Perché, o Dio, ci hai rigettati?
-Scritti scelti dal secondo e terzo libro del Salterio
(Analecta Biblica Studia)EAN 9788876536878
Il libro dei Salmi, tanto familiare anche ai cristiani non esperti di Bibbia, non è un libro facile. Intanto perché, essendo scritto in poesia, non sempre l’autore si esprime in modo semplice; è noto, infatti, che per comprendere le opere dei poeti è indispensabile possedere una certa familiarità con un genere letterario specifico. Ecco perché non basta leggere i salmi per coglierne il contenuto: c’è il rischio di recitarli senza capirli, un po’ come un tempo si recitavano i testi latini senza coglierne il significato. Ben venga quindi l’opera del Barbiero che cerca di fornire ai lettori di lingua italiana un utile sussidio per penetrare la ricchezza contenuta in una serie di salmi tratti dal libro secondo e terzo. L’A. infatti, segue la tradizionale divisione del Salterio in cinque parti (Sal 1-41, primo libro; Sal 42-72, secondo libro; Sal 73-89, terzo libro; Sal 90107, quarto libro; Sal 107-150, quinto libro) fondata su alcuni elementi testuali oggettivi, anche se attualmente non tutti condividono questa divisione del libro (cf.d. wiLLgren, The formation of the “Book” of Psalms: Reconsidering the Transmission and Canonization of Psalmody in Light of Material Culture and the Poetics of Anthologies, Mohr Siebeck, Tübingen 2016, 19-20).
L’A. aveva già affrontato in opere precedenti la prima parte del salerio, ossia i Sal 1-41, conosciuta dagli specialisti come Primo Libro dei Salmi (cf. g. BarBiero, Il regno di Jhwh e del suo Messia. Salmi scelti dal primo libro del Salterio, Città Nuova, Roma 2008; g. BarBiero, Das erste Psalmenbuch als Einheit: Eine synchrone Analyse von Psalm 1-41, Peter Lang, Frankfurt am Main, 1999). In questo ulteriore lavoro, l’A. si cimenta con la seconda (Sal 42-72) e terza parte (Sal 73-89) del Salterio; ma, all’interno di queste due raccolte, sceglie i salmi che affrontano uno degli argomenti più interessanti, ma anche più difficili della letteratura antica, ossia il tema del dolore umano che sfida la giustizia divina: “Perché Signore ci hai rigettati!”, è il titolo del volume, tratto dal v. 1 del Sal 74. In questa raccolta, l’A. vuole condensare la reazione del semplice fedele di fronte alla tragedia dell’esilio, vissuta dal popolo ebraico dopo la distruzione di Gerusalemme del 587 a. C. e la cui eco ha pervaso buona parte della letteratura biblica. Naturalmente la sofferenza umana è un tema ben noto nei testi del Vicino Oriente Antico; sia il mondo egiziano e sia quello mesopotamico ci hanno lasciato pagine di straordinario pathos: già nel Primo Periodo Intermedio (circa 2200 a.C.) la letteratura egiziana ci ha tramandato la testimonianza di un contadino che, stanco di vivere, si abbandona alla disperazione bramando la morte come sospirata liberazione dalla triste condizione umana (cf S. donadoni, Testi religiosi egizi, UTET, Torino 1978, 199-205). Cronologicamente poco dopo, in Mesopotamia, un povero contadino si sente abbandonato dalla propria divinità nella quale riponeva la sua fiducia e dalla quale si aspettava protezione (cf.W.W. haLLo [ed.], The Context