La testimonianza necessaria
-Paolo, testimone della salvezza universale a Roma in AT 28, 16-31
(Analecta Biblica)EAN 9788876536847
Il lavoro dottorale di don Antonio Landi, docente di Sacra Scrittura nella Sezione S. Tommaso d’Aquino della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, è davvero impegnativo: la bibliografia è imponente e l’indice delle citazioni e degli autori ben curato. Tuttavia, ciò che è più importante è che l’autore, dall’inizio alla fine del suo lavoro, sia in costante dialogo con gli esegeti che hanno scritto sull’argomento, italiani, inglesi, francesi, tedeschi. E questo è fondamentale, perché ci dice che lo studio non cade dal cielo come un meteorite, ma s’inserisce nella discussione esegetica, e prosegue nell’intento di approfondire, di dare il suo contributo a un argomento che da sempre ha stuzzicato gli studiosi, cioè la finale a prima vista così sorprendente o deludente dell’opera lucana: il soggiorno di Paolo a Roma, lasciando apparentemente il lettore sulla sua fame. Infatti, la finale degli Atti sembra un doppio fallimento, o perlomeno provoca nel lettore una doppia delusione: da una parte la tensione narrativa che porta l’apostolo a Roma per il processo, tanto più che ancora poco prima di arrivare a Roma, un angelo esplicitamente lo conferma: «devi comparire davanti a Cesare» (At 27,24); arrivato nella capitale il processo è dimenticato! D’altra parte, il tema della testimonianza fino all’estremità della terra, compito affidato dal Risorto agli apostoli, attuato soprattutto da Paolo nei suoi viaggi missionari in terra pagana, con il suo arrivo nella capitale dell’Impero, s’insabbia. Roma, anche se capitale mondiale, non è però l’estremità della terra! Invece l’opera lucana termina con una finale del tutto inattesa: l’incontro dell’apostolo con due successive delegazioni di ebrei. In sede introduttiva, Landi presenta le varie soluzioni proposte sulla questione: dalle ipotesi di ordine storico e teologico, d’indirizzo prevalentemente diacronico, in base alle quali il racconto lucano è da ritenersi monco; a quelle più recenti d’indole sincronica, tese a dimostrare la compiutezza dell’opera lucana. Al termine dell’Introduzione, l’esegeta rivela al lettore la sua intenzione con queste parole: «Il nostro contributo sulla finale del libro degli Atti intende concentrarsi su due quesiti spesso trascurati dalla ricerca esegetica: perché collocare a Roma l’ultimo atto della missione cristiana raccontata da Luca e, soprattutto, per quale ragione affidare a Paolo la testimonianza finale. Di conseguenza il tema della testimonianza e la figura di Paolo costituiscono le istanze su cui si concentra il presente lavoro» (p. 50).
Possiamo dire che il suo lavoro cammina su due binari, poiché il tema della testimonianza fino a Roma, e quello della caratterizzazione del testimone sono strettamente collegati, camminando insieme su quella base che è la prospettiva storico-salvifica tipica del narratore e che fa da inclusione all’intera opera (profezia di Simeone e finale degli Atti): annuncio del vangelo anzitutto ai giudei, la loro divisione a riguardo, l’apertura al mondo pagano.
I primi capitoli sono consacrati al tema della testimonianza da considerare come «il filo rosso che attraversa i numerosi episodi descritti nel libro degli Atti, garantendone l’unità» (p. 60), oltre che a legare la finale del Vangelo all’inizio degli Atti. Il titolo di “testimoni” dato agli apostoli già alla fine del Vangelo e poi all’inizio degli Atti (1,8) è proprio una caratteristica lucana, poiché Luca è l’unico autore del Nuovo Testamento a definirli “testimoni” riferendosi alla loro funzione missionaria. A Paolo il titolo sarà dato per la prima volta in At 22,15, nel secondo racconto dell’apparizione presso Damasco, coincidente, non a caso, con l’inizio della fase processuale a Gerusalemme.
