Casa tra le case
-Architettura di chiese a Torino durante lepiscopato del cardinale Michele Pellegrino (1965-1977)
(Studia taurinensia) [Libro in brossura]EAN 9788874028382
La ricerca sull’architettura delle chiese contemporanee sta crescendo, in Italia e all’estero, con risultati degni d’attenzione. Contributi diversi, scritti non solo da architetti ma anche da storici, antropologi e sociologi, tentano di sondare i significati di questi edifici nati nei contesti urbani di nuova espansione, nelle periferie e nei centri satelliti delle grandi città industriali.
Si tratta di un patrimonio in genere poco apprezzato, considerato figlio di una cultura del costruire dominata dal «demone» del cemento armato e della prefabbricazione, povera di elementi formali. Inoltre, anche da un punto di vista tecnologico, queste chiese sono invecchiate male, perché le strutture cementizie e le tecniche di assemblaggio utilizzate all’epoca reggono con difficoltà lo scorrere del tempo. Questo patrimonio appare così di scarso interesse non solo per gli abitanti delle grandi città, ma anche per buona parte dei ricercatori che lavorano sui temi dell’architettura contemporanea. Un filone di studi invece si sta sviluppando in questi ultimi anni, in controtendenza con questa deriva di «abbandono della memoria», con attenzione nuova verso un fenomeno che rappresenta una parte importante del nostro passato.
Il lavoro di C. Zito si pone in questa direzione, mettendo a frutto un percorso di studi sviluppato nell’ambiente favorevole del Politecnico, dove le ricerche sul tema delle chiese hanno formato da tempo un centro d’interesse. L’obiettivo del saggio è seguire lo sviluppo dell’architettura di chiese in un osservatorio privilegiato, la città di Torino, e in un periodo cruciale, gli anni ’60-’70. Perché Torino è così importante in questi anni? I motivi sono diversi, ma possiamo riassumerli in due grandi temi: il capoluogo piemontese è la sede della maggiore industria italiana, e nel periodo in esame conosce una vera esplosione demografica. Il flusso degli immigrati richiede che una nuova città venga pianificata e costruita, una città che circonda quella storica, con le sue memorie di capitale, con i simboli del potere, con il volto barocco delle sue chiese.
I quartieri periferici vengono dotati dei servizi di base, come prescrive la legge 2522 del 1952 (poi ripresa dalla 168 del 1962), e tra questi rientrano anche le chiese, finanziate «al rustico» dal Ministero dei lavori pubblici, nell’epoca di maggior forza politica della Democrazia Cristiana. Il secondo motivo della centralità dell’osservatorio torinese sta nella figura del card. Michele Pellegrino, al governo dell’arcidiocesi negli anni 1965-1977. Con lui sembra realizzarsi in via sperimentale la prospettiva aperta dal Vaticano II: un pastore radicato nella tradizione e negli studi patristici, ma aperto alle grandi sfide della modernità, che ha vissuto in prima persona il cammino del Concilio, particolarmente nel settore della liturgia. È bene ricordare però che già esisteva una storia alle spalle, e il contesto cittadino si era posto all’avanguardia delle sperimentazioni nel campo della liturgia. La chiesa di Santa Teresa di Gesù Bambino, progettata a partire dal 1957 dai giovani architetti Gianfranco Fasana, Maria Carla Lenti, Giuseppe Varaldo, Giovanna Maria e Gian Pio Zuccotti, era un esempio precoce in Italia di ripensamento dello spazio sacro, in età pre-conciliare, che poneva al centro la grande aula senza pilastri e l’assemblea riunita intorno all’altare.
Il percorso della ricerca ripercorre gli sviluppi di questo scenario storico e sociale, con rigore di metodo, seguendo una scansione quasi cronachistica degli eventi. Nell’esame dei fenomeni locali non si perde di vista il contesto più ampio, che corrisponde alle scelte pastorali della Chiesa italiana negli anni del Concilio e del post-Concilio. Grande è in questo periodo il dibattito sui complessi parrocchiali, sulla loro articolazione strutturale, sul rapporto con la città e con i quartieri. Con grado differente e con diversa capacità di risposta i vescovi intervengono in questo dibattito e formulano scelte operative, propongono orientamenti. A Torino lo spazio di gestazione di queste esperienze è rappresentato dalla Sezione arte sacra della Commissione liturgica diocesana, precocemente istituita già nel 1938 dal card. Maurilio Fossati e riformata da Pellegrino, che la pone al centro delle attività di ricerca. Nella Commissione così s’incontrano figure di primo piano dell’architettura italiana di quegli anni, anche impegnate sul fronte della didattica presso la Facoltà di Architettura del Politecnico, accolte da un pastore che si dimostra in grado di dialogare con attori diversi.