of Scripture, I, Brill, Leiden 1997, 487-492; g.r. CasteLLino, Testi sumerici e accadici, UTET, Torino 1977, 428-492). Nel mondo biblico è noto che Giobbe vive lo stesso dramma interiore: aveva inteso che colui che si comporta bene è protetto da Dio; ma purtroppo deve riconoscere che non è così. Sarebbe stato molto utile per il lettore che non ha dimestichezza con la letteratura mediorientale antica se il Barbiero avesse citato qualche testo parallelo per evidenziare che il fedele, adoratore di Jhwh, vive talvolta lo stesso dramma esistenziale di ogni uomo e che la fede non lo pone al riparo dalle crisi interiori. Insomma, quanto l’A. ha fatto a proposito del Sal 72, per il quale richiama il prologo del codice di Hammurabi (cf.322-325) al fine di illustrare la concezione comune della regalità biblica, poteva estenderlo al tema della sofferenza. Questo nuovo modo di leggere i Salmi permette di superare l’ambito limitato del mondo biblico per inserire il fedele ebreo in un’ottica più ampia che abbraccia la religiosità dell’individuo indipendentemente dall’area geografica e dalla religiosità ufficiale praticata. Il lavoro comparativo rivela che l’uomo, a qualunque latitudine appartenga, si trova alle prese con gli stessi problemi ai quali risponde con le stesse emozioni ed atteggiamenti. In altre parole, mentre gli altri libri biblici, in particolare quelli che suppongono una lunga elaborazione letteraria, rispecchiano la teologia di una élite, i Salmi ci rivelano la religiosità popolare nella dimensione individuale. Il confronto con il materiale mediorientale permette di considerare il libro dei Salmi non come una semplice raccolta di preghiere, ma un prezioso specchio di come l’uomo comune si rapportava alla divinità.
A parte questo rilievo di carattere generale, l’A. offre per ogni salmo la propria traduzione, con puntuali osservazioni di critica testuale e analisi filologiche. Queste ultime non riguardano solo i vocaboli difficili del lessico, ma anche quelli utili ad una più profonda comprensione del testo. Per questo lavoro lo strumento più usato è il vocabolario HALOT (= L. köhLer w. BaUMgartner, The Hebrew and Aramaic Lexicon of the Old Testament, 1-5, Brill, Leiden 1994-2000) con cui l’A. cerca di fornire una propria interpretazione dei brani difficili, facendo ricorso anche alle lingue extra-bibliche. Sotto questo aspetto, il lavoro del Barbiero poteva essere più approfondito sia per gli strumenti adoperati e sia per i risultati. Per quanto riguarda la strumentazione, sorprende l’assenza del dizionario di D.J.A. CLines (The Dictionary of Classical Hebrew, Sheffield Academic Press, Sheffield 1993-2011) che senza dubbio rappresenta un progresso nella lessicografia ebraica. Per le grammatiche, il vecchio Joüon (P. Joüon, Grammaire de l’hébreu biblique, Institut Biblique Pontifical, Rome 1923) spesso citato dal Barbiero, può essere sostituito tranquillamente dal nuovo rifacimento dell’opera fatta da T. Muraoka (p. Joüon t. MUraoka, A grammar of biblical Hebrew, Roma: Gregorian & Biblical Press, 2009) integrato da B.k. waLtke M. o’Connor, An Introduction to Biblical Hebrew Syntax, Eisenbrauns, Winona Lake 1999.
