di un cittadino che ha ridotto la fede a fatto puramente privato e intimistico; ma rifiuta altrettanto energicamente lo schema “comunitario” che domina oltremanica e oltreatlantico, ove egli vede il rischio di perpetuare la ghettizzazione degli immigrati di fede musulmana. Tareq Ramadan propone piuttosto ai suoi compagni di fede di affrontare sino in fondo la sfida proposta nel titolo del volume: accettare responsabilmente le regole dello stato di diritto, essere cittadini leali fino in fondo, assumendosi tutti i doveri impliciti nel “patto” che si sottoscrive –entrandovi- con il paese d’accoglienza, senza tuttavia rinunciare minimamente alla propria identità musulmana, né tantomeno nasconderla.
Tareq Ramadan è conscio di tutta una serie di problemi che si pongono per il cittadino immigrato in Europa da paesi di diversa cultura. Ma, è il suo ottimistico messaggio –e qui emerge la sua fede assoluta nella vitalità del messaggio coranico- nelle scritture sacre all’Islam c’è tutto quanto serve ai moderni cittadini europei di fede musulmana per fronteggiare la sfida proposta. Solo, sintetizziamo qui le sue ampie e complesse argomentazioni, esistono due ostacoli non indifferenti. Il primo è costituito dai tanti compagni di fede che hanno eretto una certa lettura delle Scritture a dogma indiscutibile: sono, come si sarà capito, fondamentalisti e integralisti d’ogni risma che –sottolinea T.R. - hanno la singolare tendenza a identificare l’Islam con la Shari’a, ossia la Legge nel senso più riduttivo di regole, precetti e interdizioni così come furono fissati all’epoca del primo Islam.
Qui l’A. è molto netto: “Restare ancorati alle prescrizioni stabilite dai sapienti del IX secolo, per quanto grandi e rispettabili siano stati, o rifiutare di tenere conto dell’evoluzione storica, sarebbe, sicuramente, tradire gli insegnamenti dell’Islam” (p. 130) T.R. ricorda opportunamente che il significato primo, etimologico, di shari’a è “la via”, che in essa le regole e le norme legali sono solo una parte: la fede, la virtù, l’approfondimento interiore in senso mistico o spirituale sono altrettanti elementi essenziali della shari’a, ovvero della “via” che conduce la creatura all’incontro con il suo Signore e Creatore. Ora –egli denuncia- proprio l’aspetto spirituale tende a venire sistematicamente ignorato dai sedicenti propagandisti del “Vero Islam”. Soprattutto costoro, ricorda T.R., dimenticano che in ogni tempo i giuristi dell’Islam si sono sforzati di studiare e adattare il messaggio del Corano alle circostanze e alla società, né mai alcuna delle classiche grandi scuole di diritto si sognò mai di avocare a sé l’ultima parola in materia di interpretazione. Ecco, qui siamo al punto centrale e al secondo ostacolo da superare. Tariq Ramadan, riprendendo la migliore tradizione riformista ottocentesca, individua nella necessità di elaborare un nuovo diritto islamico - adatto ai bisogni e alle nuove situazioni in cui vivono i cittadini musulmani europei - il grande compito che sta di fronte a intellettuali e dottori di cui egli, implicitamente, si propone come punto di riferimento. E ciò non resta solo un proposito. La parte preponderante del volume - certamente un altro aspetto di grande interesse - è costituita in sintesi da un manuale di diritto islamico ispirato a queste nuove esigenze, in cui l’A. si sforza, spesso con argomenti sottili ed esposti con brillante dialettica, di proporre un “metodo” di rilettura delle fonti alla luce del nuovo soggetto - il cittadino europeo di fede musulmana - cui questo sforzo è dedicato. Dicevamo interessante, perché questa parte ci permette di vedere il faqih (giurista musulmano) all’opera, quasi “dal vivo”. L’A. scende volentieri ad esaminare anche la casistica più ardua. Notevole mi sembra l’affermazione che i doveri scaturenti dalla cittadinanza non possono in nessun caso essere messi in questione o “traditi” in base all’appartenenza religiosa: al cittadino musulmano è al massimo consentito, praticamente negli stessi casi che riguarderebbero anche il cittadino cristiano, di ricorrere all’obiezione di coscienza. Le associazioni dei dottori e giuristi musulmani operanti in Europa sono invitate, sull’esempio di quelle già operative in Gran Bretagna e altri paesi, a studiare a fondo i vari diritti nazionali europei per vedere di elaborare, paese per paese, caso per caso, le soluzioni appropriate, nell’osservanza incondizionata della sovranità del paese ospite e dei principi dello stato di diritto: “La regola è il rispetto del quadro legale nazionale e la volontà di cercare per ognuno dei punti del diritto apparentemente in contrasto con i principi islamici, la soluzione più soddisfacente dal punto di vista islamico o, almeno, la meno peggiore” (p. 165).
Un intellettuale musulmano dunque impegnato senza riserve a dare nuove prospettive ai musulmani europei dentro la società europea cui essi sono chiamati, da cittadini e da musulmani, a partecipare pienamente e con fiducia. Un compito che richiederà ai musulmani europei una convinta, intensa, lunga - in prospettiva ultradecennale - mobilitazione di ogni energia intellettuale e morale.
Ma Tareq Ramadan è pure un musulmano credente e “militante” che - e forse qui emerge ancora la sua “genealogia”- pensa all’Islam come ad un impegno forte, dentro la società e nel mondo. Al musulmano, egli afferma, compete il dovere di shahada, di prestare cioé “testimonianza” (questo il significato del termine”) dell’unicità di Dio e dei valori trascendenti in una società che tende drammaticamente a scordarsene. Non è un caso, egli afferma, che i musulmani si trovino oggi in Europa e in Occidente, al centro dell’impero della società opulenta e consumistica. Dalla caratteristica di “universalità del messaggio coranico”, e dalla derivante “responsabilità dei musulmani di esserne testimoni con la loro vita e le loro azioni”, discende un programma che va ben oltre i problemi più contingenti degli immigrati in Europa: “…il profeta ci ha insegnato che il mondo intero è una moschea… Ciò significa che i musulmani che vivono in Europa, individui e comunità dei diversi paesi, non solo possono viverci, ma hanno una grande responsabilità: devono fornire alla società in cui vivono una testimonianza fondata sulla fede, la spiritualità, i valori, il senso del limite e il costante impegno umano e sociale” (p. 208). Alla vecchia e consunta opposizione Dar al-Islam/Dar al-Harb (casa dell’Islam/Casa del Conflitto), T.R. oppone l’idea che l’Occidente sia ora la nuova Dar al-Da’wa (casa dell’Appello [a Dio]), ovvero la terra in cui i musulmani devono incessantemente testimoniare il Trascendente, come aveva fatto tenacemente Maometto nella ostile Mecca, dominata da una casta di ricchi e arroganti mercanti sordi al messaggio di Dio.
Come si vede, in conclusione, un messaggio tutt’altro che quietista e rinunciatario, ma anche lontano mille miglia dalle grossolanità e dagli orrori della deriva integralista. Se “essere musulmano europeo” è la sfida che T.R. rivolge ai suoi correligionari, l’Europa come nuova Dar al-Da’wa è chiaramente una sfida diversa con cui, c’è da scommettere, anche i cristiani europei avranno occasione di confrontarsi nei prossimi decenni.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2005, nr. 1
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
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