La schiavitù via di pace
-Una prospettiva pragmalinguistica di Rm 6,15-23
(Tesi Gregoriana Teologia)EAN 9788878393516
L’autrice presenta il testo integrale della dissertazione dottorale in Teologia Biblica discussa presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma, l’8 ottobre 2015, sotto la direzione di P. Scott Brodeur, sj. La sua analisi è incentrata sull’analisi esegetico-teologica di Rm 6,15-23 e vuole valorizzare il metodo retorico-letterario in prospettiva “pragmalinguistica”. Volendo spiegare la relazionalità e la funzione del linguaggio, l’autrice analizza la pericope di Rm 6,15-23 a partire dalla sua forza comunicativa nell’interazione tra l’Autore della lettera e il Lettore. Il volume è complessivamente suddiviso in tre parti e quattro capitoli: Parte I. I presupposti epistemologici (capitolo I: Lettura in evoluzione: approcci e metodologia a confronto); Parte II. Co-testo e testo, come itinerario di lettura (capitolo II: Il cammino del Lettore: un’identità in costruzione; capitolo III: La rete del Testo e il suo impatto semantico); Parte III. La riflessione teologica (capitolo IV: La pragmatica della teologia paolina: la schiavitù diventa via di pace).
Come lo stesso titolo propone, la prima parte del testo è di natura epistemologica. L’autrice fonda la maggior parte della sua riflessione sulla proposta di due autori: J.L. Austin e B.J.F. Lonergan, i quali considerano il Testo come luogo di incontro cognitivo tra Autore e Lettore, il che garantisce una creatività in collaborazione tra i due. Si tratta di una presupposta comunicazione che linguisticamente permette al Lettore di rivalutare il Testo, il quale a sua volta permette al Lettore di modificare il proprio orizzonte cognitivo. Similmente al linguaggio dialogico che contribuisce alla relazione, la situazione “silente” del Testo scritto insieme alla semantica, il lessico e il sistema verbale, porta il Lettore verso la rivalutazione del Testo stesso. La linguistica pragmatica, descritta dall’autrice, non rappresenta una teorizzazione delle tecniche linguistiche, ma è un modo di vivere la comunicazione (cf.66). Il sistema linguistico dialoga con i metodi scientifici dell’esegesi, e ogni esegesi diventa comunicativa (secondo la prospettiva longheriana) quando tutto ciò che viene chiarito ed investigato a livello teorico incontra le situazioni concrete della vita umana (cf.79-80).
Nella seconda parte del volume, prima di definire Rm 6,15-23 come testo, l’autrice espone un itinerario di lettura della lettera ai Romani. La sua attenzione è basata sul co-testo, come anche sul contesto della lettera ai Romani. Il vocabolario, i modelli letterari, le discontinuità verbali e temporali, e tutti gli elementi stilistici che attestano un progresso nell’argomentazione, hanno portato l’autrice verso la conclusione che Rm 5,1 apre una nuova sezione nella lettera, che così viene a costituire il contesto immediato della pericope Rm 6,15-23. La lunga sezione che va da Rm 1,1 sino a Rm 4,25 descrive l’umanità davanti alla potenza creatrice di Dio. Inoltre, il sentiero testuale della prima sezione, valorizzando il discorso sulla giustizia, propone un “cammino pedagogico ed esperienziale, grazie al quale il Lettore comprende che la rivelazione di Dio entra nelle maglie della storia dell’uomo e si sperimenta come ira o come giustizia a seconda della relazione che l’uomo stesso stringe con Dio della storia e della vita” (17). I versetti finali di Rm 4 fungono da cerniera con Rm 5, non soltanto semanticamente sotto il tema della giustificazione, ma anche grazie all’uso del pronome personale “noi” (?μ?ν) che ha un impatto pragmatico sul Lettore. La nuova unità letteraria di Rm 5,1–8,39, soprattutto nelle domande diatribiche di Rm 6,1.15 appella la comunità e la coinvolge nella “pace” e nella “riconciliazione” (cf.181). La pericope Rm 6,15-23 è dominata dal campo semantico del δο?λος, mentre il v. 23 presenta una inclusione con il v. 15, mediante il vocabolario della grazia. «In questa cornice, il cui linguaggio sembra essere spersonalizzato, dominato da opposizioni temporali e assiologiche, il dialogo si costruisce alla seconda persona plurale. È interessante che, già a partire dal v. 6, cominci tutto il gioco espressivo sul δο?λος, che contrasta con un lessico sulla liberazione monolitico» (20-21).
Nell’ultima parte del testo l’autrice cerca di comprendere le strategie pragmatiche di Paolo e il contesto comunicativo della lettera ai Romani sotto un profilo teologico. Interrogandosi sull’effetto “realtà” della lettera ai Romani, l’autrice chiede chi siano i veri destinatari della lettera (cf.251-275). Il principio ermeneutico essenziale per la comprensione della nuova vita in Cristo è sotto la luce della schiavitù. In questione è un paradosso considerato come artificio letterario (cf.292-298), creato dall’Autore per accentuare una verità di natura teologica, sociologica e antropologica. Il paradosso è una contraddizione apparente, spesso utilizzata nella Scrittura, che cerca di attirare l’attenzione del Lettore per indicare una verità trascendente. Paolo sicuramente non «vuol fare una apologia della schiavitù, ma utilizza questa esperienza, socialmente nota, per insegnare al Lettore un modo creativo di pensare la fede e il tema della giustificazione» (cf.295).
“Il linguaggio è l’uso che se ne fa” sarebbe l’idea chiave che ha condotto l’autrice nell’analisi di Rm 6,13-25. Il suo contributo presenta un buon tentativo di realizzare una sinergia tra il metodo dell’analisi retorica e la prospettiva sociologica, letto in chiave pragmatica. Pur criticando la retorica (cf.65) e alcune regole esegetiche, l’autrice a volte le inserisce nel suo “discorso filosofico” sulla lettera ai Romani. La prima parte del testo è più filosofica che teologica, e inoltre piena di citazioni di autori, a volte piuttosto lunghe (il che si ripete frequentemente lungo tutta l’estensione del libro). Il lettore deve aspettare sino a pagina 100 per chiedersi insieme all’autrice: cosa ci proponiamo di fare in questa nostra ricerca? Risulta assai interessante e precisa la lectio cursiva della lettera ai Romani, però troppo poco centrata sulla pericope di Rm 6,15-23: a lèggere titolo il lettore si attendeva una maggiore attenzione a quel testo (si inizia a trattarne a pagina 195!). Non ci risulta chiaro perché si sia scelto il titolo La schiavitù via di pace se poi la stessa autrice afferma che il tema della “pace” sembra essere estraneo alla pericope (cf.227). L’unica risposta e novità che l’autrice riesce a offrire è quella riguardante l’identità della comunità romana, non definita dalle ricerche storiografiche extra-epistolari, ma ricostruita con argutezza dallo stesso apostolo (cf.23-24).
Tratto dalla rivista Lateranum n.2/2018
(http://www.pul.it)
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