Non stupisce quindi che i lavori della Commissione, con i dibattiti, gli scritti, la cura dei progetti, occupi gran parte della ricerca di C. Zito. E questo senza dimenticare altre figure altrettanto importanti, ma rimaste nell’ombra degli uffici diocesani, come mons. Michele Enriore, che ha diretto dal 1954 l’ufficio «Torino-Chiese», gestendo il grande flusso di finanziamenti destinati alla costruzione di 170 nuovi edifici di culto. Spesso gli storici dell’architettura hanno limitato agli architetti la loro attenzione, trattati come demiurghi del progetto: in questo libro invece al centro si collocano proprio i processi decisionali e costruttivi, con i diversi attori in campo, le forme di committenza, la complessità dei livelli di gestione. I progetti vengono seguiti con metodo, raccogliendo le fonti disponibili e le testimonianze dei contemporanei, sfruttando la vasta documentazione conservata negli uffici diocesani (Archivio Ufficio Liturgico e Archivio Torino-Chiese) e negli archivi romani, in particolare il fondo della Commissione centrale per l’arte sacra in Italia, custodito presso l’Archivio Segreto Vaticano. Una particolare attenzione è riservata al tema dei concorsi e l’intero cap. IV è dedicato alla «storia di un concorso», che chiedeva progetti di massima per nuovi centri parrocchiali, in base alla Legge 167.
Si dimostra importante, così, l’esame di un lavoro profondamente innovativo purtroppo non realizzato, vincitore del primo premio, assegnato al gruppo di architetti formato da Domenico Bagliani, Andrea Bersano-Begey, Virgilio Corsico, Sisto Giriodi, Erinna Alessandra Roncarolo, con la consulenza liturgica di don Franco Delpiano. Esperienze come queste dimostrano il valore collettivo dei progetti elaborati nel periodo. Altre fonti importati sono rappresentate dalle riviste di architettura, dalla documentazione liturgica e dagli interventi episcopali, in particolare i discorsi tenuti in occasioni diverse, come consacrazioni e incontri con le comunità. Il vero protagonista di questo «racconto urbano di architettura» è proprio il card. Pellegrino, come evidenzia anche il titolo del libro. La sua sensibilità e la sua attenzione al dialogo hanno reso possibili queste esperienze e l’incontro tra figure e attori tanto diversi.
Per comprendere questo basta riflettere su come Pellegrino reagiva di fronte al grande fenomeno dell’immigrazione, con il programma pastorale di accogliere in quartieri a misura d’uomo persone sradicate dai loro contesti. Il modello ideale diviene così quello della chiesa-casa, della dimensione comunitaria e partecipata della liturgia, inserito in un contesto di architetture di servizio in grado di assolvere i compiti non soltanto religiosi ma anche sociali della parrocchia. Si pone qui un nodo fondamentale: quello della povertà delle nuove chiese e della semplicità dei modelli costruttivi. Costruire chiese sontuose, ricche di decorazioni e di materiali pregiati avrebbe rappresentato, secondo Pellegrino, un inutile orpello: «Perciò rinunciamo ad emulare i nostri antenati che ci hanno lasciato chiese monumentali, mirando invece a edifici funzionali e contenendo la spesa nei limiti dello stretto necessario» (p. 62, da un discorso del 1968, in occasione dell’annuale «Giornata Nuove Chiese »). È inutile ricordare l’anno cruciale e lo scenario storico in cui si svolge questo discorso. Gli orientamenti dell’arcivescovo sono accolti dalla Commissione, che lavora esaminando i progetti e tracciando linee operative. Un caso emblematico: nel 1969 la Commissione respinge due progetti perché concepiti in base a tecniche tradizionali, con impiego troppo limitato di elementi prefabbricati (p. 89).
Costruire chiese povere, in economia di mezzi e materiali, è quindi un assunto non formale, ma etico, condiviso tra la committenza e gli architetti protagonisti di questa stagione. Per questo l’esempio più significativo proposto nel volume è forse la parrocchia dei SS. Apostoli a Piossasco, progettata da Roberto Gabetti, Aimaro Isola e Luciano Re, con travi in acciaio a vista e pannelli prefabbricati, in un territorio inglobato nella conurbazione, vicino agli stabilimenti della Fiat di Rivalta. Se giudicassimo queste chiese sul metro dell’estetica e del gusto non capiremmo nulla: la chiave per comprendere questi edifici è la storia, la storia sociale e la storia liturgica. La liturgia vive sempre nella storia e nella società, ma negli anni ’60, negli anni del post-concilio, l’incontro è veramente cruciale. Queste aule spoglie, pensate per l’accoglienza, la celebrazione e la predicazione, con la loro povertà ostentata e il carattere industriale, sono segni di un’epoca, testimonianze di una città operaia che costruiva i suoi riferimenti religiosi. Anche nella Torino degli anni ’60, le chiese erano simboli.
Tratto da "Rivista Liturgica" n. 3/2013
(http://www.rivistaliturgica.it)
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