I francescani e l'uso del denaro
(Biblioteca di frate Francesco)EAN 9788879621748
Come spiega padre Cacciotti, direttore del Centro Aracoeli e organizzatore del convegno, questo incontro annuale di studiosi a Greccio è promosso congiuntamente dalla Provincia Romana e da quella Abruzzese dei frati Minori, come appare anche dai saluti e dall'indirizzo augurale dei due rispettivi ministri all'apertura dei lavori (pp. 12-15). Il tema del denaro e del suo uso, intrinsecamente connesso con «l'altissima povertà» professata da Francesco e con la sua radicale proscrizione (secondo alcuni: ossessiva, o nevrotica fissazione) di ogni contatto, anche solo fisico, con quella «polvere» o «sterco» ch'è la moneta, è uno di quei temi che da sempre ha attirato la riflessione e lo stupore degli studiosi del mondo francescano, ponendo anche per la nostra cultura e la società attuale forti stimoli di ripensamento e di orientamento su possibili vie alternative circa l'uso dei beni nella ricerca della giustizia e del bene dei popoli della terra.
Le due giornate di Greccio sono state scandite dalle relazioni di tre affermati studiosi della società medievale e del francescanesimo, nella prima, che hanno illustrato i complicati rapporti con il denaro dei frati Minori dalle origini alla fine del Trecento dal punto di vista normativo, speculativo e pratico; e di altre tre relazioni, nella seconda, circa il significato e il ruolo del denaro nella società moderna, nell'economia di mercato, nel governo politico. È impossibile fornire un resoconto dettagliato della ricchezza e originalità di prospettive emerse dai lavori; il lettore, comunque, troverà una competente sintesi ragionata nella conclusione del convegno, affidata al professor Alfonso Marini (pp. 169-184). Per il tenore di questa rivista risultano più significativi gli interventi della prima giornata, dei quali si dà qui un rapido cenno. Con la consueta chiarezza, dall'analisi della Regola e delle biografie del fondatore, della prima bolla pontificia in materia (la Quo elongati di Gregorio IX) e dei commenti interpretativi dei maestri, Roberto Lambertini (Povertà e denaro nella dottrina e nella prassi dei francescani delle origini, pp. 17-37) fa rivivere la difficile relazione delle prime generazioni francescane con il denaro, dal quale peraltro, nonostante l'assoluto divieto di Francesco, non era possibile prescindere nell'espletazione della propria missione nella Chiesa e nella città secolare del loro tempo (vedi l'immediata necessità del ricorso ad alcuni «amici spirituali» laici che amministrassero per i frati le offerte in denaro).
Secondo approfondite interpretazioni di studiosi recenti, più che per la sua realtà materiale di moneta metallica, nella mente di Francesco il rifiuto del denaro riguardava la sua natura di misura quantitativa, valore universale di scambio di ogni realtà della vita, intendendo salvaguardare invece per i suoi frati una continua ricerca e «scoperta dell'altrove», vale a dire dei valori più alti della trascendenza e della fraternità. Questa chiave interpretativa della povertà francescana, sostenuta particolarmente da Giacomo Todeschini, è fatta propria anche dal Lambertini che la trova «particolarmente convincente», e sotto questa luce egli rilegge il commento di Ugo di Digne al capitolo IV della Regola, illuminante sui problemi interni e gli attacchi esterni cui la comunità era sottoposta tra gli anni cinquanta e sessanta del Duecento, nella sottile distinzione tra l'uso del denaro mediato da un «nuntius» e il suo oggettivo possesso che si avrebbe invece nel trasferimento di un «mutuum». L'intervento del citato Todeschini («Il denaro e l'esclusione sociale nel pensiero francescano», pp. 39-60) è condotto per intero sulla base della distinzione tra poveri volontari e poveri quotidiani, vale a dire gli indigenti a confine con la miseria: oggetto di una grande affidabilità, inclusione sociale e piena appartenenza alla vita della civitas, i primi; dotati di scarsa onorabilità e credibilità, i secondi, percepiti come schiavi di passioni disonorevoli, esclusi giuridicamente dal consorzio civile quali «un'infamia di fatto». Per capire questa «enorme differenza» tra la povertà liberamente scelta e quella coatta, l'autore ha felicemente proposto l'intuizione di Francesco, esplicitata e sviluppata dai maestri dell'Ordine, che «nell'uso appropriato dei beni ha individuato la chiave di volta di una povertà significativa» (p. 44).
