Francesco a Roma dal signor Papa
(Biblioteca di frate Francesco)EAN 9788879621458
Questo volume, che raccoglie i contributi del VI convegno di Greccio, organizzato dal Centro Culturale Aracoeli dei frati Minori della Provincia Romana, nella persona di p. Alvaro Cacciotti, si pone intenzionalmente come anticipazione e testo di apertura dell'«VIII centenario della approvazione della prima regola», come si legge nel frontespizio. Un primo apprezzamento e riconoscimento va fatto certamente per i tempi di realizzazione del libro, se si pensa che nell'arco di cinque mesi sono usciti gli atti di un convegno celebrato a maggio del 2008. Il primo intervento è di Stefano Brufani: Roma, 1209: Innocenzo III incontra Francesco (secondo Tommaso da Celano) (pp. 17-37). Lo studioso assisano, dopo una rapida collocazione dell'episodio dell'incontro tra Francesco e Innocenzo III nel contesto storico attraverso le fonti a sua disposizione, si sofferma sulle notizie forniteci dalle biografie del primo biografo, per dimostrare come «Tommaso da Celano si incaricò di dare valore fondante a quell'episodio e proiettò su di esso aspettative che solo in seguito si sarebbero realizzate» (p. 37). Infatti, il periodo che Grado Merlo ha definito di «metamorfosi», ossia gli anni 1216-1226, che segnano il passaggio dalla fraternitas alla religio, sono contraddistinti dalla rinuncia di Francesco all'ufficium prelationis e dall'ascesa di un nuovo «gruppo dirigente caratterizzato come lombardo e internazionale, composto di universitari e predicatori» (p. 35): ma ciò deve essere letto congiuntamente alla politica papale verso i Minori e Predicatori, che Brufani documenta attraverso la lettera Vineae Domini custodes del 7 ottobre 1225. Proprio questa lettera viene citata indirettamente dalla Vita beati Francisci per l'interpretazione che Tommaso fa intorno al viaggio di Francesco a Roma: «Fu la predicazione a provocare il viaggio a Roma» (p. 28). Quindi sembra che la preoccupazione del primo biografo di Francesco non sia tanto o solo quello di dare un fondamento istituzionale alla nascita di un Ordine prima della costituzione 13 del IV concilio Lateranense, ma quella di legittimare attraverso l'immagine agiografica di Francesco, nuovo miles Christi, la nascita di un nuovo Ordo di apostoli, evangelizantes, secondo la primitivae Ecclesiae forma. Nicolangelo D'Acunto si è occupato di Il vescovo di Assisi Guido I presso la Curia Romana (pp. 41-60), in realtà ritornando su studi da lui stesso già affrontati in passato, come egli stesso indica sulla prima nota del suo lavoro. Attraverso la documentazione di archivio D'Acunto ha dimostrato che Guido I, il vescovo che accolse Francesco sotto il suo mantello al momento della conversio, fu in carica certamente fino all'agosto 1208. Del suo successore Guido II, si fa menzione per la prima volta il 5 agosto 1212, lasciando così una «zona d'ombra» nella cronotassi dei vescovi di Assisi. Lo studio delle agiografie sanfrancescane e della documentazione pontificia seppure non fornisce allo studioso una risposta definitiva su quale Guido si trovasse a Roma (anche se l'autore ritiene si tratti di Guido I), evidenzia «che la presenza di Guido I a Roma accanto a Francesco non è meramente accessoria, ma assolve una funzione asseverativa e costituisce un fattore di autenticazione dell'avvenimento e in special modo della sua collocazione cronologica» (p. 56). Ciò è evidente soprattutto nella Vita Beati Francisci, mentre nelle altre bio-agiografie, essendo cambiata «la strategia di stabilizzazione istituzionale», la figura di Guido I andrà pian piano scomparendo. Il terzo intervento, Francesco d'Assisi, il cardinale Giovanni di San Paolo e il collegio cardinalizio, è curato da Maria Pia Alberzoni. Con l'acribia che la contraddistingue, la studiosa presenta un quadro storico della personalità del monaco-cardinale e della sua carriera ecclesiastica fondata sulle fonti finora conosciute. A lui l'Alberzoni, affianca il cardinale cistercense Raniero da Ponza, sia per i legami con il suo antico confratello Gioacchino da Fiore, sia per la sua sensibilità verso le nuove espressioni di vita religiosa, mostrata in diverse legazioni: egli fu colui che, su ipotesi