L’interesse, ovviamente, si porta soprattutto sulla figura di Paolo. A tale scopo l’esegeta si serve dell’approccio narratologico al testo, e lo fa con moderazione, non in modo esclusivo, tenendo anche presente l’approccio diacronico.
Lungo la sequenza narrativa del cammino dell’apostolo verso Roma, emerge la caratterizzazione dell’apostolo in perfetta coerenza con il programma che il Risorto ha dato agli apostoli prima di ascendere in Cielo e del quale Paolo è come l’incarnazione. Diventa chiaro che acquistano valore e attenzione le varie prolessi così come le synkriseis come anticipazione e conformazione a Cristo.
A tale fine, il narratore inserisce per il lettore una sorta di “indicatori di direzione” che Landi ha saputo mettere ottimamente in luce. Il primo è contenuto nel contesto del primo racconto dell’apparizione presso Damasco: la rivelazione che il Risorto fa ad Anania sull’elezione del futuro apostolo, rivelazione che Anania non comunica a Paolo, perché appunto serve al lettore, il quale viene così incentivato a proseguire la lettura per sapere quando e come Paolo attuerà il programma testimoniale previsto dal Risorto. Così parla il Risorto ad Anania riguardo Paolo: «…Egli è per me un vaso di elezione per portare il mio nome davanti alle nazioni (pagani) ai re e ai figli d’Israele. E gli mostrerò quanto egli dovrà soffrire per il mio nome» (At 9,15-16). Oltre a inserire la missione paolina nel programma testimoniale comunicato dal Risorto agli apostoli all’inizio di Atti, la parola di Cristo ad Anania, come ben rileva l’autore, «rappresenta un vero e proprio programma narrativo per il cammino testimoniale di Paolo nel libro di Atti» (p. 94), del quale dunque il lettore viene informato, e che include il contenuto del messaggio (il nome di Gesù) e la predizione del patire cioè della passio Pauli posta sotto il dei` (è necessario) della volontà divina.
Nel terzo capitolo del suo libro, Landi riflette sulla preparazione della testimonianza di Paolo a Roma. Il punto di partenza di questa sezione preparatoria non inizia col racconto del viaggio a Gerusalemme (il cosiddetto viaggio della colletta), dove l’apostolo sarà arrestato, ma significativamente da quest’indicatore altrettanto importante che si legge nella prolessi di At 19,21, durante il soggiorno efesino di Paolo: «Dopo questi fatti, Paolo decise nello Spirito (o: si pose in animo)… di recarsi a Gerusalemme e diceva: Dopo essere stato là, devo (dei`) vedere anche Roma». Insomma, il lettore è debitamente preparato all’ultima tappa della testimonianza di Paolo, nella quale perviene al suo apice il processo di caratterizzazione del personaggio. Paolo parla di “vedere” Roma. Successivamente, il Risorto stesso, in una visione, confermerà la decisione dell’apostolo e chiarirà che questo vedere consiste in una “testimonianza” (At 23,11). La synkrisis è evidente ed è accuratamente dettagliata dall’autore. Notiamo soltanto che ritroveremo i verbi “vedere” e “testimoniare” proprio nella finale del libro (At 28,20 e 28,23: primo e secondo incontro con i giudei di Roma). Il dei`, già utilizzato da Paolo e ora dal Risorto, pone l’intero itinerario testimoniale – inclusi il processo, i pericoli, le sofferenze, la testimonianza e il risultato della testimonianza e il tema dell’innocenza – sotto la “necessità” divina. Tutto ciò è pazientemente analizzato dall’esegeta per far emergere il processo di modellizzazione cristologica del testimone Paolo, e che trova il suo climax nella finale di Atti. Il quarto capitolo è interamente dedicato all’analisi esegetica della pericope conclusiva del libro di Atti (28,16-31). Tutto ciò è anche preparazione all’ultimo capitolo del libro (il quinto), nel quale l’autore espone ciò che costituisce il motivo della ricerca: il ritratto di Paolo nella finale di Atti a lungo preparato dal narratore.