Per quanto concerne più direttamente l’esame del testo, segnalo alcuni punti che a mio avviso non sono del tutto convincenti. Nel Sal 42-43, a ragione considerato un unico salmo, il Barbiero così traduce il v. 2: “Come una cerva bramisce su torrenti inariditi così la mia anima grida a te o Dio”. La versione proposta dall’A. diverge sensibilmente da quella tradizionale: “Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio”. L’immagine è chiara: il cervo anela all’acqua come il fedele desidera l’incontro con Dio. Il Barbiero trasforma quest’immagine in quella di un «animale che urla dalla sete, cercando invano un resto d’acqua dove egli era solito trovarla, nei torrenti: essi sono ora inariditi» (26). Tale interpretazione non è convincente e dipende dal senso che si attribuisce non solo al verbo ‘?rag, che ricorre soltanto nel testo in esame e in Gl 1,20, ma specialmente all’espressione ’afîqê m?jim “corsi d’acqua” (alla lettera “letti d’acqua”). Per quanto concerne il verbo ‘?rag, F. zoreLL (Lexicon hebraicum Veteris Testamenti, Romae: Pontificium Institutum Biblicum, 1984 s.v.) ipotizza un significato originario di “sforzarsi di…” fino ad esprimere il desiderio e quindi propone “desideravit”, (cf.anche HALOT, “crave” e Clines, “pant for”). Il significato di “bramire” può anche essere accettato se però si prende nel senso etimologico di “bramare”; interpretarlo come un urlo disperato di un animale, deluso per non trovare l’acqua che cercava, non riflette il significato del salmo. Del resto il verbo ‘?rag viene precisato nel suo significato dall’espressione ebraica ’afîqê m?jim che può essere reso con “torrenti”. Il Barbiero aggiunge “inariditi”, assente nel testo ebraico. Per giustificare la sua scelta ricorre al testo di Gl 1,20: “Anche gli animali anelano (ta‘arôg) a te, perché sono secchi (j?bešû) i corsi d’acqua (’afîqê m?jim)”; come si vede, i corsi d’acqua in Gioele sono secchi, ma perché è detto espressamente (j?bešû da j?baš “essere secco, arido). Interpretare l’espressione ’afîqê m?jim del Sal 42,1 come “torrenti inariditi” non è giustificato dal testo. Inoltre in tal modo il parallelismo complessivo risulta falsato: il cervo desidera l’acqua come l’anima desidera Dio. Se, come fa il Barbiero, al posto dell’acqua si pone un torrente secco, la funzione di Dio nei confronti dell’anima assetata risulta stravolta!
L’interpretazione poi di “su (‘al) torrenti” si illumina con il parallelismo “a te”; in effetti si può attribuire ad ‘al il significato di ’el “a, verso” (HALOT, 826); tale significato, nel nostro testo è suggerito dal parallelismo con ’el del secondo emistichio (a te [’?lêk?] o Dio). Come la cerva desidera l’acqua così la mia anima desidera Dio. Sempre nel Salmo 42, il fedele che anela a Dio si chiede: quando “vedrò” il volto di Dio? Il verbo ebraico è un nifal (’?r?’eh) di r?’?h “vedere”, che la LXX rende con ofth?somai futuro passivo di hora?. Come è noto, il verbo hora? ha un futuro medio con significato attivo (opsomai) che significa “vedrò”, usato per esempio in Mt 26,64: “vedrete (opsesthe) il figlio dell’uomo”. Nel nostro testo ofth?somai avrebbe bisogno di una qualche spiegazione; è vero che si può anche tradurre con “vedrò”, ma sarebbe necessario far presente che l’aoristo passivo (?fth?n) diventa un termine tecnico delle teofanie (cf.Gen 22,14: JHWH j?r?’eh, Jhwh “apparve”, LXX kyrios ?fth?). L’esempio più eloquente di tale trasformazione si trova in 1Cor 15,3-9 in cui ?fth? è ripetuto almeno quattro volte, seguito da un dativo, che in italiano si rende con “apparve a”. Lasciando pure la traduzione “vedrò”, forse qualche parola di spiegazione sarebbe stata utile. Il testo quindi significa: quando avrò l’apparizione” di Dio?
Naturalmente bisogna precisare che l’A. è interessato in primo luogo alla dimensione estetica del testo; è questo, a mio avviso, il contributo veramente innovativo dell’opera del Barbiero. Si resta piacevolmente sorpresi della sua capacità di penetrare nella forma attuale del testo per coglierne le diverse figure letterarie che evidenzia, anche graficamente, da profondo conoscitore della materia. È questo a mio avviso il contributo specifico dell’A. Egli è capace di intravvedere nel testo finale dei singoli salmi una disposizione delle singole parti in funzione di un messaggio profondo del testo che la lettura superficiale non riesce a cogliere. Il lettore che è interessato a gustare il testo dei Salmi nella loro componente artistico letteraria troverà nel libro del Barbiero vasta materia a disposizione.
Tratto dalla rivista Lateranum n.2/2018
(http://www.pul.it)
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