di Maleczek, si occupava delle suppliche per cui dovette avere a che fare con Francesco. Insieme a questi due cardinali furono sensibili alle nuove forme di religiosità anche Leone Brancaleone, che svolse per la prima volta la funzione di corrector dei Poveri Cattolici di Durando di Osca e che viene citato insieme al cardinale Ugolino nel Memoriale in desiderio animae, 119. In questo contesto la studiosa ha modo di precisare l'evoluzione e la funzione istituzionale del «cardinal protettore», che non può essere attribuito al cardinale Giovanni di San Paolo. La funzione svolta dal cardinale è quella che «si trova in sostanza nella Vita beati Francisci, successivamente e progressivamente ampliata e addiritura modificata nei racconti agiografici, sia servendosi di motivi ripresi dagli scritti di Francesco – il Testamentum e le regulae – sia, soprattutto nella Legenda trium sociorum, dalla Vita beati Francisci stessa» (p. 82). Il ruolo di Giovanni di San Paolo è quello inquisitoriale, in quanto auditor delle cause in curia o penitenziere papale, che tenta di convincere Francesco di aderire a un inquadramento istituzionale già esistente, per cui «è difficile cogliere espliciti segnali di riconoscimento o di particolare stima del cardinale per Francesco: emerge piuttosto la fedeltà a un iter procedurale, solo in parte allora consolidato» (p. 84). Secondo l'Alberzoni nella Vita beati Francisci fu a causa di una visione retrospettiva che i contorni del cardinale Giovanni si ridefinissero in senso positivo, sulla falsariga del cardinale Ugolino. Molto utili le due tavole sinottiche sulle fonti agiografiche poste alla fine dell'articolo (pp. 86-91). Il contributo di Werner Maleczek, Innocenzo III e la Curia Romana nell'anno 1209 (pp. 95- 122), grazie al pluri-decennale lavoro di ricerca sui documenti di Innocenzo III, traccia una panoramica sulla situazione della curia romana intorno all'anno 1209. L'autore si pone in continuità con l'intervento tenuto dieci anni prima nel 25º convegno della Società Internazionale di Studi Francescani sul rapporto tra il francescanesimo e il papato del XIII secolo, che in realtà a suo parere non è stato recepito dalla recente storiografia francescana. Dalle fonti curiali non emerge alcun riferimento all'approvazione della forma vitae di Francesco, ma bisogna servirsi delle fonti francescane seppure con una certa prudenza, ossia tenendo conto del «velo dei ricordi», come Johannes Fried ha recentemente chiamato «le profonde deformazioni, le costruzioni intellettuali e intenzionali, e le manipolazioni legittimatorie» (pp. 98s). Il viaggio di Francesco a Roma, secondo Maleczek è avvenuto tra l'ottobre 1208 e la metà di maggio del 1209; il motivo del viaggio è la richiesta del permesso della predicazione evangelica laicale; la prassi seguita da Francesco era quella consueta: sostegno del vescovo o di una persona autorevole, presentazione di un propositum, esame da parte di una persona competente e riconoscimento. Il riconoscimento sembra essere stata «una approbatio in maniera giuridicamente non impegnativa» (p. 100), si potrebbe ipotizzare un'approvazione orale anche se non si conoscono casi simili, così come non esiste una risposta chiara nello spolio delle lettere di Innocenzo III, riguardo alla distinzione del termine approbare e confirmare, secondo l'ipotesi che vorrebbe il termine approbatio per indicare il riconoscimento di Innocenzo e quello di confirmatio per indicare la lettera con bolla del 1223. Restringendo il campo di analisi al periodo sopraindicato lo studioso fa una disamina di tutte le lettere di Innocenzo III (si tratta di 390 lettere), per dimostrare come questo arco cronologico fosse stato un periodo di tranquillità sia nella politica estera del pontefice (relazioni con Ottone IV, lotta contro gli albigesi), sia nella politica dello Stato Pontificio. La conclusione è che tale tranquillità abbia certamente favorito una «maggiore attenzione ai compiti strettamente religiosi» (p. 121). Carlo Paolazzi si è occupato di La «forma vitae» presentata da Francesco a papa Innocenzo III (pp. 125-139). Lo studioso francescano con stringenti e «ferrei» argomenti filologici, per usare l'espressione di Bartoli