Perché Roma? Una necessità divina puntata dai dei` a risonanza “cristologica”. Nell’Urbe Paolo svolge il suo ministero testimoniale che diventa paradigmatico; un “testimone esemplare”, come lo chiama Landi, per tutti i credenti (lettori) che vivono lungo lo spazio-tempo che va dalla testimonianza a Roma fino all’estremità della terra, questo blanc du texte che Luca lascia aperto in conclusione alla sua opera. Ultimamente anche Daniel Marguerat ha sottolineato la dimensione paradigmatica della figura di Paolo nella finale dell’opera. L’autore lo cita, anche se non ha potuto conoscere il secondo volume del commento di Marguerat pubblicato soltanto nel 2015, ma che riprende quanto scritto nei suoi articoli: Paolo, pastore ideale e modello missionario. L’interesse di Landi indugia più volentieri sul volto cristico del testimone, sul modo come Luca riesce a coinvolgere il lettore a percepire nel ritratto di Paolo più di un missionario modello che si conforma alle esigenze che Gesù ha dato ai suoi discepoli. Luca ha operato un vero processo di cristologizzazione, caratteristico della sua strategia narrativa.
Il cammino di Paolo verso Roma passa per Gerusalemme come quello di Gesù, entrambi posti sotto il dei` della volontà divina, una necessità teologica che proseguirà per l’apostolo fino a Roma; un Paolo incatenato che Luca ha posto in synkrisis con la passio Christi nell’ultimo viaggio verso Gerusalemme. Il parallelismo è chiaro nelle parole del profeta Agabo: «Questo dice lo Spirito santo […] in questo modo i giudei legheranno (Paolo) e lo consegneranno nelle mani dei pagani» (At 21,11). Ovviamente, Luca sa che non fu così in realtà, poiché i giudei stavano per lapidare l’apostolo che fu salvato dai pagani! Comunque, a Luca interessa che il lettore interpreti la passio Pauli alla luce della passio Christi. Con il suo arresto nella città santa inizia il cammino propriamente detto di tale passio, proletticamente annunciata dallo stesso Risorto nel primo racconto dell’apparizione presso Damasco. Esso include le catene, il processo, l’ostilità dei Giudei, l’appello a Cesare da interpretare, così come afferma Landi, non come paura della morte, ma obbedienza al progetto divino. A tal fine, c’è anche positivamente la protezione divina dai pericoli della tempesta, della vipera, l’insistenza sull’innocenza dell’apostolo. Tutto concorre alla cristologizzazione del testimone, fedele alla sua missione fino a Roma. La costante synkrisis con Cristo non soltanto nella sofferenza, ma anche nello svolgimento del piano di salvezza, permette al lettore di «cogliere nella vita dell’apostolo il riflesso della permanente presenza del Risorto attraverso i suoi testimoni» come afferma l’autore a p. 302.
Un Risorto che nell’attività apostolica dei suoi testimoni porta a termine la propria missione messianica, come lo stesso Paolo afferma dinanzi al re Agrippa, e conferma alla luce delle Scritture: «il Cristo doveva soffrire e, risuscitato per primo da morte, avrebbe annunciato la luce al popolo e ai pagani» (At 26,22s).
Landi sintetizza bene il suo intento con queste parole: «L’obiettivo lucano non è principalmente di tessere un encomio paolino per la fedeltà alla causa del Vangelo, né limitarsi a presentare Paolo come un paradigma virtuoso ed edificante per il lettore. Modellando il suo protagonista in prospettiva cristologica, il narratore intende ulteriormente conferire unità letteraria e teologica alla sua duplice opera ed evidenziare la continuità che lega Paolo a Cristo sul piano storico-salvifico» (p. 318). Pensiamo che l’autore sia pienamente riuscito a convincere i propri lettori riguardo alla sua impresa, molto densa e ricca.
Tratto dalla rivista "Aprenas" n. 1-4/2016
(http://www.pftim.it)
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