Il cantico di frate Sole
(Con gli occhi dello spirito) [Brochure]EAN 9788879622455
Il nuovo libro di J. Dalarun è dedicato all’esposizione ed all’analisi dello scritto sanfrancescano più celebre poeticamente e più conosciuto: Cantico di frate Sole. La coincidenza, che questo libro vede la luce poco dopo l’emanazione dell’enciclica del papa Francesco Laudato si’ sulla cura della casa comune, lo rende ancora più interessante. Infatti l’A., nel post scriptum inserito ancora nella parte introduttiva della pubblicazione, include la notizia e denota il visibile parallelismo del messaggio di questi due scritti, distanti di quasi otto secoli: “Si decisamente, […], i due Francesco parlano della stessa cosa” (p. XXI).
Il volume è introdotto dallo studioso e ricercatore A. Bartoli Langeli, che presenta il lavoro di Dalarun, esponendo le sue tappe e descrivendo il metodo adoperato. Concludendo la sua riflessione, Bartoli Langeli sottolinea che l’A. riesce a trarre dallo scritto il valore biografico su Francesco d’Assisi: “Sono pochi studiosi che sanno realizzare il proposito, tante volte evocato, di fare degli Scritti di Francesco una fonte, un punto di forza per la storia di Francesco. Jacques Dalarun è uno di questi. Visto da lui, il Cantico acquista il pieno valore di documento della vita e dello spirito di Francesco: uno speculum beati Francisci, avrebbero detto i suoi seguaci di allora” (p. XVIII).
Nel testo si possono individuare tre parti: la prima che è dedicata alle questioni introduttive sull’autore, sulla tradizione e genesi dello scritto; la seconda che si snoda in tre capitoli, da Dalarun chiamati Atti, che sono un’analisi particolareggiata del Cantico di frate Sole; la terza che, essendo in realtà un epilogo del libro, esprime una riflessione generale sullo spirito di Francesco nel processo compositivo del poema (riconciliazione e armonia). Il volume è coadiuvato dalla cronologia francescana (p. 109-111), dalla bibliografia essenziale (p. 113-117), e dalla nota sulle immagini, che spiega il loro uso, la logica della collocazione nel testo e la provenienza (p. 119-121). Quest’ultimo inserimento, che è assai raro, permette al lettore una migliore intesa perché sono presenti tante (LXIX) immagini nel volume. Dalarun brevemente descrive la tematica legata a Francesco, autore delle parole scritte, focalizzando però che lui fu “un uomo della parola parlata, più che di quella scritta, e del gesto, ancor più che della parola” (p. 3). E secondo la prospettiva dell’A., tutta l’eredità letteraria dell’Assisiate “ha valore testamentario”, e cioè un’espressione della volontà, affinché il suo ideale evangelico oltrepassi il tempo, rimanendo inciso sulla carta. Successivamente incontriamo le vicende sulla tradizione e sulla genesi del Cantico, tramandateci dalle fonti agiografiche. Il parallelo del poema con il testo biblico del profeta Daniele (Dn 3,52-90) viene subito individuato già da Tommaso da Celano (1Cel 80-81), e proposto come la principale fonte d’ispirazione. Il testimone più antico è il ms. 338 della Biblioteca comunale di Assisi, che secondo gli studiosi, nacque presumibilmente sotto la guida di fra Leone. La composizione invece è descritta particolarmente dai brani della CAss 83 e CAss 88, che, secondo l’A., sono opposti nel racconto dello stesso testo, e cioè “uno sereno, l’altro tormentato” (p. 37).
Terminate le riflessioni che introducevano l’opera di Francesco, Dalarun passa all’analisi dettagliata, esposta in tre atti, a modo di un dramma teatrale.
Atto primo, brevissimo (p. 41-45), dedicato ai primi quattro versi del Cantico, focalizza l’indegnità dell’uomo di nominare e di lodare Dio, e dunque scrive Dalarun. “Indegno di glorificare se stesso, indegno di glorificare Dio, peggio dei demoni, l’uomo può solo lasciare il compito alle altre creature. […] Appena arrivato in scena. L’uomo già se ne esce” (p. 45).