Langeli durante le conclusioni, mostra anzitutto come la forma vitae sia il risultato di quella che Francesco stesso definisce nel suo Testamentum una rivelazione del Vangelo e come attestano le prime biografie. Il testo della «forma vitae», fatta scrivere «paucis verbis et simpliciter», Paolazzi lo ricava attraverso un confronto intertestuale tra Testamentum - Regula non bullata - Anonymus Perusinus. Egli nota che il testo riportato nell'episodio dell'Anonymus delle triplice apertura del Vangelo (sortes apostolorum) da parte di Francesco al fine di conoscere la volontà dell'Altissimo per sé e per i suoi primi compagni, coincide con le prime due citazioni bibliche riportate nel primo capitolo della Regola non bullata (Mt 19, 21 e 16, 24). Trattandosi di un centone di citazioni bibliche l'ipotesi di Paolazzi è che la forma vitae fosse costituita da queste due citazioni più una terza (Lc 9,3), citata sempre dall'Anonymus Perusinus, che ritroviamo al cap. XIV della Regula non bullata. Anche Paolazzi propende per l'ipotesi, desunta dal tenor della lettera Solet annuere del 29 novembre 1223, che sia Onorio III a confermare la Regola, «a bone memorie Innocentio papa, predecessore nostro, approbatam». Francesco e la fraternitas minoritica a Roma. Confronto critico tra le fonti primitive sui caratteri della prima fraternità minoritica (pp. 143-226) è il tema di cui si è occupato Pietro Maranesi in una lunga e ricca trattazione. Il frate cappuccino ha anzitutto studiato le notizie fornite dal Testamento nei vv. 14-23, partendo dalle acquisizioni già fatte nel suo precedente lavoro Facere misericordiam. La conversione di Francesco: confronto critico tra il Testamento e le biografie, Assisi 2007. Molto sapiente la metodologia dell'autore che legge le fonti come su un doppio binario: il Testamento infatti, proprio perché è una memoria storica, non va letto e interpretato solo come proiezione nella primitiva esperienza di Francesco, ma anche nella prospettiva di un presente che ne inficia, anche se non completamente, la memoria. Insomma il Testamento come le fonti biografiche non ci forniscono indicazioni storiche solo sull'epoca che loro raccontano, ma anche sul presente della loro redazione. Mi pare che Maranesi qui faccia tesoro dell'ermeneutica biblica che per i Vangeli distingue la fase storica della vita di Gesù dal Sitz im Leben della predicazione di quel messaggio. Riguardo al contenuto l'autore individua nel Testamento 5 capisaldi che caratterizzano la primitiva fraternitas: la totale povertà, l'ufficio divino, la minorità, il lavoro manuale, il saluto della pace, che trovano un riscontro anche nella struttura dello scritto francescano, come mostra in modo sintetico la tabella a p. 156. Nella seconda parte Maranesi analizza le notizie delle fonti bio-agiografiche, partendo dalla Vita beati Francisci 38-41 e mettendole a confronto con l'Anonymus Perusinus e la Legenda trium sociorum. Tommaso da Celano individua nella fraternitas minoritica due principi fondativi: la minorità e la carità fraterna, intesa come affetto, condivisione e obbedienza; e cinque aspetti esplicativi: povertà, lavoro, pazienza, preghiera, sudditi al mondo. Grado Giovanni Merlo è intervenuto su «Venientes ad apostolicam sedem». Incontri romani (pp. 229-243). Il merito del suo contributo è certamente quello di aver mostrato, con la citazione diretta delle fonti, come l'episodio del viaggio a Roma di Francesco non fosse un fatto isolato, ma ben inquadrato in quel contesto storico. Dopo le decisioni di Lucio III sancite nella decretale Ad abolendam del 1184, solo recandosi a Roma i nuovi movimenti religiosi potevano sperare in una vita tranquilla, e evitare accuse di eresie dai prelati locali. Questa fu l'esperienza dei valdesi, di Durando di Osca, degli umiliati, di quei gruppi che, nota Merlo, sono tutti rigorosamente denominati pauperes. Cosi ci testimoniano sia Burcardo di Ursberg che Walter Map e Anonimo di Laon. Chiara Frugoni ha affrontato il tema: Francesco, un vescovo e due pontefici: fonti scritte e iconografia del percorso agiografico da Roma ad Assisi (pp. 248-342) seguito da un apparato iconografico di 52 tavole (pp. 345-377). La studiosa romana ha passato in rassegna