Questa linea comporta una corretta epistemologia di ciò che nelle diverse situazioni della vita è strettamente necessario contro la volontà di accumulazione, di appropriazione, del superfluo. Per un francescano, quel che conta è il valore d'uso del denaro, non quello di scambio, perché nella sua fisicità e statiticità monetaria esso non rende mai ragione della relatività del valore delle cose. La scelta della povertà, invece, con l'uso povero del denaro che permette una giusta misura del valore dei beni terreni, provenendo da una volontà che intende conformarsi alla nudità di Cristo, sa scoprire l'essenza nuda delle cose e disinteressatamente utilizzarle per il bene di tutti. Le conseguenze di questa nuova visione della povertà sia nel cammino di perfezione dei singoli, sia nelle strutture della vita cittadina sono facilmente visibili e documentabili, come il relatore stesso accenna scrivendo «dell'immersione dei francescani, sin dagli anni trenta del Duecento, nel vivo della socialità politica ed economica, e dei terziari nel fuoco della gestione amministrativa» (p. 49). Mediante la loro influenza essi orientavano la fervida economia mercantile dei comuni verso una concezione cristiana del lavoro e del commercio secondo criteri di umanità e di giustizia, non soltanto di profitto e di capitalizzazione.
In tal modo i francescani potevano aiutare anche i poveri a uscire dalla loro schiavitù e sudditanza alla ricchezza, soccorrendoli e abbracciandoli con l'affetto di Francesco, pur distinguendosi e conservando la buona fama della propria identità di «poveri volontari», o pauperes Christi. La terza relazione, di Paolo Evangelisti («La moneta come bene della Res Publica. Pensatori `aristotelici' e concezioni teorico-poitiche del francescanesimo nel XIV secolo», pp. 61-94), è un'impegnativa analisi storiografica dei maggiori autori che nel Trecento hanno affrontato con grande consapevolezza i rapporti della moneta con la comunità, il mercato, l'esercizio stesso della sovranità, anticipando di un secolo l'uso delle fonti classiche e aristoteliche con lo strumentario lessicale e concettuale abitualmente assegnati agli autori dell'umanesimo e del rinascimento laico quali padri della modernità economica e politica dell'Europa. Testi base di riferimento sono i commentari all'Etica e alla Politica di Aristotele compilati da Nicola di Vaudemont, Giovanni Buridano, Nicola Oresme, oltre il De moneta di quest'ultimo (1370 circa), e l'importante Tractatus de usuris (1305 circa) del teologo Alessandro di Alessandria, ministro generale dei francescani (al quale viene associato anche il catalano Francesco Eiximenis).
Le questioni fondamentali da essi discusse riguardano la liceità della svalutazione o alterazione del bene comunitario della moneta, tentata da un sovrano che viene pertanto ipso facto delegittimato, e la legittimità della professione dei cambiavalute (l'ars campsoria). L'attenzione maggiore del relatore è rivolta al testo di Alessandro che, diversamente dalla posizione più cauta e prudenziale dell'Oresme, seguace in questo di Tommaso d'Aquino, riconosce con argomentazioni penetranti la funzione economica del deposito bancario e la piena liceità della funzione civile ed economica del campsor, la cui attività non può dirsi né vile né artificiale, ed è esente dal rischio dell'usura in quanto diretta al bisogno degli uomini e al bene della comunità.
Nella seconda giornata Stefano Magazzini ha parlato su «Il ruolo del denaro nella società moderna» (pp. 95-107), esponendo il contenuto del noto testo di Georg Simmel, Philosophie des Geldes (Leipzig 1900); Romeo Ciminello su «Il significato reale dell'economia sociale di mercato. Denaro, economia, finanza e bene comune» (pp. 109-150), ispirandosi largamente alla dottrina sociale della Chiesa; Pierluigi Castagnetti su «Quali politiche per l'uso del denaro? Ci sono regole, di quale tipo, per l'uso del denaro?» (pp. 151-168), che con una sofferta e impietosa esposizione delle diseguaglianze, della fame, delle ingiustizie che affliggono attualmente «l'ultimo miliardo» dell'umanità, si interroga su quale nuovo modello di sviluppo debba puntare oggi un politico che osi ancora denominarsi «cristiano».
Tratto dalla Rivista "Il Santo. Rivista francescana di storia dottrina arte" L, 2011, fasc. 2-3
(http://www.centrostudiantoniani.it)
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