Atto secondo (p. 47-66), espone le analisi delle sei successive strofe del poema. L’A. nota che Francesco tratta all’inizio delle tre creature celesti (sole, luna, stelle) con le tre caratteristiche di ciascuna, con un chiaro riferimento trinitario. Poi passa ai quattro elementi (aria, acqua, fuoco, terra), con una sequenza di discesa dal cielo alla terra, quest’ultima “costituisce la base portante di tutta la costruzione” (p. 49). Proseguendo Dalarun analizza la cosmogonia del Cantico, si sofferma così a lungo nella riflessione proprio sull’ultimo elemento – terra che è sorella, madre e governatrice. Nel corso delle analisi l’A. propone una tesi che può sorprendere il nostro senso comune dell’amore di Francesco verso la natura. Infatti scrive: “In tutti i suoi scritti Francesco non usa mai il termine natura: è un controsenso pensare che potesse venerare un concetto che gli è estraneo. Francesco non venera la natura: celebra la creazione. Ad una visione immanente, oppone una visione trascendente, in cui tutte le creature offrono il loro contributo per la lode di Dio” (p. 58). In un secondo momento l’A. si concentra sulla soluzione del problema lessicale delle preposizioni per e cum legate alla lode del Signore, esponendo il ventaglio delle possibilità grammaticali e sintattiche, optando però per il loro valore strumentale. Dalarun, da osservatore attento, informa che nel Cantico ci sono delle assenze, poiché non è nominato il mondo delle creature sensibili – il mondo animale, ed è assente, per colpa sua, l’uomo.
Atto terzo (p. 67-88), l’A. lo dedica alle ultime due strofe della poesia di Francesco, quelle che parlano di perdono e di sorella morte. La CAss 84 colloca la composizione della prima allo stesso periodo della composizione delle precedenti strofe, o addirittura insieme con esse, aggiungendo solo un verso al poema già completo – questa è la proposta di C. Paolazzi (p. 74). Infatti senza questa aggiunta il testo è anche completo e logico, toccando la questione della sofferenza e della sua sopportazione in pace con se stesso. Da qui Dalarun offre anche una presentazione del tema dell’Incarnazione, come uno dei capisaldi della spiritualità di Francesco (p. 77-85). Comunque, conclude l’A.: “È probabile che nel Cantico di frate Sole quella che normalmente viene definita la strofa del perdono fosse originariamente la strofa dei tormenti; l’aggiunta di “quelli ke perdonano per lo Tuo amore» non ne cambia minimamente il senso. Perdonare è ancora un modo di seguire la strada tracciata dal Figlio, sulla falsariga del Padre nostro…” (p. 83). Un po’ diversa è la situazione dell’aggiunta sulla sorella morte, raccontata nella CAss 7, prima dell’ultima strofa, dunque già esistente, che Dalarun vuole vedere piuttosto in funzione del ritornello: “Laudate e benedicete mi’ Signore e rengratiate e servateli cum grande humiltate”.
I due successivi capitoli del libro sulla riconciliazione e sull’armonia fungono da una conclusione. L’A. avanza una proposta che tutto il poema “[…] tanto lodato per la sua portata universale, rivela in realtà una forte connotazione autobiografica: il canto serve come terapia per il dramma, assopendo attraverso la sua bellezza l’angoscia che, nonostante la rassicurazione ricevuta, attanaglia corpo e anima di Francesco” (p. 92). Ma è anche appello sulle questioni morali, spirituali e sociali, come le elenca Dalarun sulle ultime pagine. Concludendo, afferma con forza: “Francesco pone l’uomo al centro del sistema creato per lui. Ma non cede alla tentazione di vedere l’universo come dominato dall’iniziativa umana: ci invita a contemplare un mondo pacificato, disponibile ad un uso semplice e reciproco, da cui viene bandita ogni forma di appropriazione. Il Cantico nasce da un’angoscia che la sua stessa musica esorcizza; ma non è una ninna-nanna. Con penetrante lucidità pone la questione cruciale: saremo capaci di mostrarci degni del dono che ci viene fatto, di questo mondo fraterno pronto a circondarci con le sue attenzioni, a patto che noi rinunciamo a usargli violenza?” (p. 106-107).
Tratto dalla rivista "Miscellanea Francescana" n. III-IV/2015
(http://www.seraphicum.com)
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