la produzione artistica del primo secolo e oltre, inerente il viaggio di Francesco a Roma, e ha cercato di leggere le testimonianze iconografiche attraverso il confronto con le fonti letterarie, fornendo spunti interessanti. La prima opera analizzata è la tavola Bardi, conservata nella omonima cappella di Santa Croce in Firenze, datata da lei stessa intorno al 1243 anche perché evidentemente dipendente dalla narrazione della Vita beati Francisci di Tommaso da Celano. Il secondo artista, di cui la Frugoni si è occupata, è il «Maestro di san Francesco» sia negli affreschi della Basilica inferiore, sia in alcune vetrate della Basilica superiore: il suo testo di riferimento è il Memoriale in desiderio animae. Infine, si sono studiati gli affreschi della Basilica superiore, che come titola lei stessa trattasi di «un'altra storia», non solo per la dipendenza letteraria dalla Legenda maior di Bonaventura, ma anche per la realizzazione sotto il pontificato di Niccolò IV (1288-1292), primo pontefice francescano. Di grande interesse l'evoluzione che Frugoni mostra nelle fonti pittoriche del cartiglio della Regola, che inizialmente era un libro (Tavola Bardi), poi diviene un cartiglio vergato con le parole della lettera Solet annuere, che nel 1223 approvava la regola dei Minori, ma creando un evidente anacronismo; infine vediamo testimoniato nel medesimo episodio iconografico dell'approvazione della regola, anche una professio in manus (affreschi del terzo quarto del XIV secolo in San Severino Marche). La studiosa nota che la presenza del cartiglio è sempre associata con la figura del pontefice munita di tiara e non di mitria, come nelle prime rappresentazioni, e ciò conferisce una valenza altamente istituzionale al gesto del papa. In tal senso può essere utile l'indicazione di Agostino Paravicini Bagliani, che nel suo Le chiavi e la tiara, riguardo alla distinzione tra tiara e mitria afferma: «La situazione appare più chiara nell'Ordo XI di Benedetto (1140-1143) e nell'ordo di Cencio (1192), che distinguono tra l'uso papale della mitria (nel corso di celebrazioni liturgiche) e della tiara (durante le cavalcate attraverso la città di Roma)» (p. 68). Preziosa anche la distinzione tra tonsura e corona (303ss). L'ultimo intervento è di Luciano Bertazzo: 1209-2009: I percorsi della memoria tra «recordatio» e «celebratio» (pp. 379-405), a cui è toccato il difficile compito di tracciare una linea di congiunzione tra l'evento studiato nel convegno, appunto il viaggio di Francesco a Roma, e l'oggi della celebrazione centenaria. In una vastissima parabola cronologica e, intuisco, in una smisurata congerie di fonti il francescano conventuale è riuscito a trovare una sintesi armonica e convincente. Dopo aver passato in rassegna le croniche di otto secoli di storia francescana, l'autore si sofferma sulla ricorrenza centenaria del 1909, in cui a seguito della felice riscoperta di Francesco e delle sue fonti, si è dato un rilievo peculiare e nuovo a tale ricorrenza. In qualche modo il desiderio della memoria si coniuga presto con quello di una nuova ricerca sull'identità francescana, non è un caso che proprio nel 1908 appaia il primo numero di «Archivum Franciscanum Historicum». Le Conclusioni del Convegno sono offerte da Attilio Bartoli Langeli, che insieme alla riconoscenza per i relatori indica nel suo consueto stile sagace e frizzante alcune delle piste che il convegno stesso ha lasciato aperte o le questioni che ha contribuito a problematizzare per nuove indagini. Il diplomatista perugino, dopo aver chiarito la distinzione tra approbatio (non necessariamente scritta) e confirmatio (scritta), solleva fugacemente una provocazione riguardo alla forma stessa della conferma papale: se consideriamo l'intitulatio della Solet annuere, indirizzata «dilectis filiis fratri Francisci et aliis fratribus de ordine fratrum minorum», poiché Francesco non aveva nessun ufficio nell'Ordine, dobbiamo dedurne che «a ragionare in punta di diritto, quella lettera manteneva i suoi effetti finché il suo destinatario fosse in vita, non dopo» (p. 413).
Tratto dalla rivista "Il Santo" XLIX, 2009, fasc. 1
(www.centrostudiantoniani.it)
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